Bahá’í
È una religione monoteistica nata in Iran durante la metà del XIX secolo.
I membri seguono gli insegnamenti di Bahá’u’lláh (1817-1892), il fondatore.
Sono più di sette milioni i fedeli nel mondo, sparsi in oltre 200 Paesi, numerosi anche in Italia (5.000). Il loro Centro mondiale è ad Haifa, in Israele. La fede Bahá’í spiega il rapporto dell’uomo nel suo storico e dinamico legame con Dio, attraverso il concetto di relatività e progressività della religione.
Buddhismo
Sorto nel VI secolo a.C., a partire dall’India, il Buddhismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-Est Asiatico e in Estremo Oriente, giungendo, a partire dal XX secolo, anche in Occidente. La religione nacque dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, comunemente detto il Buddha, e propone ai suoi aderenti una intensa disciplina spirituale e di meditazione.
Le più importanti scuole attualmente esistenti sono: Theravada, Mahayana e Vajrayana.
Confucianesimo
È una delle maggiori scuole filosofiche e morali della Cina.
Si è sviluppato nel corso di due millenni a partire dagli insegnamenti del filosofo Kong Fu-zi, il “Maestro Kong” (551-479 a.C.), conosciuto in Occidente col nome latinizzato Confucio. Egli creò un sistema rituale e una dottrina morale e sociale ma non trattò direttamente questioni soprannaturali e che trascendessero l’esperienza umana.
Cristianesimo
Religione a carattere universalistico fondata sull'insegnamento di Gesù Cristo trasmesso attraverso la letteratura neo-testamentaria.
Ebraismo
Con questo termine si intende sia una religione, sia una tradizione culturale, entrambe diffuse in tutto il mondo. Il testo sacro per antonomasia, ma non l’unico, nella religione ebraica, è la Torah (insegnamento, legge), scritta in ebraico, corrispondente ai cinque libri del Pentateuco della Bibbia. Presenti in Italia fin dal III secolo a.C., gli ebrei hanno contribuito in misura rilevante al progresso culturale e sociale del Paese.
La comunità è attualmente rappresentata dall’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), a cui aderiscono 21 comunità, e dalla FIEP (Federazione Italiana Ebraismo Progressivo).
Giainismo
È un’antica religione, ma soprattutto una filosofia in quanto non implica divinità definite. È basata sugli insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta di nobile estrazione che indicava la via alla perfezione umana sulla base della non-violenza. Con i suoi 8-10 milioni di fedeli, il Gianismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali. Vi sono 6000 monache e 2500 monaci, molti dei quali fanno riferimento alla corrente shvetambar.
Induismo
Una variegata ed antica tradizione spirituale i cui testi sacri risalgono al 1.500 a.C. che dall'India, dove nacque e dove resta largamente maggioritaria, si è diffusa in altre parti del mondo. Nella tradizione induista consolidatasi nel tempo, "Dio è uno ma si esprime in infiniti modi e forme".
Gli indù credono in un solo Dio, Brahman, senza forma e attributi, il quale nella manifestazione assume diverse forme per rappresentare le diverse potenze e forze che governano l'universo. La principale Organizzazione in Italia è l'Unione Induista Italiana, il cui maggiore Centro sorge ad Altare (SV) e che propone incontri di meditazione, introduzione allo Yoga e alla pratica induista.
Islam
Espressione e portavoce è stato il Profeta Mohammed, nella cittadina di La Mecca, nel VII secolo d.C. Il libro sacro e' il Corano. L'Islam non prevede la presenza di un clero ne' tanto meno di gerarchie. Gli Imam sono uomini di fede incaricati di condurre la preghiera nelle moschee per le loro conoscenze liturgiche e dottrinali.
Le principali tradizioni islamiche sono: I Sunniti che costituiscono il 90% del mondo islamico, gli Sciiti ed i Sufi conosciuti anche come i seguaci della "via del cuore" un cammino mistico nell'Islam.
Religioni tradizionali Africane
Ogni popolazione africana ha sviluppato una sua specifica religione, che è divenuta parte integrante del suo patrimonio culturale. Tutto ciò che riguarda la vita sociale in Africa è regolato dalla religione. Principio fondamentale che accomuna tutte le religioni africane è la fede in un Dio unico, come Essere Supremo.
Religioni Tradizionali Amerindiane
Tutti i popoli (alcune grandi civiltà) che vivevano in America del Nord, America Centrale e America del Sud avevano delle credenze religiose molto radicate. Esse, ancora oggi, gravitano intorno al culto del “Grande Dio (Grande Spirito, Dio Celeste) Creatore”. Lo sterminio di queste intere popolazioni da parte dei colonizzatori europei rappresenta uno dei più gravi genocidi che la storia dell’umanità ricordi. Oggi questi popoli originari delle Americhe non sono che una esigua minoranza.
Sta fortunatamente crescendo un recupero delle loro culture e spiritualità.
Shintoismo
Questa antica religione, originaria del Giappone, ricevette solo nel VI secolo della nostra era, all'epoca nella quale il Giappone si iniziò alla scrittura dopo il contatto con la Cina, la denominazione cino-giapponese di
Shin-to, che in giapponese puro si diceva Kami no michi (strada degli dei). Il carattere kami è composto da ka (nascosto, indistinto) e mi (visibile, tangibile); quindi kami è tutto l'universo nell'accezione di spazio e spirito.
Sikhismo.
È una religione nata nel XV secolo nell’India settentrionale basandosi sugli insegnamenti di Nanak e dei successivi nove guru.
Il credo della religione Sikh si basa sulla fede Vahiguru.
I Sikh sono portati a seguire gli insegnamenti dei dieci guru e del testo sacro chiamato Guru Granth Sahib. I sikh sono attualmente una comunità di 23 milioni di persone, di cui la maggior parte si concentra nel Punjab, regione tra l’India e il Pakistan. In Italia sono presenti su tutto il territorio.
Taoismo
Il Taoismo è una filosofia religiosa originaria della Cina. Affonda le sue radici nell'antica cultura cinese, proponendosi in differenti forme che caratterizzano l'arte, la vita e la spiritualità dell'Estremo Oriente. Se ne trovano influenze nel Buddismo cinese, in particolare nel Chan, nella medicina tradizionale cinese, nelle scienze politiche e nell'estetica.
È attribuita a Lao Tsè la scrittura del Tao Te Ching, testo sacro taoista, ed egli stesso è considerato il fondatore del Taoismo.
Zoroastrismo.
È il nome dato ad una delle più antiche religioni e la più importante e nota dell’Iran preislamico.
Tale fede religiosa deve il nome al ritenuto fondatore Zarathustra. Attualmente comunità zoroastriane si trovano soprattutto in India, Pakistan ed Iran. La diaspora zoroastriana comprende due gruppi principali: i Parsi di ambiente Sud-Asiatico e gli zoroastriani dell’Iran.
Gli organismi di cooperazione della diaspora parsi e zoroastriana seguono anche le non molte famiglie di correligionari che vivono in Italia.
Articoli e Pubblicazioni
Donne di Fede per la Pace, unite per guarire le ferite delle guerre
31 Agosto 2024
Si conclude a Montagnaga, in Trentino, l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, fondato da Lia Beltrami per riunire donne di diverse fedi con l'obiettivo di rompere i muri del pregiudizio e dell'odio trovando nuovi modi di costruire il dialogo nella vita quotidiana in zone di conflitto
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Ha proposto diversi laboratori sul tema della pace, una preghiera interreligiosa e una “Cucina di pace” l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, assieme ad altre realtà, a Montagnaga, in provincia di Trento, e che si conclude oggi. Una quarantina di persone di diverse generazioni si sono ritrovate da venerdì 30 agosto, per tre giorni di convivenza, “per riflettere in profondità sul senso e il significato della pace”, interrogandosi su “Quale pace in un mondo in guerra?”. Women of Faith for Peace, movimento nato 15 anni fa a Gerusalemme per diffondere un’esperienza straordinaria di pace vissuta concretamente, per rompere i muri del pregiudizio e per trovare nuovi modi di costruire un vero dialogo nella vita quotidiana, in zone di conflitto così come in Paesi che vivono situazioni di tensione e in ogni tessuto comunitario, ha coinvolto in questa iniziativa, con il supporto di Fondazione Caritro, l’associazione Shemà, Emotions to Generate Change, Lead Integrity. La fondatrice di Women of Faith for Peace è Lia Beltrami.
Lia Beltrami, che contributo specifico possono dare le donne di fede per promuovere la pace?
Le donne che vivono una dimensione di fede possono dare molto nel percorso di riconciliazione. Un popolo spaccato, due popoli l’uno contro l’altro, generano delle ferite incommensurabili che solo tanta tenacia e solo un approccio femminile creativo possono aiutare in un percorso di guarigione. Quindi, le donne devono essere consapevoli e andare a fondo nella loro direzione di fede e anche in questo percorso di accoglienza e abbraccio che guarisce. In particolare, nel mondo di oggi dove i conflitti sembrano così forti e un po’ si perde la speranza e le persone che sono impegnate nel cammino di pace perdono un po’ anche l’entusiasmo, allora è questo il momento che con Donne di Fede per la Pace, come persone che ci credono, dobbiamo impegnarci più fortemente per riaccendere la fiamma che c’è negli operatori e nelle operatrici di pace, perché poi ognuno sa che cosa deve fare nel proprio ambiente. Però dobbiamo sentirci uniti e dobbiamo capire che proprio la luce che è dentro di noi è una luce che può splendere e non deve fermarsi in questa doppia guerra, perché è una guerra fisica ed è una guerra di parole, è una guerra di comunicazione, è una guerra che rende sordi e incapaci spesso di sentire e trovare delle vie per andare avanti.
Tra i promotori dell’evento c’è anche il Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest’anno ha deciso di conferire il Premio Pellegrino di Pace - assegnato da trent’anni - a Women of Faith for Peace. Il presidente Caterina Costa, ha illustrato ai media vaticani i contenuti sviluppatisi in questi giorni.
Caterina Costa, confrontarsi sulla pace in un momento in cui preoccupano diversi focolai di guerra, quali i vostri obiettivi?
Ci stiamo interrogando su questo aspetto e ognuna di noi ha esposto le proprie considerazioni sugli elementi che caratterizzano la pace. Riconosciamo che non ci sono soluzioni chiare e definite per ogni situazione. Ciò che unisce in questi incontri è la volontà innanzitutto della condivisione e dell'ascolto, mettersi proprio in un ascolto empatico con chi queste situazioni di guerra le sta vivendo.
Quali gli elementi comuni emersi?
Innanzitutto una visione di pace che è armonia. Quando si crea armonia in un contesto, in un Paese, in una comunità, questo sicuramente è ciò che definisce, per la maggior parte di noi, il senso della pace. Poi come si raggiunge questa armonia è sicuramente qualcosa di più complicato, ma quello che è emerso, da parte di tutti, è la ricerca della giustizia. Il fatto di essere in grado di condividere e di ascoltare, mettersi in ascolto dell'altro, sospendendo il giudizio, cercando di superare anche il pregiudizio.
Quale contributo possono offrire oggi le donne per la pace nel mondo?
Le donne possono fare tanto. Purtroppo, a volte, la donna rimane un po’ ai margini dei luoghi in cui poi si decidono effettivamente le cose. Ma io, anche per la mia esperienza, soprattutto in Africa, posso dire che la donna, anche quando non ha un ruolo di potere è il motore del cambiamento. Sin dalle piccole cose, dalle piccole azioni, è, veramente, strumento che può apportare un vero cambiamento, a partire dalle piccole comunità sino ai grandi luoghi di potere. Ci si augura che il ruolo femminile, all'interno di questi contesti, possa sempre crescere, sostenendo appunto le donne. Il contributo che si può dare è proprio sostenerle soprattutto in quei luoghi in cui quel diritto di autoaffermazione viene negato, rendendolo, poi, anche sempre visibile, parlandone, non lasciando che alcuni contesti, alcune situazioni, cadano nell'oblio. Sicuramente la sensibilizzazione è uno strumento importante per fare in modo che certe situazioni non vengano dimenticate.
Da questo incontro come ripartire?
Sicuramente con una più forte determinazione. Questi momenti di condivisione, di ascolto, lo stare insieme, il condividere i pensieri, le paure, i sogni, anche progetti per il futuro, sono una spinta. Questa è la grande importanza, la grande forza di questi eventi. Ritengo, poi, che ognuna di noi, che ogni donna impegnata all'interno del proprio contesto, anche lavorativo, da qui può ripartire lavorando con una determinazione sicuramente più forte per cercare di portare quei cambiamenti che sono fondamentali.
Lei è presidente del Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest'anno conferisce il Premio Pellegrino di Pace a Women of Faith for Peace, perché?
Perché, innanzitutto, realizzare questi incontri, mettere insieme donne che appartengono a contesti diversi, è importante. Questo è un continuo lavoro di ricerca del dialogo, che poi non rimane un dialogo fine in sé stesso, ma si concretizza, poi, in azioni di cambiamento, di giustizia, nella comunità di riferimento. Quindi abbiamo ritenuto che questa attività fosse assolutamente meritevole del riconoscimento Pellegrino di Pace.
Chiuso il Sinodo valdese. Trotta, i diritti siano iniziativa bipartisan
La Moderatora della Tavola valdese, la diacona metodista Alessandra Trotta. Foto Daniele Vola
30 Agosto 2024
Torre Pellice (NEV/CS25sinodo09), 30 agosto 2024 – Il Sinodo valdese si è chiuso oggi pomeriggio a Torre Pellice, nel cuore delle Valli valdesi in provincia di Torino. Per una settimana deputati e deputate di tutta Italia si sono riuniti per discutere e votare democraticamente le linee guida della chiesa per il prossimo anno. Un anno speciale, questo, caratterizzato dalle celebrazioni per gli 850 anni del movimento nato dalla conversione alla povertà e all’Evangelo di un ricco mercante, Valdo di Lione.
Il Sinodo ha riconfermato la fiducia ad Alessandra Trotta, diacona metodista, quale Moderatora della Tavola valdese.
Nel suo discorso in Aula Sinodale, la Moderatora ha usato l’immagine del puzzle per rappresentare la chiesa. “Ogni tessera, ogni individuo, è essenziale per creare una visione completa”, ha detto Trotta.
Diversi i momenti significativi di questo Sinodo 2024 ricordati da Trotta: dall’importanza di riconoscere le connessioni tra le diverse parti della chiesa per evitare che queste rimangano scollegate, “impoverendone l’insieme”, alla necessità di collaborare per il bene comune.
“Una foto del corteo inaugurale, che ritrae una giovane pastora e due giovani consacrandi di origine non italiana, simboleggia l’inclusività e l’accoglienza della nostra chiesa, che vuole essere una chiesa di tutti e per tutti – ha proseguito la Moderatora, e ha aggiunto –: è importante anche trasmettere la storia e i valori della chiesa alle nuove generazioni, per mantenere la sua integrità come corpo intergenerazionale. Senza dimenticare il dialogo e la giustizia”.
“Nella polis, nella città dell’uomo, sono oggi in tanti, sempre più spesso, di fronte alla crisi dei sistemi democratici, a chiedersi se può resistere una democrazia senza uno spirito democratico che la legittimi e la rialimenti quando il contratto sociale si indebolisce e la coesione di una comunità civile fondata sui diritti e la solidarietà rischia di sfaldarsi e frammentarsi in gruppi antagonisti con valori non negoziabili che non possono essere discussi, tribù rancorose, alla ricerca di risarcimenti e rivincite – ha proseguito – nel condividere questo cruciale quesito, allo stesso tempo, a chi invoca e rivendica l’identità, le radici, i valori cristiani come fondamento di unità e coesione, dobbiamo sapere porre un altro quesito e saperlo porre anche a noi stessi/e: possono esistere e resistere i valori cristiani senza fede?”
Nel discorso Alessandra Trotta ha fatto anche riferimento alla necessità di accettare di essere minoranza e al messaggio biblico legato alla figura di Natanaele, dal vangelo di Giovanni: “Tu vedrai cose maggiori”, ha detto Gesù.
“Vedrai, vedremo cose maggiori, fratelli e sorelle; le cose al contrario, che sparano fiori e non bombe, ci hanno spiegato ieri, nella saggezza delle cose semplici, i piccoli deputati del sinodo dei bambini e delle bambine”.
Un lungo applauso ha accompagnato la Moderatora, che subito dopo ha partecipato alla conferenza stampa in cui ha illustrato gli Atti principali di questo Sinodo. Cittadinanza, giovani, pace, flat tax, autonomia differenziata, carceri. “Auspichiamo l’approvazione di una legge che farà bene al paese e sarà portatrice di civiltà. Dovrebbe essere una iniziativa bipartisan” ha detto Trotta. Quanto alle giovani generazioni, secondo la Moderatora, il punto è costruire il loro protagonismo dentro e fuori dalle chiese, dando loro parola e fiducia come ad esempio è stato fatto proprio in queste settimane con il progetto APE Summer Tour. Un accenno è stato fatto anche all’impegno ecumenico: in vista dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, si è interrogata Alessandra Trotta: “Vogliamo fare un salto di qualità oppure essere testimoni di incoerenza? Sarebbe bello, ad esempio, poter festeggiare la Pasqua nella stessa data per tutte le chiese cristiane, così come riuscire un giorno a celebrare insieme la Cena del Signore”.
Per rivedere il discorso finale in Aula della Moderatora clicca qui:
Sinodo valdese 2024 | Discorso finale della moderatora (youtube.com)
Per rivedere la conferenza stampa conclusiva clicca qui:
Conferenza Stampa di chiusura del Sinodo Valdese (youtube.com)
Elezioni Tavola valdese: Alessandra Trotta (moderatora), Dorothea Müller (vice moderatore), Ignazio Di Lecce, William Jourdan, Ulf Hermann Koller, Andrea Sbaffi, Davide Rostan. Alla guida dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), riconfermato alla presidenza il pastore Luca Anziani. Per il Consiglio della Facoltà valdese di Teologia, riconfermati Lothar Vogel come decano ed Eric Noffke come vice-decano. Cambio al vertice della Diaconia valdese, con Daniele Massa nuovo presidente.
L’appuntamento per il Sinodo è per il prossimo anno. Anche il 2025 sarà un anno speciale, in quanto si festeggeranno i 50 anni dal Patto di integrazione che ha portato all’Unione delle chiese, metodiste e valdesi.
"Nell'amicizia c'è la vittoria": La scelta per la pace di 1000 giovani europei riuniti a Berlino nel convegno "A Global Friendship for a Future of Peace"
28 Agosto 2024
Marco Impagliazzo: “Aver fatto della pace la bandiera e la lotta di ogni giorno è un segno di novità nel mondo di oggi, segnato dalla logica pervasiva della guerra"
Oltre mille giovani europei che chiedono pace e che la realizzano ogni giorno nei loro Paesi. Non solo in Italia, in Francia o in Germania, ma anche dove c’è la guerra, come in Ucraina, con la solidarietà e l’aiuto concreto a chi soffre. “A Global Friendship for a Future of Peace”, il convegno internazionale dei “Giovani per la pace”, movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, ha vissuto oggi la sua giornata più intensa. Una grande assemblea dal titolo “Nell’amicizia c’è la vittoria”, con testimonianze di tantissimi giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, accorsi da 13 Paesi europei e con la partecipazione del presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo.
“In questi anni il movimento dei Giovani per la Pace è cresciuto e ha lasciato un segno in tante città d’Europa, dell’Africa, dell’America latina, dell’Asia, dando voce a tanti sogni e speranze di una generazione che viene poco ascoltata”, ha affermato Impagliazzo. “Aver fatto della pace la bandiera e la lotta di ogni giorno è un segno di novità nel mondo di oggi, segnato dalla logica pervasiva della guerra che porta solo alla morte: dalle guerre combattute con le armi a quelle più piccole di ogni giorno che appaiono normali e che fanno credere che l’unico modo per vincere sia quello di offendere, gridare, rimproverare gli altri. Ma noi sappiamo che non si può dare agli altri il peggio. Agli altri, a cominciare da poveri, va dato il meglio di noi”, ha concluso.
I giovani hanno parlato del loro impegno, durante tutto l’anno, nelle periferie, con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli, ma anche delle loro vacanze solidali, passate da molti con i rifugiati nei campi profughi della Grecia e di Cipro. Un grande evento europeo per la pace molto sentito, in un tempo segnato da guerre terribili, come quelle a Gaza e in Ucraina. E proprio dall’Ucraina (da Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv) sono giunti un centinaio di ragazze e ragazzi che hanno testimoniato come la solidarietà nei confronti degli sfollati e di tante altre persone che soffrono per la guerra è la prima azione che crea la pace. Ma si è parlato anche di ecologia, migrazioni, povertà nella città dove 35 anni fa un muro è caduto, esempio della forza della democrazia, del dialogo e della ricerca di vie pacifiche di cambiamento, segno di speranza per il futuro.
Nel pomeriggio del 28 agosto i giovani si raduneranno nei pressi della Porta di Brandeburgo per un momento di commemorazione al Memoriale delle vittime Sinti e Rom del nazionalsocialismo, per rinnovare il loro impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.
A Global Friendship for a future of peace: a Berlino, dal 27 al 29 agosto, 1000 giovani europei si incontrano nel nome della solidarietà e della pace
21 Agosto 2024
Dal 27 al 29 agosto convegno internazionale dei Giovani per la Pace – Attesi partecipanti da 13 Paesi europei, tra cui un centinaio dall’Ucraina – Mercoledì 28 assemblea con Marco Impagliazzo
“A Global Friendship for a Future of Peace”. Con questo sogno 1000 giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, di 13 Paesi europei si daranno appuntamento dal 27 al 29 agosto a Berlino per l’incontro internazionale dei Giovani per la Pace, il movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, che è impegnato, ogni giorno, nelle periferie con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli, e ha promosso, nei mesi estivi, vacanze solidali con i rifugiati nei campi della Grecia e di Cipro. Un grande evento europeo per la pace molto sentito, in un tempo segnato da guerre terribili, come quelle a Gaza e in Ucraina. E proprio dall’Ucraina - dove Sant’Egidio continua a sostenere la popolazione con distribuzioni di generi alimentari, spedizioni di materiale sanitario e ha aperto centri educativi per bambini e adolescenti, anche grazie al supporto di tanti rifugiati che si sono uniti alla Comunità nelle sue iniziative umanitarie - arriveranno nella capitale tedesca un centinaio di ragazze e ragazzi provenienti da Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv. Insieme ai loro coetanei di altri Paesi europei, daranno voce alle speranze della loro generazione e si confronteranno su diversi temi - ecologia, migrazioni, povertà - per diffondere una cultura della pace e della solidarietà in una città, dove 35 anni fa un muro è caduto: un esempio della forza della democrazia, del dialogo e della ricerca di vie pacifiche di cambiamento, ma anche un grande segno di speranza per il futuro.
Mercoledì 28 agosto, al mattino, i giovani parteciperanno a un’assemblea con Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, intitolata "Nell'amicizia c'è la vittoria ", e nel pomeriggio si raduneranno nei pressi della Porta di Brandeburgo per un momento di commemorazione al Memoriale delle vittime Sinti e Rom del nazionalsocialismo, per rinnovare il loro impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.
Summer Rome course explores Catholic Church's impact on war and peace
1 Agosto 2024
Rome is well known as the headquarters of the Catholic Church and the environs of Vatican City. But it also is home to a cadre of lesser-known but influential Catholic organizations engaged in global peacebuilding work.
Notre Dame undergraduates who took the course “Catholic Approaches to War and Peace: the View from Rome” spent three weeks in the Eternal City learning about and meeting with these groups while based at Notre Dame Rome.
Notre Dame students in the Rome-based course “Catholic Approaches to War and Peace” before a visit to the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences in Vatican City.
Created and taught by Keough School of Global Affairs professor Jerry Powers, the class introduces students to the Catholic Church’s on-the-ground work, its rich intellectual tradition of peace scholarship, and its role in international diplomacy.
“What really struck me was the opportunity to meet the actual people who are making peacebuilding happen,” said Lucy Carrier-Pilkington, a student in the course. “The theory aspect — the Catholic social teaching and the just war theory, for example — was fascinating, but the opportunity to see how that theory is practiced in real life was something special. I recommend this course to anyone interested in global affairs, politics, and theology — it was phenomenal.”
Students engage in a discussion with Caritas Internationalis staff at the humanitarian organization’s Vatican headquarters .
During one class session which took place in Rome’s vibrant Trastevere neighborhood, students toured the central offices and church of the Community of Sant’Egidio, a lay Catholic organization dedicated to prayer, peace, and the alleviation of poverty. Sant’Egidio operates soup kitchens and homeless shelters around the world, and its diplomatic arm has played a pivotal role facilitating peace processes in Mozambique, Algeria, Uganda and most recently, South Sudan.
Notre Dame alum Elizabeth Boyle (BA ‘20, MGA ‘23), an international relations officer at Sant’Egidio and a vice president for peace initiatives and research at the Sant’Egidio Foundation for Peace and Dialogue, offered students an overview of the community’s work.
Elizabeth Boyle ’20, MGA ’23 gives a class tour of the headquarters of the Community of Sant’ Egideo, where she works as an international relations officer.
Students also learned about the peacebuilding role of the Holy See — the central government of the Catholic Church — meeting with Cardinal Peter Turkson, chancellor of the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences, in his Vatican office. In a meeting with Ambassador Andrii Yurash, the Ukrainian ambassador to the Holy See, students engaged in discussion about the Catholic Church’s role in the war in Ukraine.
Notre Dame students meet with Cardinal Peter Turkson (far left), chancellor of the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences.
At the Dicastery for Promoting Integral Human Development, a Vatican department that addresses a variety of social issues ranging from migration to human rights, students discussed the role of the Holy See in supporting the peacebuilding efforts of national and regional episcopal conferences around the world. For an interfaith perspective, Powers brought his students to meet with Cenap Aydin, a Muslim scholar from the group Religions for Peace, who spoke about the role of the Catholic Church in interreligious peacebuilding. Finally, at the headquarters of Caritas Internationalis, a network of 162 national Catholic relief and development agencies working across the world, Caritas staff shared insights on the role of women in peacebuilding, development and humanitarian aid.
Ukrainian Ambassador to the Holy See Andrii Yurash meets with Notre Dame students.
“While lived Catholic peacebuilding is most obvious amid conflicts in places like Colombia, Congo, South Sudan and Ukraine, Rome offers a global perspective on the Church’s teaching and action related to peace,” said Powers, a core faculty member of the Keough School’s Kroc Institute for International Peace Studies and director of the Catholic Peacebuilding Network.
“This course gives students a rare opportunity to engage with leaders of the world’s largest religious institution who are working to ensure the Catholic community lives out Jesus’ Sermon on the Mount. It opens their eyes to a part of the Church that few people see.”
Bologna, apre la casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture
30 Luglio 2024
Una Casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture aprirà a Bologna grazie a una collaborazione tra il comune e la città metropolitana, la diocesi, la comunità ebraica e quella islamica e l’università. Il progetto è nato con la firma del protocollo dell’8 aprile 2021 ed è aperto anche a tutte le altre comunità religiose presenti nella città emiliana che ne condividono la finalità. Il suo obiettivo è quello di rafforzare le relazioni tra soggetti appartenenti a fedi e culture diverse, l’educazione alla pace, alla cittadinanza e all’accoglienza, la conoscenza e il rispetto dei calendari e delle feste religiose, la condivisione e il rispetto delle rispettive ricchezze etiche, spirituali e religiose.
La struttura che ospiterà la Casa è villa delle Rose, stabile comunale che è stato spazio per mostre ed eventi del Museo d’Arte Moderna MAMbo. È stata scelta perché non ha alcuna connotazione confessionale e i suoi spazi sono ideali per ospitare le varie iniziative previste, coerenti con il vincolo testamentario con il quale fu donata al comune, che ne prevede un uso culturale ed espositivo. Infatti, tra le attività promosse ci saranno: incontri, seminari e convegni; installazioni per condivisioni artistico-spirituali e riflessioni su temi quali la pace, l’intercultura, lo scambio, il dialogo e il superamento degli stereotipi, il contrasto all’intolleranza; mostre sull’interreligiosità; gruppi di lettura e discussione; stanze per lettura e musica; iniziative rivolte alle scuole su interreligiosità, spiritualità e pace.
L’ampio parco garantisce quiete e raccoglimento, a cui farà da corrispettivo all’interno della villa una stanza del silenzio. Questo spazio di meditazione e riflessione non verrà caratterizzato in senso confessionale e sarà quindi privo di simbologie. Lo scopo è quello di fornire a persone di diverse fedi un luogo comune di incontro e condivisione spirituale, contribuendo così alla costruzione di un mondo più rispettoso delle diverse tradizioni religiose e culturali. La Casa sarà coordinata da un consiglio di indirizzo formato sia dai rappresentanti delle realtà promotrici del progetto, sia da quelli aderenti.
Fostering Unity on Campus Isn’t Easy Right Now, But We Are Trying
9 Luglio 2024
Since mid-November, I have been meeting weekly for lunch with Imam Khalil Abdur-Rashid, the Muslim chaplain on our Harvard campus.
We started meeting because he wanted to gather Muslim and Jewish student leaders after a public statement from the undergraduate student association following the October 7 Hamas attacks caused great consternation and tension at Harvard and far beyond. Khalil hoped to create a space where students could acknowledge their pain and loss, prevent further division and animosity, and initiate broader campus efforts at dignified discussion and action.
It was a beautiful idea, but not one that has yet been able to come to fruition. Our students have felt too hurt, too angry, and too scared to be able to do anything together this academic year.
We have tried several experiments to bring them together: a communal mourning circle, an outdoor meditation experience, a joint trip, and an interfaith iftar. Each one fell apart because of the deep divisions on campus and external pressures. Everyone feels isolated and unable to sit with the isolation of the other.
Khalil and I have continued to sit, eat, mourn, and get to know each other. Over the year, our families have met, and we have trusted each other deeply as we negotiate a sharply divided campus.
While our students have been unable to cosponsor any events, we have taken it upon ourselves to help heal the divides on campus when possible. In December 2023, we and other chaplains hosted a joint prayer vigil. While it might seem like an uncontroversial ritual experience, praying publicly for the welfare of innocent people on both sides of this horrific conflict made national news.
To love one’s neighbor, we cannot ignore our differences. We must lean in and explore these matters honestly and dignifiedly.
In January and March 2024, Khalil and I facilitated programming on being a good neighbor with someone you profoundly disagree with. We tried to offer a different engagement model to the Harvard community, one I consider to reflect the best Jewish values essential to life at Hebrew College. We suggested that to love one’s neighbor, we cannot ignore our differences; instead, we must lean in and explore these matters honestly and dignifiedly. Nearly 1,000 Harvard affiliates attended these events.
Because of our friendship and camaraderie, Harvard asked Khalil and me to give the opening benediction at the undergraduate commencement ceremony. We have the honor of blessing almost 35,000 graduates and their families. In the history of Harvard, there has never been a graduation benediction given by two chaplains of different religions. We intend to speak about the power of feeling alone together.
Even though we continue to struggle to bring our communities together as individuals–as friends, teachers, and symbolic exemplars–we have attempted to model authentic bridgebuilding throughout this challenging year.
My Hebrew College Rabbinical School training equipped me to build bridges with someone like Khalil. My classmates and I often disagreed about theology, ideology, and sacred practice–and we continued to be in a relationship. When I reflect on these disagreements, I often think of the following teaching from the great Hasidic master, Rebbe Nachman of Bratslav (d. 1810):
“Know that disagreement (machloket) is analogous to the creation of the world, which consisted of creating an empty space …
For if it were not so, everything would be infinitely divine (ein sof),
and there would be no space for the world.
Therefore, G!d contracted the divine light …
leaving space in which the world could be created …
So too with disagreement:
For if all the wise ones were united, there could be no [further] creation …
It is only when there is disagreement among them–when they move apart–that space is created … analogous to the empty space … in which the world itself was created.”
Rebbe Nachman makes brilliant use of Isaac Luria’s (16th century) image of cosmic tzimtzum (“contraction”) as a model for the creative potential of those who engage respectfully across differences. For such a creative encounter to occur, however, we must be willing to let the other be themselves and be brave enough to express our differences of belief or opinion. For Rebbe Nachman, this is essential to fruitful Torah study and religious creativity.
As with my Hebrew College peers, Khalil and I have promised to create the necessary space to explore our spiritual and ethical positions honestly and respectfully. While we certainly agree about some things, we also have genuine disagreements; ignoring them will not help us or the people we serve.
Francesco: c’è bisogno di credenti coerenti e impegnati nella costruzione della pace
Da: Vatican News
26 giugno 2024
Prima dell’udienza generale, il Papa ha salutato una delegazione della Moschea di Bologna e consegnato un discorso nel quale invita cristiani, ebrei e musulmani ad offrire al mondo contemporaneo una testimonianza di fraternità. Il Pontefice ha esortato anche al rispetto della libertà religiosa: “Ogni credente deve sentirsi libero di proporre e mai imporre la propria religione ad altre persone, credenti o no”. Anche i matrimoni misti "non devono essere occasione per convertire il coniuge”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Il breve incontro con un gruppo di musulmani da Bologna nello studio dell’Aula Paolo VI, prima dell’udienza generale, è lo spunto, per Papa Francesco, per esortare ancora alla fratellanza universale. Il Pontefice lo fa nel saluto consegnato alla delegazione della Moschea del capoluogo emiliano nel quale chiede soprattutto ai credenti di qualunque fede di promuovere l’armonia tra i popoli.
Il mondo, specialmente in questo momento storico, ha bisogno di credenti coerenti e fortemente impegnati nella costruzione e nel mantenimento della pace sociale e mondiale.
L’esempio di cristiani, ebrei e musulmani
Ad accogliersi “gli uni gli altri come fratelli” sono chiamati, “prima di tutto”, cristiani, ebrei e musulmani, che adorano “il Dio Unico”, e che fanno “riferimento, anche se in modi diversi, ad Abramo come padre nella fede”, è l’invito del Papa, che ritiene la “testimonianza di fraternità” dei fedeli delle religioni monoteistiche “indispensabile e molto preziosa” nel mondo di oggi.
Noi che abbiamo avuto il dono di questa appartenenza religiosa, siamo chiamati ad essere aperti e accoglienti verso quanti non la condividono, perché sono, come tutti noi, membri dell’unica famiglia umana.
Si rispetti la libertà di coscienza e di religione
Nel testo del discorso, Francesco sottolinea che “il dialogo sincero e rispettoso tra cristiani e musulmani è un dovere” per quanti vogliono “obbedire alla volontà di Dio”, il quale desidera “che i suoi figli si vogliano bene, si aiutino a vicenda, e che, se sorge tra loro qualche difficoltà o incomprensione, si mettano d’accordo con umiltà e pazienza”. Ma il dialogo richiede che si riconoscano “dignità” e “diritti di ogni persona”, aggiunge il Papa, e tra questi, anzitutto la “libertà di coscienza e di religione”.
Inoltre, ogni credente deve sentirsi libero di proporre – mai imporre! – la propria religione ad altre persone, credenti o no. Ciò esclude ogni forma di proselitismo, inteso come esercitare pressioni o minacce; deve respingere ogni tipo di favori finanziari o lavorativi; non deve approfittare dell’ignoranza delle persone.
Anche “i matrimoni tra persone di religioni diverse non devono essere occasione per convertire il coniuge” al proprio credo, aggiunge infine Francesco, che auspica alla delegazione della moschea di Bologna “buoni rapporti con la Chiesa cattolica: con il vescovo, con il clero e con i fedeli, nel rispetto reciproco e nell’amicizia” e ringraziando le comunità musulmane di essere “artigiani della pace”.
CEI: conversazione spirituale tra credenti in Italia. Le religioni a servizio della coesione sociale
Da: TV 2000
25 giugno 2024
CLICCA QUI PER VEDERE I VIDEO DEI SEGUENTI INTERVENTI: https://www.tv2000.it/blog/2024/06/25/cei-conversazione-spirituale-tra-credenti-in-italia-le-religioni-a-servizio-della-coesione-sociale-foto-e-video/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3VwM-CxojTnyrnLBHfCMMkGjlIuRvnYoIX3CnUABKJvbGhzfDNVXYmhjg_aem_9t7AShBgR8ksuqSpxUjOnA
Mons. Giuseppe Baturi – Segretario generale Conferenza episcopale italiana: “La religione divide quando afferma un Dio che si contrappone ad altri”.
La Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI ha promosso e organizzato a Roma, oggi 25 giugno, una Conversazione spirituale tra credenti in Italia sul tema “Le religioni a servizio della coesione sociale?”. Un momento di dialogo per vedere insieme i passi possibili per le persone credenti in vista del bene comune.
Mons. Derio Olivero – Presidente Commissione ep. CEI Ecumenismo e dialogo: “Le religioni possono diventare fermento e sorgente di coesione sociale”
Tra i temi dalla giornata d’incontri organizzato dalla CEI la presenza e convivenza delle religioni per un impegno generativo a servizio della coesione sociale: come in questi anni, in Italia, gli uomini e le donne delle diverse religioni hanno operato un lavoro in questa direzione, tenendo presente il clima di diffidenza a causa dei numerosi conflitti ora in atto. E quali le difficoltà incontrate e le sinergie vissute
Imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini – Vice Presidente Comunità religiosa islamica italiana: “La diffidenza e l’indifferenza sono innaturali”
Saul Meghnagi Unione comunità ebraiche italiane: “Le religioni hanno al loro interno il germe della solidarietà e dell’accoglienza”
Ravijit Kaur Borghi – Comunità Sikh italiana: “In tutto il mondo nascono sempre più conflitti. E’ compito delle religioni riportare un messaggio di unità e anche di risveglio della comunità umana”
Concierto de las Tres Culturas 2024
Da: UNESCO - Federaciòn Espanola de Asociaciones y Clubes para la UNESCO
21 giugno 2024
Ayer por la tarde, la majestuosa Basílica de San Francisco el Grande se llenó de música y cultura con la celebración del Concierto de las Tres Culturas, bajo el lema «Abrazando la Diversidad, Protegiendo Espacios de Culto y Abogando por la Libertad Religiosa» un evento que busca promover la convivencia y el diálogo entre las religiones católica, musulmana y judía.
El evento fue organizado por la Asociación Arco Fórum, contó con la inestimable acogida de los Padres Franciscanos y con el patrocinio de diversas organizaciones comprometidas con la Paz y el entendimiento intercultural, entre ellas Federación Española de Asociaciones y Clubs para la UNESCO (FECU).
La ceremonia de apertura estuvo a cargo del Director Ejecutivo de la Asociación Arco Forum, Temirkhon Temirzoda Naziri, quien destacó la importancia de la música como puente entre diferentes culturas y religiones.
Seguidamente, el Presidente de la Federación Española de Asociaciones y Clubs para UNESCO (FECU), Don Alberto Guerrero Fernández, ofreció unas palabras de bienvenida, resaltando el valor de este tipo de iniciativas para la construcción de una sociedad más inclusiva y respetuosa.
El Padre Jesús, párroco de San Francisco el Grande, también se dirigió a los asistentes, subrayando la relevancia de la iglesia como espacio de encuentro y reconciliación.
El concierto incluyó una rica variedad de piezas musicales representativas de las tres tradiciones religiosas.
El simposio del Proyecto Proctone concluyó con un concierto de la mano del JOIRE (Joven Ensemble Interreligioso Español); grupo formado por intérpretes de las tres religiones: cristiana, judía y musulmana. La velada se enriqueció aún más con la inclusión de danzas Derviches, que añadieron un elemento visual y espiritual al evento.
Al finalizar la ceremonia, se entregaron varios reconocimientos a personalidades destacadas que han contribuido al diálogo interreligioso y a la promoción de la paz. Entre los galardonados se encontraba D. Aitor de la Morena, delegado Episcopal de Ecumenismo y Diálogo Interreligioso de la Archidiócesis de Madrid, quien recibió un caluroso aplauso por su dedicación y compromiso.
El evento fue posible gracias al apoyo y patrocinio de Concierto Tres Culturas, Proyecto Protone, Asociación Arco Forum, Archidiócesis de Madrid, Community Construye Comunidades Crea Paz, Federación Española de Asociaciones y Clubs para UNESCO, Foro Abraham y Fundación Cultura de Paz.
Las religiones monoteístas quieren lugares de culto seguros
Da: Alfa Y Omega.es
19 giugno 2024
Con el conflicto armado en Oriente Medio en su apogeo, había quien le decía a Temirkhon Naziri, director ejecutivo de Arco Forum, que no era el mejor momento para organizar un simposio interconfesional sobre la protección de los lugares de culto. Él, sin embargo, opina todo lo contrario. «Ahora, en el momento en el que la gente duda, es cuando es imprescindible. De hecho, creo que hay que hacer muchas más actividades de este tipo», reflexiona en conversación con Alfa y Omega.
A pesar de las advertencias, el simposio se terminó celebrando este miércoles, 19 de junio, en el seminario de Madrid. Los ponentes reflexionaron sobre la gestión de la seguridad o el papel de la sociedad civil en la protección de los espacios de culto a través de la colaboración interreligiosa. En realidad, se trata del segundo de un conjunto de tres eventos —el primero fue en Berlín en febrero pasado—, cofinanciados por la UE y de temática similar, aunque con la particularidad de que cada confesión —católicos, musulmanes y judíos— realiza la acogida en cada uno de ellos.
Este baile de religiones y de encuentros no es baladí. En conversación con este semanario, los representantes de las tres religiones aúnan sus voces para declarar que este tipo de experiencias son «una riqueza» y «muy necesarias», a pesar de que en España no tenemos una especial inseguridad en este campo. El último suceso grave fue el asesinato de un sacristán en Algeciras, Diego Valencia. Lo habitual, explican, es que los incidentes tengan que ver más con pintadas o descalificaciones.
Más allá de los casos concretos, para Naziri, que es natural de Tayikistán y de religión musulmana, el diálogo interreligioso emprendido en este simposio tiene un impacto directo en la persistencia de la paz lograda en nuestro país. Asimismo, es un «aprendizaje para los seguidores de cada religión, quienes crecen en la asimilación de la cultura de convivencia, de tolerancia y de entendimiento común».
Aitor de la Morena, delegado episcopal de Ecumenismo y Diálogo Interreligioso de la Archidiócesis de Madrid, coincide con el director ejecutivo de Arco Forum —con quien le unen lazos de amistad— en el tema de la paz y los prejuicios, e incluso va un paso más allá. «El diálogo interreligioso nos permite también aprender y enriquecernos de los otros», sostiene. Como ejemplo, habla de las horas previas al simposio. «Estaba con Temir visitando la parroquia para ver dónde podía ensayar el grupo Joire —coral que interpreta piezas musicales vinculadas a las diferentes religiones—», que fue el encargado de cerrar la jornada con un concierto celebrado en la basílica de San Francisco el Grande. «Le estaba enseñando los locales y le surgían preguntas sobre cómo hacíamos nosotros para transmitir la fe a los niños». El delegado le contó «todo el proceso de catequesis de Primera Comunión o los problemas que tenemos para que luego los chicos no desaparezcan del mapa», rememora De la Morena. «Al acabar, yo le hice la misma pregunta y él me contestó: “Todo lo hacemos en la familia”», cuenta. Al final de la visita, el musulmán se había enriquecido con los itinerarios de fe de los católicos y el sacerdote había hecho lo propio con el papel de la familia entre los musulmanes a la hora de la transmisión de su religión.
Junto con católicos y musulmanes, el simposio también contó con un nutrido grupo de personas que practican la religión judía. Antonio Merino fue uno de ellos. En su caso, participó en la segunda mesa redonda, que versó sobre las perspectivas académicas y comunitarias sobre la protección de lugares de culto. Desde su punto de vista, «es muy fácil amar al que te ama, pero lo interesante es amar al que no te ama». Aunque, junto a esta reflexión, expresa el verdadero fruto que él espera del diálogo interreligioso: «Nuestro sueño es ahorrarnos —porque ya no haga falta— la parte del presupuesto que tenemos que dedicar a seguridad».
Shavuot: Israele tra scelta particolare e
vocazione
universale
11 giugno 2024
La Tora è stata data al popolo di Israele, sul monte Sinai.
Consegnata a un solo popolo, ma volutamente in un luogo che non appartiene a nessuno, ossia potenzialmente accessibile a tutti. Un noto midrash risolve questa tensione fra particolarismo e universalismo esprimendo una condanna per gli altri popoli: partendo dal versetto della Torà "Il Signore è venuto dal Sinai, da Seir splendette per loro, apparve dal monte di Paràn..." (Deut. 33:2), il midrash deduce infatti che il Signore abbia chiesto agli altri popoli la disponibilità a ricevere la Tora, prima di consegnarla al popolo di Israele. Tuttavia, ogni popolo la rifiutò, ritenendo impossibile rispettarla.
Con una tecnica tipica che richiama altri versetti della Torà a riprova, il midrash riporta alcuni esempi che sono suggeriti dal passo citato. Dapprima (i discendenti di) Esaù, la cui essenza è basata sulla spada e quindi non è compatibile con il "Non uccidere"; poi Ammonei e Moabiti che secondo la narrazione biblica originano da un incesto e quindi non possono far loro il "Non commettere adulterio"; infine (i discendenti di) Yishmaèl, che per indole non può accettare il "Non rubare". La conclusione è tuttavia generalizzata: "E così fece con ogni nazione, e siccome tutte rifiutarono, suscitarono l'ira del Signore".
Non solo, il midrash prosegue affermando che le nazioni del mondo rinnegarono perfino i precetti noachidi, dunque quelle che possono considerarsi leggi universali. Secondo la versione ancora più drammatica dello stesso midrash come elaborato nel Talmud Babilonese (Avodà Zarà 2b-3b), tale condanna è destinata a rimanere fino alla fine dei giorni. Il Talmud ritrae una scena che si svolge alla fine dei tempi, nella quale i popoli protestano per il fatto di non aver ricevuto la Torà, o forse per non essere stati obbligati ad accettarla come avvenuto per il popolo di Israele, ma le loro argomentazioni non risultano sincere e vengono quindi respinte. È evidente la finalità del midrash di rivendicare l'esclusività del patto con il Signore. Nella versione del Talmud viene infatti sottolineato come il Rav Joseph Soloveitchik (1903-1993) popolo di Israele sia sempre stato disposto pertino a sacrificare la propria vita in nome della Torà, un attaccamento che gli altri popoli non dimostrano affatto. L'immagine che scaturisce da questo midrash è tremenda: il popolo di Israele è isolato, il resto del mondo è dall'altra parte e gli rivolge accuse (o le rivolge al Signore).
Drammaticamente attuale.
Altre linee interpretative risolvono in modo differente la dualità particolare/universale. Rav J. D. Soloveitchik individua un duplice livello di impegno per il popolo di Israele: quello universale di promuovere la dignità umana e quello particolare di salvaguardare la sacralità del patto con il Signore.
Alcuni Maestri cercano perfino di armonizzare i due aspetti. Così, ad esempio, rav S. R. Hirsch vede nel
popolo di Israele gli affidatari di una missione. Egli commenta che «Una "nazione santa"
significa che proprio come individualmente ogni ebreo deve apparire come un Rav Rafael Hirsch (1808-1888)
sacerdote, così Israele come nazione ha il compito di far sì che il mondo sia un mondo di santità davanti a Dio. Deve essere una nazione unica tra le nazioni, una nazione che non esiste per la propria fama, la propria grandezza, la propria gloria, ma per il fondamento e la glorificazione del Regno di Dio sulla Terra, una nazione che non deve cercare la sua grandezza nel potere e nella forza, ma nell'assoluto della Legge Divina, la Tora, perché questa è la santità». Quella di rav Hirsch è una elaborazione di un concetto che si ritrova già nelle fonti classiche, con sfumature differenti: un proporsi attivamente come diffusori, istruttori dell'umanità (cosi ad es. Sforno, commentatore italiano vissuto a cavallo del 1500); oppure il costituire un esempio al quale altri possano ispirarsi (cosi ad es. rav Avrahàm figlio del
Rambàm, vissuto in Egitto nel XIII sec.).
Rav J. Sacks sviluppa un concetto di "dignità della differenza":
«Solo una fede che riconosce entrambi i tipi di alleanza - quella universale e
quella particolare - è capace di comprendere che l'immagine di Dio può essere presente in colui la cui fede non è la mia e il cui rapporto con Dio è diverso dal mio».
Tornando al midrash iniziale, occorre analizzare quali siano le accuse rivolte agli altri popoli. Il midrash richiama il fatto che il popolo di Israele abbia accettato a priori, in un atto di fiducia completa, qualsiasi condizione. In particolare, quindi, dà come presupposto che abbia accettato quelle regole che gli altri popoli avevano ritenuto impossibile mettere in pratica: il divieto di uccidere, di avere rapporti sessuali illeciti, di rubare.
Sono dunque queste caratteristiche i tratti distintivi del popolo ebraico, evidentemente soprattutto nel modo in cui questo è percepito all'esterno. Non dimentichiamo infatti che il contesto è quello della diatriba immaginaria fra il Signore e i popoli del mondo sul perché proprio il popolo di Israele sia stato scelto! In questo senso, il midrash non è poi così distante dalle altre linee interpretative riportate. Un monito, un invito, a ricordare sempre che in ogni atto del nostro vivere quotidiano, individuale e collettivo, siamo in realtà esponenti della "congrega di Israele", e siamo chiamati a quella che si definisce "santificazione del Nome divino".
Perché il Vaticano si interessa così tanto di intelligenza artificiale?
VATICAN MEDIA VIA VATICAN POOL/GETTY IMAGES
9 giugno 2024
Fra i player coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale c’è, a sorpresa, anche il Vaticano. Già nel 2020, in netto anticipo rispetto al boom degli strumenti di AI generativa come ChatGPT, il Vaticano, tramite l’ente Pontificia accademia per la vita, ha siglato la lettera d’intenti Rome Call for AI Ethics, insieme a Microsoft, Ibm, Fao e il Dipartimento italiano dell’innovazione tecnologica, per indicare le regole etiche da seguire nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Prima di algoritmi, modelli di apprendimento automatico e supercomputer, la Santa Sede mira a porre le basi per un futuro tecnologico che rispetti la dignità umana. Nel mezzo della rivoluzione tecnologica, il Vaticano si impegna a promuovere – in collaborazione con le altre religioni abramitiche – un utilizzo dell'intelligenza artificiale che rifletta valori umani fondamentali.
Cos’è la Pontifica accademia per la vita
Papa Francesco parteciperà alla sessione del G7 sull'intelligenza artificiale che si svolgerà dal 13 al 15 giugno prossimo a Borgo Egnazia, in Puglia, ma il rapporto fra Vaticano e AI è iniziato da tempo. Fu Papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Motu Proprio, Vitae Mysterium dell'11 febbraio 1994, a istituire la Pontificia accademia per la vita, la cui sede principale si trova nello Stato della Città del Vaticano. L'Accademia ha un ruolo principalmente scientifico, per la promozione e la difesa della vita umana. Questi obiettivi di ricerca non possono non tenere conto dell’intelligenza artificiale. “L'obiettivo è non solo di garantire che nessuno sia escluso, ma anche di proteggere le libertà che potrebbero essere minacciate dal condizionamento algoritmico”, si legge nella Rome Call for AI Ethics. Papa Francesco chiarisce che questo progresso, come quello della robotica, “può rendere possibile un mondo migliore se è unito al bene comune”.
La centralità dell'essere umano nella tecnologia
La Rome Call for AI Ethics si concentra su tre aree di impatto fondamentali: etica, educazione e diritti. In termini di etica, la Chiesa sottolinea che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti, un principio che deve essere riflesso nello sviluppo e nell'uso dell'AI. L'educazione è vista come un mezzo per costruire un futuro sostenibile attraverso l'innovazione, coinvolgendo le giovani generazioni. I diritti devono essere protetti da regolamentazioni che salvaguardino le persone, specialmente i più vulnerabili, e l'ambiente.
I sei principi fondamentali della lettera sono trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, affidabilità e sicurezza e privacy. La Chiesa ritiene che sia essenziale che la nuova tecnologia sia comprensibile per tutti, non discriminatoria, responsabile, libera da pregiudizi, affidabile e sicura, rispettando sempre la privacy degli utenti. Padre Paolo Benanti, professore straordinario di Etica della tecnologia presso la Pontificia Università Gregoriana e direttore scientifico della Fondazione RenAIssance, nonché membro del New Artificial Intelligence Advisory Board delle Nazioni Unite, a capo del comitato del governo su algoritmi e informazione e consigliere molto ascoltato della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha affermato: "Da sempre, il fine non giustifica i mezzi! Allora, la macchina che in qualche misura può determinare quale mezzo è più adeguato nel perseguire il suo fine, è una macchina che per sua natura ha bisogno di guardrail etici molto ampi, ne. Si tratta piuttosto di trasformare quest'ultima in sviluppo umano”.
Dialogo interreligioso e prospettive future
Di recente si sono svolti in Vaticano degli incontri interreligiosi sui temi dell'AI, nei quali si discutono questioni cruciali come la necessità che la novità rispetti la dignità e i diritti umani, garantendo trasparenza e comprensibilità delle tecnologie. Un'attenzione particolare è rivolta alla protezione della privacy e alla prevenzione delle disuguaglianze. “La fraternità tra tutti è il presupposto per garantire che lo sviluppo tecnologico sia anche al servizio della giustizia e della pace nel mondo”, ha scritto il papa prima di un incontro congiunto con i massimi rappresentanti della religione ebraica e islamica. "Quando la riflessione e il dialogo sui temi dello sviluppo tecnologico si incontrano in uno spirito di fraternità, è possibile trovare percorsi condivisi e soluzioni efficaci per costruire la pace e il bene comune", dichiara l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e della Fondazione RenAIssance.
Le applicazioni dell'AI possono affrontare problemi globali come la povertà, l'accesso all'istruzione e alla sanità, e la sostenibilità ambientale. La Chiesa incoraggia un approccio collaborativo e inclusivo, in cui nazioni e comunità lavorano insieme per garantire che l'AI benefici tutti, senza lasciare indietro nessuno. La promozione della solidarietà implica anche l'impegno a evitare che l'AI accentui le disuguaglianze esistenti o crei nuove forme di discriminazione, per questo la Santa Sede spinge affinché le multinazionali coinvolte aprano a un approccio etico e ragionato verso le future possibilità tecnologiche. La Rome Call for AI Ethics e i suoi sviluppi sono un passo significativo in questa direzione, stabilendo un quadro etico che può influenzare positivamente l'evoluzione dell'AI su scala globale.
Israeli, Palestinian envoys praise Pope’s prayer for peace
8 giugno 2024
From left to right, Abdallah Redouane, secretary general of the Islamic Center for Cultural Studies in Italy; Pope Francis; Rabbi Alberto Funaro; Palestinian Ambassador to the Holy See Issa Kassissieh and Israeli Ambassador to the Holy See Raphael Schutz participate in a June 7, 2014, prayer for peace in the Vatican Gardens, held in front of an olive tree planted by Israeli President Shimon Peres and Palestinian President Mahmoud Abbas in June 2014. (Credit: Vatican Media.)
ROME – Israeli and Palestinian envoys to the Holy See have applauded Pope Francis’s prayer for peace in the Vatican gardens Friday, commemorating a similar event held 10 years ago, with both calling the initiative symbolic and illustrative of the pope’s commitment to ending the Gaza war.
Speaking to Crux, Israeli Ambassador to the Holy See Raphael Schutz said the June 7 prayer was “a nice gesture showing the pope’s and the Holy See’s commitment to peace in our region, especially during these difficult times.”
Similarly, Ambassador of Palestine to the Holy See Issa Kassissieh quoted Pope Francis’s 2014 prayer for peace in the Middle East, telling Crux that on more than one occasion, “We have been on the verge of peace, but the evil one, employing a variety of means, has succeeded in blocking it.”
“I would add then that all evils came out of the box to spread hatred and destruction. Gaza is a witness to this evil,” he said, saying, “Pope Francis wants to remind us that the Holy Land, worn out by conflicts, is yearning justice and genuine peace, where the two States, Palestine and Israel, live side by side peacefully.”
Schutz and Kassissieh both participated in a special June 7 prayer for peace in the Vatican Gardens, attended by top Vatican officials, some 23 cardinals, and other members of the diplomatic corps accredited to the Holy See.
Rabbi Alberto Funaro and Abdallah Redouane, secretary general of the Islamic Center for Cultural Studies in Italy, were also present, representing the Jewish and Muslim communities in Rome.
The event was held to commemorate the 10th anniversary of an historic prayer for peace held in the same location of the Vatican Gardens in 2014, which was led by Pope Francis and attended by the late President of the State of Israel, Shimon Peres, and the President of the State of Palestine, Mahmoud Abbas, and Orthodox Patriarch Bartholomew I of Constantinople.
On that occasion, Peres and Abbas jointly planted an olive tree in a symbolic gesture of peace. Friday’s prayer event took place beside that same olive tree.
The event held special significance given the ongoing war in Gaza, which erupted last year following an Oct. 7 surprise attack by Hamas militants on Israel in which they killed some 1,200 people and abducted 251 others.
In November, 105 of the hostages were released during a week-long truce, however, around 120 remain unaccounted for, with Israeli officials stating that many are presumed dead. Israeli military in recent days confirmed the deaths of four of the remaining hostages, saying the men, most of whom were elderly, were killed together during an Israeli operation in Khan Younis in southern Gaza.
In response to the attack, Israel launched a massive ground and air offensive in Gaza that has left an estimated 36,470 people dead, according to the Hamas-run health ministry, in an effort to oust Hamas from power.
Pope Francis Friday voiced gratitude for the 2014 prayer for peace, saying that 10 years later, “it is important to remember that event, especially in light of what has unfortunately unfolded in Israel and Palestine.”
“Instead of deceiving ourselves that war can resolve problems and bring about peace, we need to be vigilant and critical towards an ideology that is unfortunately dominant today, which claims that conflict, violence and breakdown are part of the normal functioning of a society,” he said.
What is truly at stake, the pope said, are “power struggles” between various social groups, as well as partisan economic interests and “international political maneuverings aimed at an apparent peace yet fleeing from real problems.”
Francis said he prays daily that the war in Gaza will end, and that he prays for all communities in the region, including Jews, Christians, and Muslims.
He called for a ceasefire, for the release of Israeli hostages “as soon as possible,” and asked that access to humanitarian aid be guaranteed in Gaza. He also prayed that the homes of those who have been displaced will soon be rebuilt so they can return “in peace.”
Repeating his call for two-state solution to the longstanding conflict, Pope Francis said, “All of us must work and commit ourselves to achieving a lasting peace, where the State of Palestine and the State of Israel can live side by side, breaking down the walls of enmity and hatred.”
“We must all cherish Jerusalem so that it will become the city of fraternal encounter among Christians, Jews and Muslims, protected by a special internationally guaranteed status,” he said.
Peace, the pope said, is primarily about conversion, and as such, “is not made only by written agreements or by human and political compromises.”
Rather, peace, he said, “is born from transformed hearts, and arises when each of us has encountered and been touched by God’s love, which dissolves our selfishness, shatters our prejudices and grants us the taste and joy of friendship, fraternity and mutual solidarity.”
“Let us ask the Lord that the leaders of nations and the parties in conflict may find the way to peace and unity. May we all recognize each other as brothers and sisters,” he said.
Francis repeated the prayer for peace offered with Peres, Abbas and Bartholomew in 2014, saying, “We have tried so many times and over so many years to resolve our conflicts by our own powers and by the force of our arms.”
“How many moments of hostility and darkness have we experienced; how much blood has been shed; how many lives have been shattered; how many hopes have been buried…Now, Lord, come to our aid! Grant us peace, teach us peace; guide our steps in the way of peace.”
He asked that God would grant those in authority the courage to stop war and “to take concrete steps to achieve peace.”
“Keep alive within us the flame of hope, so that with patience and perseverance we may opt for dialogue and reconciliation. In this way may peace triumph at last, and may the words ‘division,’ ‘hatred’ and ‘war’ be banished from the heart of every man and woman,” he said.
In his comments to Crux, Kassissieh said Friday’s prayer for peace, held in the same location as the 2014 event, illustrates the pope’s determination “to defeat evil and war, and remind those who continue to advocate the war, that the path of peacemaking calls for courage, strength and will, much more so than warfare.”
Kassissieh voiced hope that the “echo” of the prayer for peace would be heard “clearly and loudly in the halls of the White House as well in the European capitals, and the whole world.”
“The peace prayer is a glimpse of hope to our people, at a time when our children wake up and go to sleep under the tents with the noise of bombs and bullets,” he said, urging the pope “to continue to pray and work for peace in the Holy Land.”
One Human Family: il cammino rivoluzionario verso la pace
© CSC Audiovisivi – Caris Mendes e Carlos Mana, Vatican Media, RKK.
5 giugno 2024
Sostenuti dall’invito di Papa Francesco, questo è l’impegno condiviso da 480 persone di diverse fedi religiose per la fraternità, la giustizia e la riconciliazione al centro del convegno interreligioso promosso dai Focolari iniziato il 31 maggio al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (Roma) e concluso il 4 giugno ad Assisi (Italia).
Con un pellegrinaggio di fraternità ad Assisi, si è concluso il convegno internazionale interreligioso “One Human Family”, promosso dal Movimento dei Focolari. Presenti 480 persone di 40 Paesi; 12 le lingue parlate.
Nella città della pace, la preghiera per la fraternità, la giustizia e la riconciliazione per tutti i popoli in conflitto, è risuonata come un patto solenne, accolto e pronunciato dai partecipanti, ciascuno secondo la propria fede.
Tra loro rabbini e rabbine, imam, sacerdoti cattolici, monaci buddisti Theravada e Mahayana, oltre a laici ebrei, musulmani, cristiani, indù, buddisti, sikh, e baha’i e fedeli delle religioni tradizionali africane, di tutte le generazioni.
Il convegno è stato realizzato da un team interreligioso che ha concentrato il programma sul bene supremo della pace, oggi estremamente minacciata.
“L’esperienza che stiamo facendo è incredibile, di famiglia e di presenza del divino” – raccontano Rita Moussallem e Antonio Salimbeni, coordinatori del Centro per il Dialogo Interreligioso dei Focolari – quando è nata l’idea del convegno non potevamo immaginare quel che sarebbe successo: il conflitto in Terra Santa e il riaccendersi di crisi in altre parti del mondo. Eppure, è proprio oggi che il dialogo è più che mai necessario. Abbiamo parlato dei passi necessari per costruire la pace, ma l’accento è stato posto soprattutto sull’esperienza concreta che stiamo facendo e che vogliamo portare nel mondo. D’altra parte, è l’incontro concreto con l’altro a trasformare i tanti polarismi in relazione”.
Gli interventi
Incontro, ascolto, passi di riconciliazione, condivisione del dolore dei popoli sono stati la cifra di questo convegno che ha alternato panel condotti da esperti a gruppi di dialogo tra i partecipanti. Politica e azione diplomatica internazionale, economia, Intelligenza artificiale e ambiente sono state le tematiche trattate tutte nell’ottica della pace. Numerosi gli accademici e gli esperti di molte culture, religioni e provenienze, che sono intervenuti; ne citiamo solo alcuni: l’ambasciatore Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Gran Rabbino Marc Raphaël Guedj, la teologa musulmana Shahrzad Houshmand Zadeh, la dott.ssa Kezevino Aram, Presidente dell’organizzazione indiana “Shanti Ashram”, la Rev. Kosho Niwano, Presidente designata del movimento buddista giapponese Risho Kossei Kai, l’ing. Fadi Shehadé, fondatore del Progetto RosettaNet, già CEO di ICANN. L’ economista Luigino Bruni, la filosofa indiana, prof.ssa Priya Vaidya, il teologo islamico Adnane Mokrani, il Prof. Dicky Sofjan, indonesiano, dell’International Center for Law and Religious Studies, il prof. Fabio Petito, docente di Religione e Affari Internazionali presso la Sussex University e tanti altri.
“Le religioni hanno una funzione fondamentale oggi”, ha ribadito l’Ambasciatore Ferrara. “Contrariamente a quello che dicono i realisti delle relazioni internazionali, la guerra non è la condizione normale dell’umanità. Le religioni possono svolgere il ruolo di ‘coscienza critica’ dell’umanità e rivolgersi alla politica, segnalando quali sono le priorità. C’è bisogno di immaginazione politica; di immaginare in un modo costruttivo, nuovo, creativo, il futuro di questo pianeta. Dobbiamo coltivare qualcosa che in questo momento manca nelle relazioni internazionali, che è la fiducia”.
Molto nutrite anche le sessioni dedicate a testimonianze personali, progetti, azioni incentrate sulla collaborazione tra persone e comunità appartenenti a fedi religiose diverse per la pace e a sostegno dei bisogni dei rispettivi popoli.
In udienza da Papa Francesco
Il 3 giugno una delegazione di 200 partecipanti è stata ricevuta in udienza da Papa Francesco che nel suo discorso ha definito il cammino iniziato da Chiara Lubich con persone di religioni diverse come: “Un cammino rivoluzionario che fa tanto bene alla Chiesa”. “Il fondamento su cui poggia questa esperienza – ha affermato ancora il Santo Padre – è l’Amore di Dio che si attua nell’amore reciproco, nell’ascolto, nella fiducia, nell’accoglienza e nella conoscenza gli uni degli altri, nel pieno rispetto delle rispettive identità”.
“Se da un lato queste parole ci danno profonda gioia – ha commentato Margaret Karram, Presidente dei Focolari – dall’altro sentiamo la responsabilità di fare molto di più per la pace. Per questo vogliamo lavorare per rafforzare e diffondere la cultura del dialogo e della “cura” delle persone e del creato. Il Papa ce l’ha confermato quando ha detto che il dialogo tra le religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo. In tempi terribilmente bui come questi l’umanità ha bisogno di uno spazio comune per dare concretezza alla speranza”.
Meet Dario Girolami, A Zen Teacher Engaged in Interfaith Work
4 giugno 2024
Dario Girolami, Abbot of Centro Zen L’Arco Roma, has been immersing himself in interfaith study, teaching, and social engagement since his college years in Rome. A former SFZC resident who was ordained by Zenkei Blanche Hartman and received Dharma Transmission from Eijun Linda Cutts, he currently is a leader in the international interfaith group Religions for Peace. He is co-president of Religions for Peace Italy and is on the Board of Directors of Religions for Peace Europe.
Religions for Peace, based at the United Nations building in New York City, has chapters in every nation represented in the U.N. as well as regional chapters. Religions for Peace, as stated on their website, “is committed to leading effective multi-religious responses to the world’s pressing issues. We believe that ambitious goals and complex problems can best be tackled when different faith communities work together.”
Dario describes his path to Buddhism in this way: “Although I was born in Rome, and was baptized and received communion, I have always been attracted to Buddhism. My first encounter with the Dharma was in 1973, when I was six years old. My homeopathic doctor and acupuncturist was also a yoga teacher. I don’t know exactly why, maybe he had seen something in me, but the fact is that he started teaching me yoga and gave me the first rudiments of meditation. The doctor also gave me books on meditation by Chogyam Trungpa and Thich Nhat Hanh. I then began to meditate quite regularly. Since I was a child I had great joint fluidity, and sitting in full lotus was easy for me. Meditation was a game to me, but at the same time something worked and I began to encounter states of deep absorption, perhaps because my mind as a child was not yet too contaminated.”
“This meditation game has always been with me, as are the books by Trungpa and Thich Nhat Hanh, which I still keep, all yellowed,” recalls Dario. “As I entered adolescence, I began to develop questions about life, death, and reincarnation, and I realized that I really liked the answers Buddhism offered. I therefore began to study Buddhism with more awareness and no longer as a game. Seeing my thirst for knowledge on topics of Eastern religion, I started to study Philosophy at the University of Rome, and began taking courses in Religions and Philosophies of India and the Far East and Sanskrit. As I studied at the University, I quickly realized that it was not so much theoretical study but practice that was essential.”
“I’ve always been interested in inter-religious dialogue,” Dario said. Although his PhD is in Buddhism, he studied world religions in college, and taught classes in World Religions and Comparative Religion at the American University in Rome. Now Dario is putting what he learned into action.
Dario studied with Riccardo Venturini, a professor of Psychology who became his friend and mentor. Venturini, a teacher in the Tendai Buddhist tradition, was a founder of Religions for Peace Italy. Dario began attending meetings with Venturini. When Venturini died over ten years ago, Religions for Peace Italy asked Dario to take his place.
What he enjoys most about Religions for Peace is “the friendships that have grown among us. Every meeting is like a party, joyous, like a brotherhood and sisterhood.” He feels that he is with his interfaith family. Over time they have come to trust each other. They bring this trust to their communities, and their communities become good friends. They meet in one another’s places of worship—a synagogue, a mosque, a church. Some of Darios Zen students join him at these meetings.
In the past, in inter-religious dialogue, mainly the Abrahamic religions (Judaism, Christianity, and Islam) were represented. “At first they just tolerated us Buddhists.” Slowly, Dario has been working on allowing more Buddhist voices to be heard. Already people are starting to ask about a Buddhist view on AI or abortion.
Dario was instrumental in paving the way for Religions for Peace Europe to attend meetings of the Council of Europe, based in Strasbourg, as listeners. Soon Religions for Peace will become a full member, widening the group’s influence. They will be able to propose items and issues for the Council to take up. Dario believes that Religions for Peace can be part of the solution for the world’s problems, since the group focuses on developing friendship and trust across religions. The group works with sensitive issues that affect all, such as climate change, migration, and mental health.
On Earth Day this April, Dario took part in a panel that met at Villa Borghese in Rome to discuss the climate crisis. All of the largest religions were represented: Catholicism, Protestantism, Judaism, Islam, Hinduism, Buddhism, and Baháʼí. Each person answered two questions: how their faith deals with climate change, and what actions people of their faith are taking. Dario’s Buddhist perspective—about interdependence and co-creating solutions—was different from most of the other panelists, who spoke about the world as God’s creation, which we humans need to take care of. He thought the other panelists appreciated his point of view.
As a member of the European Buddhist Union (EBU), Dario is responsible for the network of Buddhist Chaplains around Europe. He is developing the first course for Buddhist Chaplaincy in Europe through the EBU and Dharma Gate University in Budapest, which will grant participants an adult learning degree.
The two-year program will start in September 2024; faculty are all Dharma teachers from Theravada, Mahayana, or Vajrayana traditions. Most of the students are new to chaplaincy. Dario has obtained a grant from the Italian Buddhist Union that will cover 80% of tuition costs.
In the course, Dario will teach prison chaplaincy. Fifteen years ago, when he was a student at Green Gulch Farm, he visited San Quentin’s BuddhaDharmaSangha. On that visit he remembered a book his father had given him when he was a child, The Star Rover by Jack London, about an incarcerated person in a straitjacket who began to meditate. After he returned to Rome, Dario and members of his sangha began teaching meditation in Roman prisons.
Dario founded Centro Zen L’Arco in 1986 as a sitting group affiliated with Fudenji, the Italian Zen Monastery where he began his Zen training. He later studied at San Francisco Zen Center where he was ordained and received Dharma Transmission. He became Abbot of Centro Zen L’Arco in May 2019. Dario’s Dharma name is Keimyo Doshin (Joyful Life – Heart/Mind of the Way).
L'inquietudine dell'esistenza tra religione e innovazione
18 maggio 2024
La fede, unica variabile che tiene ancora uniti due aspetti fondamentali della nostra vita. Un cambiamento di prospettiva per intrecciare due concetti estremamente lontani ma allo stesso tempo molto vicini.
Religione e innovazione sembrano appartenere a orizzonti concettuali incommensurabili. C’è tutta una storia che lo dimostrerebbe, precisamente la vicenda storica della modernità e della secolarizzazione. Ma forse è arrivato il momento di rivedere l’interpretazione di questa storia. La teoria tradizionale della secolarizzazione, si pensi a Max Weber, ha visto chiaramente la radice religiosa (cristiana) della grande innovazione culturale prodottasi in occidente con il progressivo autonomizzarsi rispetto alla religione dei diversi sistemi sociali, quali la politica, la scienza, il diritto, la morale, solo per citarne alcuni. Ma se questo è vero, allora proprio qui incontriamo un primo, indubitabile segno di concordanza tra religione e innovazione, nonostante che le interpretazioni dominanti abbiano fatto di tutto per occultarlo. Con qualche buona ragione, sia ben chiaro. La religione cristiana infatti, specialmente nella sua variante cattolica, ha faticato non poco a conciliarsi con l’autonomia dei suddetti sistemi sociali, diventando paradossalmente una forza a essi ostile. Questi ultimi, a loro volta, l’hanno ripagata con altrettanta ostilità, orientando contro di essa la loro autonomizzazione. Una vera e propria catastrofe per la cultura moderna, i cui effetti si riverberano ancora oggi sulla nostra vita politica e culturale, fino al punto che è diventato ormai quasi un luogo comune ritenere che più innovazione scientifico-tecnologica equivalga, tra le altre cose, anche a un maggiore restringimento della sfera d’influenza della religione, sia sul piano della vita individuale che su quello della vita sociale. In questo modo i due termini si sono estraniati sempre di più l’uno dall’altro: l’innovazione è diventata una prerogativa scientifico-tecnologico-politica, mentre la religione, ossia la principale condizione che ha reso possibile il differenziarsi di questi sistemi sociali e quindi il dispiegarsi del loro potenziale innovativo, si chiude sempre di più nei suoi dogmi e nella sua organizzazione, diventando l’ostacolo per eccellenza a qualsiasi tipo d’innovazione, in attesa della sua inevitabile estinzione.
Questo, diciamo così, il modo “classico” di raccontare la storia. Ma forse oggi si vanno dischiudendo altre possibilità, proprio grazie al progressivo allargarsi di una sfera, certamente amica dell’innovazione, ma che potrebbe esserlo anche per la religione: la sfera della contingenza. Niklas Luhmann, per fare un esempio, ci dice che la prestazione principale che la religione offre a una società altamente differenziata come la nostra è precisamente quella di radicalizzarne la contingenza, la contingenza di tutto ciò che è, mostrando nel contempo la contingenza del mondo nella sua interezza. Ma se le cose stanno così, allora anche l’innovazione finisce per avere nella religione una delle principali condizioni che la rendono possibile. Un esito forse imprevisto per l’odierna mentalità dominante, ma certamente da prendere molto sul serio.
Il fatto che la religione abbia perduto molta della sua rilevanza sociale, dopo che la scienza, la politica, la morale, l’arte si sono progressivamente emancipate dal suo controllo, ha indotto molti a interpretare tutto questo come una sconfitta della religione, destinata a svolgere un ruolo sempre più residuale, e magari come una vittoria della politica, libera di occupare l’intero spazio pubblico senza alcun intralcio religioso. Eppure, se ci guardiamo intorno, specialmente in Europa, dobbiamo forse convenire che in questa battaglia dell’una contro l’altra, nel tentativo di sostituirsi l’una all’altra, politica e religione hanno perso entrambe. La politica rischia infatti di diventare religione, e la religione oscilla tra il diventare un fatto puramente “privato” o la stampella confessionale del potere dello stato. Paradossalmente però, ritornando al nostro tema, difficilmente una politica sacralizzata potrebbe essere amica dell’innovazione. Lo stesso si potrebbe dire della scienza o della religione. La differenziazione della società non consente sacralizzazioni di sorta; chiede piuttosto a ciascun sistema sociale di poter operare liberamente secondo il proprio codice. Per rimanere amica dell’innovazione, includendo nella comprensione di sé quell’allargamento della contingenza di cui si è detto, nemmeno la religione può più comprendersi in termini sacrali. Nella logica della differenziazione funzionale, essa dovrebbe coltivare la propria organizzazione senza confessionalismi e concentrarsi soprattutto su Dio nonché sull’unico medium che in una società differenziata potrebbe renderla ancora generativa (innovativa) in senso ecclesiale e sociale: la fede. È la fede che “fa nuove tutte le cose”, il paradosso per eccellenza, ciò che riduce complessità e nel contempo l’aumenta. Se trascendenza/immanenza è il codice del sistema religioso, la contingenza e una certa inquietudine ne sono il suo tratto ontologico-esistenziale più vero. Soltanto chi si sente inquieto può stare ancora tranquillo.
di Sergio Belardinelli per "Il Foglio" - quotidiano
Nell'Europa senza Dio è record di battesimi adulti in Francia e Belgio
8 maggio 2024
Il paradosso è che nell'era più interconnessa che il pianeta abbia mai conosciuto, con uno smartphone capace di dare subito tutte le risposte che si cercano, alla fine ci si sente più soli che prima. Il bisogno di un senso – anche religioso – che si fa largo nei più giovani.
Ibattesimi nel Tamigi, i templi buddisti affollati di giovani, le sinagoghe con millennial tra i banchi. “Il liberalismo secolare è formidabile nell’attrarre convertiti (tutte quelle deliziose libertà…) ma incapace di riprodursi. Le coppie religiose hanno molti più figli degli atei”, ha scritto sul Times James Marriott, impressionato dal risveglio del sacro nella multietnica e distratta Londra. Ma non dovevamo morire tutti atei, senza Dio e senza santi? Perfino gli amish sono passati da cinquemila unità nel 1900 al quarto di milione di oggi, nota il demografo Eric Kaufmann nel suo Shall the Religious Inherit in the Earth?. Il Pew Research Center stima che – in base alle tendenze attuali – i non religiosi caleranno sempre di più di qui al 2025. L’islam cresce a un ritmo doppio rispetto alla popolazione globale e la Cina – per quel che valgono stime indipendenti e giocoforza limitate dal particolare contesto locale – avrebbe almeno cento milioni di cristiani. L’Africa, poi, il grande serbatoio del cristianesimo, con le sue Chiese giovani e martiri. E tutti i discorsi sul tramonto della fede, sulle vocazioni in calo, sulla secolarizzazione? Valgono per l’Europa, con le vecchie cattedrali gotiche messe in vendita (in Olanda) o semplicemente chiuse perché non c’è più nessuno che possa viverle, affollarle e – meno aulicamente parlando – mantenerle.
Ma siamo sicuri che il discorso sia valido ovunque, da nord a sud e che le generalizzazioni siano opportune? Che il futuro sia quello delineato da Joseph Ratzinger, e cioè appannaggio delle “minoranze creative”, è assodato. Ma che l’orizzonte sia quello del deserto è quantomeno esagerato pensarlo. Il paradosso è che nell’èra più interconnessa che il pianeta abbia mai conosciuto, con uno smartphone capace di dare subito tutte le risposte che si cercano, alla fine ci si sente più soli che prima. Il bisogno di un senso – anche religioso – che si fa largo nei più giovani. In quelli, cioè, che sono stati privati di un’educazione religiosa e non hanno vissuto i riti propri della cristianità, routine per i loro nonni e forse (ma non dappertutto) per i loro genitori. I dati che giungono dalla Francia, patria incontrastata della laïcité, impressionano: settemila adulti hanno ricevuto il sacramento del battesimo durante la Veglia pasquale, il 31 per cento in più rispetto al 2023. Un anno fa, il 23 per cento dei neobattezzati aveva tra i 18 e i 25 anni, percentuale cresciuta quest’anno e arrivata al 36 per cento. In più, sono stati battezzati più di cinquemila adolescenti tra gli undici e i 17 anni, il 50 per cento in più rispetto all’anno scorso. I numeri sono ufficiali e sono stati diffusi nelle scorse settimane dalla Conferenza episcopale francese. Il direttore del Servizio giovani e vocazioni, padre Vincent Breynaert, ha detto che “nella società francese contemporanea, l’80 per cento dei giovani non ha ricevuto alcuna educazione religiosa. Questi ragazzi hanno ben poche idee preconcette sulla Chiesa. Ciò che hanno in comune coloro che chiedono il battesimo è l’aver fatto un’esperienza spirituale e un incontro personale con Cristo. Alcuni dicono di essere stati toccati dalla bellezza di una liturgia (a cui è capitato di partecipare), dal silenzio rilassante di una chiesa, dalla testimonianza di un amico. Hanno sete di formazione, di punti di riferimento, di fraternità e di senso di appartenenza”.
“Tutte le fasce di età registrano aumenti, ma la crescita maggiore è tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni”, ha detto mons. Olivier Leborgne, responsabile dell’Ufficio per la catechesi. L’aumento di battesimi è evidente nelle grandi città, come a Parigi, dove la percentuale è cresciuta del 27 per cento rispetto al 2023: qui i battesimi saranno 1.861, a fronte dei 1.461 del 2023. Ma anche nelle zone più rurali le stime sono positive. Quel che rileva, è che aumentano le persone che si dichiarano “provenienti da famiglie senza religione” e il cinque per cento addirittura da famiglie musulmane. I nuovi battezzati, adulti o adolescenti, non sono in grado di compensare numericamente il deficit dei neonati che ricevono il primo sacramento, ma il fatto che con la consapevolezza si decida di farsi battezzare fa ben sperare l’episcopato francese in vista del futuro: oggi solo l’otto per cento di quanti si dichiarano cattolici – non esiste un censimento circa l’affiliazione religiosa, ma solo sondaggi d’opinione – partecipa alla messa domenicale. Famille chrétienne ha definito i dati “sorprendenti”, soprattutto perché l’eco del Rapporto Sauvé sui casi di abusi presentato nel 2021 si fa ancora sentire, tra abiure pubbliche di vescovi, risarcimenti milionari e mea culpa collettivi. Nonostante la metodologia scelta per stilare il dossier – ammessi i questionari in forma anonima – abbia lasciato perplesso più d’un osservatore.
Un trend analogo, ancor più sorprendentemente, si registra in Belgio, dove il numero di battesimi adulti è raddoppiato in un decennio, passando dai 186 del 2014 ai 362 del 2024. Un ventinovenne nativo del Belgio fiammingo, ha detto al portale ufficiale della Chiesa belga che “la morte di mio nonno ha sollevato domande esistenziali che mi hanno portato alla Chiesa. Ho iniziato a leggere libri e ho scoperto che il cristianesimo faceva parte della mia identità. E’ stato come riscoprire la mia cultura, una rinascita. Dio e la fede cattolica mi hanno accolto a braccia aperte. Il mio interesse continuava a crescere e ho pensato: meglio una vita significativa che un’esistenza senza senso”.
di Matteo Matzuzziper "Il Foglio" - quotidiano
Giovani che lasciano la Chiesa. Ma la sete di spiritualità non si spegne
11 aprile 2024
Dall’indagine dell’Istituto Toniolo, i percorsi di chi ha abbandonato. Ma continua a sognare una Chiesa libera, povera, gioiosa. La sfida rappresentata dall’«esodo silenzioso» delle ragazze.
L’esodo silenzioso delle giovani donne dalla Chiesa e dalla fede cattolica. Il “caso serio” costituito dal rapporto fra comunità ecclesiale, fede dei giovani, apertura ai credenti Lgbt+. La sete e la ricerca di spiritualità che continuano ad abitare la vita di chi ha abbandonato la Chiesa e la fede nelle sue forme tradizionali – anche quando è una spiritualità senza Dio, o con un Dio senza nome, e che sempre meno spesso ha il nome di Gesù. Le contiguità e le consonanze di interrogativi, giudizi, idee – su Dio, la Chiesa, la fede, la vita, la morte, l’etica, la sessualità – fra i giovani che hanno lasciato e quelli che sono rimasti. Sono molteplici – e tutti urgenti, provocatori, potenzialmente fecondi – i motivi d’interesse della ricerca raccolta nel volume “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024) curato da Rita Bichi e Paola Bignardi, promosso dall’Istituto Toniolo – l’ente fondatore dell’Università Cattolica, nella cui sede milanese è stata presentata l’indagine (https://www.avvenire.it/giovani/pagine/istituto-toniolo-giovani-profeti-di-una-chiesa-che-sa-ascoltare-e-accogliere-tutti).
I numeri dell’esodo dalla Chiesa cattolica
L’allontanamento dei giovani dalla Chiesa e dalla fede cattolica è una tendenza che il Rapporto Giovani realizzato dal 2013 ogni anno dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo registra con fedeltà. Nel 2013 i giovani che si dichiaravano cattolici erano il 56,2% e nel 2023 il 32,7%. Negli stessi anni i giovani che si dicono atei sono passati dal 15% al 31%. Ancora più significativo il mutamento fra le giovani donne: quelle che si dichiarano cattoliche sono passate dal 62% al 33%, quelle che si dichiarano atee dal 12% al 29,8%. E se il trend continuasse così? Secondo i dati comunicati da Paola Bignardi presentando la ricerca in Cattolica, sul totale dei giovani italiani i cattolici sarebbero il 18% nel 2033 e il 7% nel 2050, le giovani cattoliche il 17% nel 2033 e il 6% nel 2050. «Un dato particolarmente interessante, forse in linea con l’evolvere della sensibilità spirituale – ha sottolineato Bignardi –: aumenta la percentuale dei giovani che dichiarano di credere in una generica entità superiore ma senza far riferimento a nessuna religione: nel 2023 sono il 13,4%; nel 2020 erano l’8,7%; nel 2016 il 6,2%».
Mettersi in ascolto di chi ha scelto altre vie
Dalle cifre alle storie. I numeri dicono molto. Ma non tutto. Ecco, allora, l’importanza di mettersi in ascolto dei giovani che hanno lasciato la Chiesa e la fede per conoscere e condividere i vissuti, i motivi e le dinamiche dell’abbandono, come ha fatto l’Istituto Toniolo con quest’ultima indagine. Nelle parole dei giovani, il ritratto di una Chiesa istituzione lontana dalla vita, più brava a giudicare che ad ascoltare e accogliere, più “azienda” che comunità dove sperimentare una fede e una spiritualità che sanno rispondere alla vita e alle sue domande di senso. Questi giovani «hanno difficoltà a riconoscersi negli insegnamenti della Chiesa, nella sua visione della vita e soprattutto nei suoi insegnamenti morali – scrive Bignardi –. Particolarmente presente è il tema dell’omosessualità; chi vive questa esperienza parla del suo essersi sentito giudicato e rifiutato; chi guarda la questione dall’esterno ritiene discriminatorie le posizioni della Chiesa e in contrasto con i suoi insegnamenti». Linguaggi e liturgia fanno sentire estranei. E l’abbandono della Chiesa è in genere graduale, consapevole, solo in alcuni casi “arrabbiato”.
Nuove rotte fra religione e spiritualità
Nelle parole di quegli stessi giovani c’è però anche nostalgia per la fede e la comunità cristiana. E c’è il sogno di una Chiesa aperta, plurale, libera e liberante, povera e vicina ai poveri, al dolore, alle fragilità: una Chiesa giovane e gioiosa, fa sintesi Giovanna Canale, docente, in uno dei contributi raccolti nel libro. I giovani lasciano la Chiesa, ma non sempre la fede, né la ricerca spirituale. Interiorità, natura, connessione i tre “luoghi spirituali” che emergono dalle interviste. Che sembrano confermare quanto scrive il teologo Tomáš Halík, citato da Bignardi: «La sfida principale per il cristianesimo ecclesiale di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità».
L’addio delle giovani donne
Fra i nodi incandescenti che emergono dall’indagine, quello che Fabio Introini e Cristina Pasqualini chiamano «l’esodo silenzioso delle giovani donne»: iniziato con la Generazione X (le nate fra 1965 e 1979), proseguito con le Millennials (1980-1995), continua con la Generazione Z (1996-2010). Per troppo tempo la Chiesa ha considerato le donne una presenza scontata, dovuta, ancillare all’establishment maschile. E oggi? Ragazze e giovani donne faticano a trovare ascolto e risposte alle loro esigenze, alle loro attese, al loro vissuto. Dall’iniziazione cristiana all’oratorio, troppe cose sono a misura di maschio.
Le “dinamiche dell’abbandono” parlano di percorsi “emancipativi” e «profondamente legati alla mobilità innescati dai percorsi di carriera di studio e lavoro». Che portano a contatto con la complessità della vita e dell’umano. E sono «la matrice di nuove domande di senso ma anche le fonti di nuovi saperi che fanno breccia nella precedente visione del mondo». L’addio, in genere non polemico, si fa “arrabbiato” «in riferimento al rapporto che l’istituzione ecclesiale mantiene con la comunità Lgbtq+ o in merito alla questione dell’aborto», e quando si toccano «la sfera della corporeità, della sessualità, delle relazioni di coppia e della maternità», scrivono Introini e Pasqualini.
La fede pare “protestantizzarsi”: non nel senso di una “individualizzazione” ma «per via del suo “trasformarsi” nel perseguimento del proprio “Beruf” di weberiana memoria, vale a dire il pieno compimento della propria vocazione “intramondana” nell’esercizio motivato e totalizzante del lavoro». Infine: le giovani intervistate, abituate a non avere spazio decisionale nella Chiesa, non lo rivendicano: hanno imparato a farne a meno. E a fare a meno della Chiesa. Ma la Chiesa può fare a meno delle donne? Come vivere e annunciare il Vangelo – e come essere Chiesa – senza di loro?
Chi se n’è andato, chi è rimasto: duecento voci da ascoltare
Cento giovani di tutta Italia, fra i 18 e i 29 anni, che si sono allontanati dalla Chiesa e dalla religione cattolica, ai quali – tramite colloqui individuali – è stato chiesto di raccontare il cammino dall’appartenenza ecclesiale all’“esodo”, la concezione di spiritualità, il pensiero sulla Chiesa e la fede. E 91 giovani che invece sono rimasti “vicini” alla Chiesa, le cui esperienze e idee sono state raccolte con la tecnica del focus group. Sono i due sotto-campioni dell’indagine pubblicata nel volume a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024): ricerca che giunge a quasi dieci anni dall’indagine raccolta nel libro “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia” (Vita e Pensiero, 2015) anch’esso curato da Bichi e Bignardi. “Cerco, dunque credo?” è promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, la Facoltà Teologica del Triveneto, l’Istituto superiore di Scienze religiose “Alberto Marvelli” delle diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione “San Tommaso d’Aquino” di Napoli. Il risultato? Un ritratto provocatorio e illuminante della realtà dei giovani. E un appello alla “conversione” della Chiesa. A partire dal dialogo con i giovani e la loro vita.
Così Federico II e Al-Malik governavano il mondo costruendo la pace
11 aprile 2024
Le Marche celebrano Federico II di Svevia ad Ancona (11-14 aprile) e Jesi (9-11 maggio) conl primo festival di storia dedicato alla figura di Federico, curato da Fulvio Delle Donne e dal titolo: “Stupor Mundi. Cercare la pace e stupire il mondo”. Questa prima edizione propone lezioni di docenti universitari come Franco Cardini, Agostino Paravicini Bagliani, Umberto Longo, Amedeo Feniello, Alessandro Vanoli, Laura Minervini, Annick Peters-Custot, Oleg Voskoboynikov, Antonio Musarra. Qui anticipiamo in sintesi la lezione di Marina Montesano; programma completo su www.festival-stupormundi.it.
Nel 1229, Al-Malik al-Kamil governava come sultano un vasto territorio che andava dall’Egitto alla Siria, e includeva dunque la Terra Santa. La sua dinastia, detta ayyubide, aveva conosciuto una straordinaria ascesa grazie a suo zio, Salah ad-Din Yusuf ibn Ayyub, per gli occidentali Saladino, generale curdo al servizio dei governanti zengidi di Mosul. Egli aveva creato il sultanato ayyubide nel 1171 grazie alla conquista dell’Egitto, riportato all’islam sunnita dopo la lunga parentesi del califfato fatimide sciita.
Fu un buon governo, quello degli ayyubidi, che mantennero una forte infrastruttura militare e politica, in grado di resistere alle minacce esterne, tra cui le invasioni crociate e le incursioni mongole. Stabilirono relazioni diplomatiche con gli Stati vicini e si impegnarono in alleanze e trattati per salvaguardare i loro territori. Allo stesso tempo, il periodo fu testimone di significativi progressi culturali e intellettuali. Al-Kamil sponsorizzò numerosi studiosi, poeti e artisti, contribuendo alla fioritura delle attività intellettuali e artistiche durante il suo regno. Egli attirava presso la sua corte del Cairo studiosi provenienti da varie parti del mondo islamico. Fornì loro risorse, tra cui biblioteche e stipendi, per condurre ricerche e studi. Questi studiosi contribuirono al progresso in campi come la teologia, la legge, la filosofia, la medicina e l'astronomia. Inoltre, egli sosteneva iniziative di traduzione, in particolare dal greco e da altre lingue, all'arabo. Uno sforzo atto a facilitare la trasmissione del sapere dalle antiche civiltà al mondo islamico, favorendone la crescita intellettuale e l'innovazione. Sotto di lui, il Cairo divenne un centro di attività letteraria e poetica, oltre a sponsorizzare la costruzione di moschee, madrase, palazzi e altri progetti architettonici. La corte di Al-Kamil era nota per il suo carattere cosmopolita e accoglieva studiosi e artisti provenienti da contesti culturali diversi. Questa atmosfera di scambio culturale favoriva la tolleranza e la comprensione tra le diverse comunità religiose ed etniche del suo regno.
Sull’altra sponda del Mediterraneo, in Italia meridionale, contemporaneamente al sultanato di Al-Kamil, regnava Federico II, re di Sicilia a soli quattro anni, nel 1198, e dal 1220 incoronato imperatore. Il lettore avrà riconosciuto, nello specchio del sultanato ayyubbide, molti dei caratteri di fondo del regno di Federico. La sua corte era un centro d’irradiazione di novità e di sperimentazioni culturali. La scuola poetica siciliana era sì debitrice della tradizione provenzale dei trovatori, ma a quell’influenza aveva unito i caratteri della tradizione lirica araba, sviluppata nell’isola dalla dominazione islamica e poi anche in epoca normanna. Lo stesso Federico II e i suoi figli Enzo e Manfredi poetarono, insieme a figure di spicco quali Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, Cielo d'Alcamo, Jacopo da Bologna.
Presso la curia federiciana convennero studiosi tra i più notevoli del tempo, come il filosofo e astrologo Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele; l’arabo cristiano Teodoro; l’enciclopedista ebreo Juda ben Salomon Cohen. Il sovrano ordinò la fondazione dello Studium napoletano di diritto e curò la scuola medica salernitana. Continuò la tradizione normanna di edificare castelli, spesso aggiungendo nuove strutture alle precedenti, ma edificò dal nulla il capolavoro di Castel del Monte. Come tutti gli aristocratici del suo tempo era amante della caccia, ma Federico stesso fu autore di un celebre trattato di falconeria, il De arte venandi cum avibus, nel quale immise il frutto della sua straordinaria capacità di osservazione.
Insomma, Al Kamil e Federico II avevano molto in comune fra loro, ed è per questo che il loro incontro durante quella che siamo soliti chiamare “sesta crociata” diede vita a qualcosa di nuovo: invece di combattere, i due sovrani si accordarono per negoziare lo status di Gerusalemme senza spargimento di sangue. Federico II andò all’incontro in una posizione particolare; poiché non si decideva a partire per la spedizione, Gregorio IX l’aveva scomunicato, e i suoi nemici in Italia avevano invaso il regno di Sicilia. Anche la pace con il sultano non piacque: si sarebbe preferita la guerra, invece del Trattato di Giaffa che nel 1229 poneva fine alle ostilità e permetteva ai cristiani di riprendere il controllo di Gerusalemme, acquisito dai crociati con una strage nel 1099 e perso per opera del Saladino nel 1187. Il trattato garantiva ai cristiani l'accesso ai luoghi santi di Gerusalemme, compresa la chiesa del Santo Sepolcro, il rilascio dei prigionieri e un passaggio sicuro ai pellegrini. In cambio Federico non proseguiva nella guerra. Sia chiaro: nessuno dei due era un idealista; entrambi avevano dimostrato di saper tenere saldamente il potere, anche con il pugno di ferro.
Nel 1225, Federico aveva contrattato un'alleanza matrimoniale con Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme: ne avrebbe sposato la figlia ed erede Isabella II. Dopo aver negoziato il trattato di Giaffa con il sultano, Federico si recò a Gerusalemme per affermare la sua pretesa al trono. Il suo matrimonio con Isabella II e il suo status di consorte fornirono la base legale e politica per la sua incoronazione come re di Gerusalemme. Dunque, l’interesse politico entrò certamente nel patto fra i due, che non vanno scambiati per “pacifisti”, termine che all’epoca non avrebbe avuto senso; entrambi, però, considerarono che l’assenza di guerra, per una questione che si poteva risolvere altrimenti, fosse una buona mossa. In fondo, trattative e paci non si stipulano forse fra nemici?
Siamo in guerra, ma occorre costruire pace nella giustizia
1 Gennaio 2024
Il Presidente della Repubblica Italiana; Sergio Mattarella, ha dedicato un’ampia parte del suo messaggio di fine anno 2023, al tema della pace e della guerra. La riportiamo, condividendone l’approccio equilibrato e costruttivo.
” … Sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità.
Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana.
La violenza.
Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate.
Le devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla.
L’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità.
La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti.
La guerra – ogni guerra – genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti.
La guerra è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza. E si pretende di asservire, di sfruttare. Si cerca di giustificare questi comportamenti perché sempre avvenuti nella storia. Rifiutando il progresso della civiltà umana.
Il rischio, concreto, è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini. Come – sempre più spesso – accade nelle guerre. Alla tragica contabilità dei soldati uccisi. Reciprocamente presentata; menandone vanto.Vite spezzate, famiglie distrutte. Una generazione perduta. E tutto questo accade vicino a noi. Nel cuore dell’Europa. Sulle rive del Mediterraneo.
Macerie, non solo fisiche. Che pesano sul nostro presente. E graveranno sul futuro delle nuove generazioni. Di fronte alle quali si presentano oggi, e nel loro possibile avvenire, brutalità che pensavamo, ormai, scomparse; oltre che condannate dalla storia.
La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Sempre più letali. Fonte di enormi guadagni.
Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano.
È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità della pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità.
Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti.
Ma impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola per il prossimo futuro.
Volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole.
Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone.
Per conseguire pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi.
Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà. …”
A cura di Luigi De Salvia
Calendario 2024 RfP continuando l’impegno per la pace
4 Novembre 2023
Quest’anno presentiamo il calendario di Religions for Peace Italia 2024 in un contesto di guerra che era già grave dopo l’invasione dell’Ucraina e si è ulteriormente aggravato dopo gli attacchi terroristici di Hamas in Israele del 7 Ottobre scorso e di tutto quello che ne è conseguito a livello locale e nelle più ampie relazioni internazionali già particolarmente tese.
Diventa, parallelamente, ancora più importante custodire il patrimonio di relazioni positive che si sono costruite negli anni grazie al dialogo ed alla cooperazione tra appartenenti di diverse tradizioni religiose e persone non religiose dedite alla promozione del bene comune, che è nel contempo condizione e frutto della pace.
Il nostro Calendario interreligioso 2024 ha per titolo Parole per la Pace.
Silenzio, umiltà, ascolto, compassione, speranza, lungimiranza, fiducia, pazienza, saggezza, coraggio, giustizia, servizio sono le 12 parole che caratterizzeranno i mesi dell’anno, accompagnate da citazioni scelte nel patrimonio culturale delle grandi tradizioni religiose ed umanistiche che ne approfondiranno il senso.
L’efficacia di queste parole non deriva automaticamente dall’averle apprese ed apprezzate in teoria; l’esperienza personale ci mostra infatti che sotto la spinta di pulsioni e pressioni inaspettate non sempre riusciamo a viverle nonostante le intenzioni.
Queste dodici parole rimangono, comunque, riferimenti costanti del nostro agire, rispetto alle quali metterci in discussione e valutare, a posteriori, l’esito delle nostre azioni, ovvero se hanno dato sollievo o aggravato le sofferenze nostre e degli altri, se hanno promosso bene comune o conflitti.
Per richiedere il Calendario di RfP Italia 2024 scrivere ad info@religioniperlapaceitalia.org
Discorso di Papa Francesco in visita a Marsiglia
24 Settembre 2023
Signor Presidente della Repubblica, cari fratelli Vescovi, illustri Sindaci e Autorità che rappresentate città e territori bagnati dal Mar Mediterraneo, amiche e amici tutti!
Vi saluto cordialmente, grato a ciascuno di voi per aver accolto l’invito del Cardinal Aveline a partecipare a questi incontri. Grazie per il vostro lavoro e per le preziose riflessioni che avete condiviso. Dopo Bari e Firenze, il cammino al servizio dei popoli mediterranei progredisce: anche qui, responsabili ecclesiastici e civili sono insieme non per trattare reciproci interessi, ma animati dal desiderio di prendersi cura dell’uomo; grazie perché lo fate con i giovani, presente e futuro della Chiesa e della società.
La città di Marsiglia è molto antica. Fondata da navigatori greci venuti dall’Asia Minore, il mito la fa risalire alla storia d’amore tra un marinaio emigrato e una principessa nativa. Fin dalle origini essa presenta un carattere composito e cosmopolita: accoglie le ricchezze del mare e dona una patria a chi non l’ha più. Marsiglia ci dice che, nonostante le difficoltà, la convivialità è possibile ed è fonte di gioia. Sulla carta geografica, tra Nizza e Montpellier, sembra quasi disegnare un sorriso; e mi piace pensarla così: Marsiglia è “il sorriso del Mediterraneo”. Vorrei dunque proporvi alcuni pensieri attorno a tre realtà che caratterizzano Marsiglia: il mare, il porto e il faro. Sono tre simboli.
Il mare. Una marea di popoli ha fatto di questa città un mosaico di speranza, con la sua grande tradizione multietnica e multiculturale, rappresentata dai più di 60 Consolati presenti sul suo territorio. Marsiglia è città al tempo stesso plurale e singolare, in quanto è la sua pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia.
Spesso oggi si sente ripetere che la storia mediterranea sarebbe un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti. Non ignoriamo iproblemi – ce ne sono! –, ma non lasciamoci ingannare: gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, mare straripante di tesori, al punto che, come scrisse un grande storico francese, esso non è «un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari»; «da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia» (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16).
Il mare nostrum è spazio di incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini.
Un grande sindaco leggeva nel Mediterraneo non una questione conflittuale, ma una risposta di pace, anzi «l’inizio e il fondamento della pace fra tutte le nazioni del mondo» (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 ottobre 1958). Disse infatti: «La risposta […] è possibile se si considera la comune vocazione storica e per così dire permanente che la Provvidenza ha assegnato nel passato, assegna nel presente e, in un certo senso, assegnerà nell’avvenire ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo misterioso lago di Tiberiade allargato che è il Mediterraneo» (Discorso di apertura del I Colloquio Mediterraneo, 3 ottobre 1958). Lago di Tiberiade, ovvero Mare di Galilea, un luogo cioè nel quale, ai tempi di Cristo, si concentrava una grande varietà di popolazioni, culti e tradizioni. Proprio lì, nella «Galilea delle genti» (cfr Mt 4,15) attraversata dalla Via del mare, si svolse la maggior parte della vita pubblica di Gesù.
Un contesto multiforme e per molti versi instabile fu la sede dell’annuncio universale delle Beatitudini, nel nome di un Dio Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Era anche l’invito ad allargare le frontiere del cuore, superando barriere etniche e culturali. Ecco allora la risposta che viene dal Mediterraneo: questo perenne mare di Galilea invita a opporre alla divisività dei conflitti la «convivialità delle differenze» (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73).
Il mare nostrum, al crocevia tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, concentra le sfide del mondo intero, come testimoniano le sue “cinque rive”, su cui avete riflettuto: Nord Africa, vicino Oriente, Mar Nero-Egeo, Balcani ed Europa latina. È avamposto di sfide che riguardano tutti: pensiamo a quella climatica, con il Mediterraneo che rappresenta un hotspot dove i cambiamenti si avvertono più rapidamente; quanto è importante custodire la macchia mediterranea, scrigno di biodiversità! Insomma, questo mare, ambiente che offre un approccio unico alla complessità, è “specchio del mondo” e porta in sé una vocazione globale alla fraternità, vocazione unica e unica via per prevenire e superare le conflittualità.
Fratelli e sorelle, nell’odierno mare dei conflitti, siamo qui per valorizzare il contributo del Mediterraneo, perché torni a essere laboratorio di pace. Perché questa è la vocazione, essere luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo, non delle ideologie che contrappongono. Sì, il Mediterraneo esprime un pensiero non uniforme e ideologico, ma poliedrico e aderente alla realtà; un pensiero vitale, aperto e conciliante: un pensiero comunitario, questa è la parola.
Quanto ne abbiamo bisogno nel frangente attuale, dove nazionalismi antiquati e belligeranti vogliono far tramontare il sogno della comunità delle nazioni! Ma – ricordiamolo – con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere sempre si torna al passato, non si costruisce il futuro.
Da dove dunque iniziare per radicare la pace? Sulle rive del Mare di Galilea Gesù cominciò col dare speranza ai poveri, proclamandoli beati: ne ascoltò i bisogni, ne sanò le ferite, proclamò anzitutto a loro il buon annuncio del Regno. Da lì occorre ripartire, dal grido spesso silenzioso degli ultimi, non dai primi della classe che, pur stando bene, alzano la voce. Ripartiamo, Chiesa e comunità civile, dall’ascolto dei poveri, che «si abbracciano, non si contano» (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bologna 2016, 39), perché sono volti, non numeri.
Il cambio di passo delle nostre comunità sta nel trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi, cacciandoli via, mandandoli a casa; sta nell’accoglierli, non nel nasconderli; nell’integrarli, non nello sgomberarli; nel dar loro dignità. E Marsiglia, voglio ripeterlo, è la capitale dell’integrazione dei popoli. Questo è un orgoglio vostro! Oggi il mare della convivenza umana è inquinato dalla precarietà, che ferisce pure la splendida Marsiglia. E dove c’è precarietà c’è criminalità: dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato. L’impegno delle sole istituzioni non basta, serve un sussulto di coscienza per dire “no” all’illegalità e “sì” alla solidarietà, che non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque.
In effetti, il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura.
Chi oggi si fa prossimo dei giovani lasciati a sé stessi, facili prede della criminalità e della prostituzione? Chi se ne prende carico? Chi è vicino alle persone schiavizzate da un lavoro che dovrebbe renderle più libere? Chi si prende cura delle famiglie impaurite, timorose del futuro e di mettere al mondo nuove creature? Chi presta ascolto al gemito degli anziani soli che, anziché esser valorizzati, vengono parcheggiati, con la prospettiva falsamente dignitosa di una morte dolce, in realtà più salata delle acque del mare? Chi pensa ai bambini non nati, rifiutati in nome di un falso diritto al progresso, che è invece regresso nei bisogni dell’individuo?
Oggi abbiamo il dramma di confondere i bambini con i cagnolini. Il mio segretario mi diceva che, passando per Piazza San Pietro, aveva visto qualche donna che portava i bambini nella carrozzina… ma non erano bambini, erano cagnolini! Questa confusione ci dice qualcosa di brutto.
Chi guarda con compassione oltre la propria riva per ascoltare le grida di dolore che si levano dal Nord Africa e dal Medio Oriente? Quanta gente vive immersa nelle violenze e patisce situazioni di ingiustizia e di persecuzione! E penso a tanti cristiani, spesso costretti a lasciare le loro terre oppure ad abitarle senza veder riconosciuti i loro diritti, senza godere di piena cittadinanza. Per favore, impegniamoci perché quanti fanno parte della società possano diventarne cittadini a pieno diritto.
E poi c’è un grido di dolore che più di tutti risuona, e che sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità. È il grido soffocato dei fratelli e delle sorelle migranti, a cui vorrei dedicare attenzione riflettendo sulla seconda immagine che ci offre Marsiglia, quella del suo porto.
Il porto di Marsiglia è da secoli una porta spalancata sul mare, sulla Francia e sull’Europa. Da qui molti sono partiti per trovare lavoro e futuro all’estero, e da qui tanti hanno varcato la porta del continente con bagagli carichi di speranza. Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, che non può essere chiusa. Vari porti mediterranei, invece, si sono chiusi. E due parole sono risuonate, alimentando le paure della gente: “invasione” ed “emergenza”. E si chiudono i porti. Ma chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza, cerca vita.
Quanto all’emergenza, il fenomeno migratorio non è tanto un’urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza: con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà. Sto guardando, qui, in questa mappa, i portiprivilegiati per i migranti: Cipro, la Grecia, Malta, Italia e Spagna… Sono affacciati sul Mediterraneo e ricevono i migranti. Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà.
Anche qui il Mediterraneo rispecchia il mondo, con il Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi. Eppure, questa situazione non è una novità degli ultimi anni, e non è questo Papa venuto dall’altra parte del mondo il primo ad avvertirla con urgenza e preoccupazione. La Chiesa ne parla con toni accorati da più di cinquant’anni.
Si era da poco concluso il Concilio Vaticano II e San Paolo VI, nell’Enciclica Populorum progressio, scrisse: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (n. 3). Papa Montini enumerò “tre doveri” delle nazioni più sviluppate, «radicati nella fraternità umana e soprannaturale»: «dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri» (n. 44). Alla luce del Vangelo e di queste considerazioni, Paolo VI, nel 1967, sottolineò il «dovere dell’accoglienza», sul quale, scrisse, «non insisteremo mai abbastanza» (n. 67). A questo, quindici anni prima, aveva incoraggiato Pio XII, scrivendo che «la Famiglia di Nazaret in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe emigranti in Egitto […] sono il modello l’esempio ed il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini di ogni età e di ogni paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, incalzati dalla persecuzione o dal bisogno, si vedono costretti ad abbandonare la patria, i cari parenti, […] e a recarsi in terra straniera» (Cost. Ap. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 1° agosto 1952).
Certo, sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà nell’accogliere. I migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati. Se non si arriva fino alla fine, il migrante finisce nell’orbita della società. Accolto, accompagnato, promosso e integrato: questo è lo stile. È vero che non è facile avere questo stile o integrare persone non attese, però il criterio principale non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità umana. Coloro che si rifugiano da noi non vanno visti come un peso da portare: se li consideriamo fratelli, ci appariranno soprattutto come doni. Domani si celebrerà la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Lasciamoci toccare dalla storia di tanti nostri fratelli e sorelle in difficoltà, che hanno il diritto sia di emigrare sia di non emigrare, e non chiudiamoci nell’indifferenza. La storia ci interpella a un sussulto di coscienza per prevenire il naufragio di civiltà. Il futuro, infatti, non sarà nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia. Contro la terribile piaga dello sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, secondo le possibilità di ciascuno, un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine.
Dire “basta”, invece, è chiudere gli occhi; tentare ora di “salvare sé stessi” si tramuterà in tragedia domani, quando le future generazioni ci ringrazieranno se avremo saputo creare le condizioni per un’imprescindibile integrazione, mentre ci incolperanno se avremo favorito soltanto sterili assimilazioni. L’integrazione, anche dei migranti, è faticosa, ma lungimirante: prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà; l’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri paradigmi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che fa divampare ostilità e insofferenze. Abbiamo bisogno di fraternità come del pane. La stessa parola“fratello”, nella sua derivazione indoeuropea, rivela una radice legata alla nutrizione e al sostentamento.
Sosterremo noi stessi solo nutrendo di speranza i più deboli, accogliendoli come fratelli. «Non dimenticate l’ospitalità» (Eb 13,2), ci dice la Scrittura. E nell’Antico Testamento si ripete: la vedova, l’orfano e lo straniero. I tre doveri della carità: assistere la vedova, assistere l’orfano e assistere lo straniero, il migrante.
A tale proposito, il porto di Marsiglia è anche una “porta di fede”. Secondo la tradizione, qui approdarono i Santi Marta, Maria e Lazzaro, che seminarono il Vangelo in queste terre. La fede viene dal mare, come rievoca la suggestiva tradizione marsigliese della Candelora con la processione marittima. Lazzaro, nel Vangelo, è l’amico di Gesù, ma è anche il nome del protagonista di una sua parabola attualissima, la quale apre gli occhi sulla disuguaglianza che corrode la fraternità e ci parla della predilezione del Signore per i poveri.
Ebbene, noi cristiani, che crediamo nel Dio fatto uomo, nell’unico e inimitabile Uomo che sulle rive del Mediterraneo si è detto via, verità e vita (cfr Gv 14,6), non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse. Non chiudiamo le vie dell’incontro, per favore! Non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte!
La Chiesa, confessando che Dio in Gesù Cristo «si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22), crede, con San Giovanni Paolo II, che la sua via è l’uomo (cfr Lett. enc. Redemptor hominis, 14). Adora Dio e serve i più fragili, che sono i suoi tesori. Adorare Dio e servire il prossimo, ecco cosa conta: non la rilevanza sociale o la consistenza numerica, ma la fedeltà al Signore e all’uomo!
Questa è la testimonianza cristiana, e tante volte è pure eroica; penso ad esempio a San Charles de Foucauld, “fratello universale”, ai martiri dell’Algeria, ma anche a tanti operatori di carità di oggi. In questo stile di vita scandalosamente evangelico, la Chiesa ritrova il porto sicuro a cui attraccare e da cui ripartire per intessere legami con la gente di ogni popolo, ricercando ovunque le tracce dello Spirito e offrendo quanto per grazia ha ricevuto.
Ecco la realtà più pura della Chiesa, ecco – scrisse Bernanos – «la Chiesa dei santi», aggiungendo che «tutto questo grande apparato di saggezza, di forza, di disciplina elastica, di magnificenza e di maestà, non è nulla di per sé, se la carità non lo anima» (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994, 74).
Mi piace esaltare questa perspicacia francese, genio credente e creativo, che ha affermato tali verità attraverso una moltitudine di gesti e scritti. San Cesareo di Arles diceva: «Se hai la carità, hai Dio; e se hai Dio, che cosa ti manca?» (Sermo 22,2). Pascal riconosceva che «l’unico oggetto della Scrittura è la carità» (Pensieri, n. 301) e che «la verità fuori della carità non è Dio, ma è la sua immagine e un idolo che non bisogna amare, né adorare» (Pensieri, n. 767). E San Giovanni Cassiano, che qui morì, scrisse che «tutto, anche ciò che si stima utile e necessario, val meno di quel bene che è la pace e la carità» (Conferenze spirituali XVI,6).
È bello dunque che i cristiani non siano secondi a nessuno nella carità; e che il Vangelo della carità sia la magna charta della pastorale. Non siamo chiamati a rimpiangere i tempi passati o a ridefinire una rilevanza ecclesiale, siamo chiamati alla testimonianza: non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne; non a misurare la visibilità, ma a spenderci nella gratuità, credendo che «la misura di Gesù è l’amore senza misura» (Omelia, 23 febbraio 2020). San Paolo, l’Apostolo delle genti che trascorse buona parte della vita sulle rotte mediterranee, da un porto all’altro,insegnava che per adempiere la legge di Cristo occorre portare gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,2).
Cari fratelli Vescovi, non carichiamo di pesi le persone, ma alleviamo le loro fatiche in nome del Vangelo della misericordia, per distribuire con gioia il sollievo di Gesù a un’umanità stanca e ferita. La Chiesa non sia un insieme di prescrizioni, la Chiesa sia porto di speranza per gli sfiduciati.
Allargate il cuore, per favore! La Chiesa sia porto di ristoro, dove le persone si sentanoincoraggiate a prendere il largo nella vita con la forza impareggiabile della gioia di Cristo. La Chiesa non sia dogana. Ricordiamo il Signore: tutti, tutti, tutti sono invitati.
E vengo brevemente così all’ultima immagine, quella del faro. Esso illumina il mare e fa vedere il porto. Quali scie luminose possono orientare la rotta delle Chiese nel Mediterraneo? Pensando al mare, che unisce tante comunità credenti diverse, credo si possa riflettere su percorsi più sinergici, forse valutando anche l’opportunità di una Conferenza ecclesiale del Mediterraneo, come ha detto il Cardinale [Aveline]. che permetta ulteriori possibilità di scambio e dia maggiore rappresentatività ecclesiale alla regione. Anche pensando al porto e al tema migratorio, potrebbe essere proficuo lavorare per una pastorale specifica ancora più collegata, così che le Diocesi più esposte possano assicurare migliore assistenza spirituale e umana alle sorelle e ai fratelli che giungono bisognosi.
Il faro, in questo prestigioso palazzo che ne porta il nome, mi fa infine pensare soprattutto ai giovani: sono loro la luce che indica la rotta futura. Marsiglia è una grande città universitaria, sede di quattro campus; dei circa 35.000 studenti che li frequentano, 5.000 sono stranieri.
Da dove cominciare a tessere i rapporti tra le culture, se non dall’università? Lì i giovani non sono ammaliati dalle seduzioni del potere, ma dal sogno di costruire l’avvenire. Le università mediterranee siano laboratori di sogni e cantieri di futuro, dove i giovani maturino incontrandosi, conoscendosi e scoprendo culture e contesti vicini e diversi al tempo stesso. Così si abbattono i pregiudizi, si sanano le ferite e si scongiurano retoriche fondamentaliste. State attenti alla predica di tanti fondamentalismi che oggi sono alla moda! Giovani ben formati e orientati a fraternizzare potranno aprire porte insperate di dialogo.
Se vogliamo che si dedichino al Vangelo e all’alto servizio della politica, occorre prima di tutto che noi siamo credibili: dimentichi di noi stessi, liberi da autoreferenzialità, dediti a spenderci senza sosta per gli altri.
Ma la sfida prioritaria dell’educazione riguarda ogni età formativa: già da bambini, “mischiandosi” con gli altri, si possono superare tante barriere e preconcetti, sviluppando la propria identità nel contesto di un mutuo arricchimento. A ciò può ben contribuire la Chiesa, mettendo al servizio le sue reti formative e animando una “creatività della fraternità”.
Fratelli e sorelle, la sfida è anche quella di una teologia mediterranea – la teologia dev’essere radicata nella vita; una teologia da laboratorio non funziona –, che sviluppi un pensiero aderente al reale, “casa” dell’umano e non solo del dato tecnico, in grado di unire le generazioni legando memoria e futuro, e di promuovere con originalità il cammino ecumenico tra i cristiani e il dialogo tra credenti di religioni diverse.
È bello avventurarsi in una ricerca filosofica e teologica che, attingendo alle fonti culturali mediterranee, restituisca speranza all’uomo, mistero di libertà bisognoso di Dio e dell’altro per dare senso alla propria esistenza. Ed è necessario pure riflettere sul mistero di Dio, che nessuno può pretendere di possedere o padroneggiare, e che anzi va sottratto ad ogni utilizzo violento e strumentale, consci che la confessione della sua grandezza presuppone in noi l’umiltà dei cercatori.
Cari fratelli e sorelle, sono contento di essere qui a Marsiglia! Una volta il Signor Presidente mi ha invitato a visitare la Francia e mi ha detto così: “Ma è importante che venga a Marsiglia!”. E l’ho fatto. Vi ringrazio per il vostro paziente ascolto e per il vostro impegno. Andate avanti, coraggiosi! Siate mare di bene, per far fronte alle povertà di oggi con una sinergia solidale; siate porto maccogliente, per abbracciare chi cerca un futuro migliore; siate faro di pace, per fendere, attraverso la cultura dell’incontro, gli abissi tenebrosi della violenza e della guerra.
Grazie tante!
Alluvione catastrofica in Libia.
Appello alla solidarietà Internazionale!
15 Settembre 2023
Una sconvolgente alluvione ha colpito la Cirenaica nell’area della città di Derna provocando danni disastrosi e mietendo un numero impressionante di vite umane: oltre 11000 morti che dovrebbero salire ad oltre 20000 considerando i dispersi in gran parte trascinati in mare.
Invitiamo tutti, istituzioni internazionali, associazioni umanitarie, comunità religiose e singole persone a dare il proprio contributo morale e materiale alle popolazioni colpite.
I canali e le modalità per aiutare sono molteplici; tra queste suggeriamo l’iniziativa della RAI, con il supporto di RAI per la Sostenibilità – ESG: una campagna di raccolta fondi con numero solidale 45525 (fino a domenica 17 settembre) lanciata insieme a Croce Rossa Italiana, Caritas Italiana e UNICEF, inizialmente prevista per sostenere progetti di ricostruzione in Marocco e in seguito estesa a supporto della popolazione della Libia, colpita da un violento uragano nel nord est del Paese.
Uso etico e morale dell’intelligenza artificiale: il ruolo cruciale della Chiesa
11 Settembre 2023
Le nuove tecnologie digitali, con la punta di diamante rappresentata dall’intelligenza artificiale (IA), stanno plasmando la società moderna in modi senza precedenti.
La Chiesa nella società iper-connessa
Ciò ha generato una moltitudine di visioni, molte delle quali si rivelano distopiche, alimentate dalle preoccupazioni su come l’IA possa sostituire l’essere umano, provocando disoccupazione di massa o, nel peggiore dei casi, sfuggendo al controllo del suo creatore e distruggere o rendere schiavo il genere umano. Ma vi è una luce in fondo al tunnel: una prospettiva di speranza che può essere realizzata attraverso l’uso etico e morale delle nuove tecnologie. La Chiesa, da sempre vigile osservatrice dei progressi tecnologici, ha un ruolo fondamentale in questo passaggio.
Nella società iper-connessa di oggi, l’intelligenza artificiale non è un semplice strumento; si sta trasformando in un compagno sempre presente, un’entità con cui interagiamo su una base quasi costante. Questa onnipresenza digitale può creare disconnessioni, non solo tra noi e la natura, ma anche tra noi stessi. Tuttavia, la Chiesa, con la sua antica saggezza, può servire come un faro morale per navigare in queste acque incerte.
La Chiesa come faro per navigare nell’innovazione
L’Industria 5.0 è la quinta fase della rivoluzione industriale, un’epoca caratterizzata dall’integrazione tra l’uomo e la tecnologia. Mentre l’Industria 4.0 poneva l’accento sulla digitalizzazione e l’automazione, l’Industria 5.0 sottolinea il ritorno dell’uomo al centro del processo produttivo. Non si tratta più di sostituire l’uomo con le macchine, ma di farle lavorare insieme, sfruttando i vantaggi di entrambi.
Questa nuova era industriale mette l’accento su concetti come personalizzazione, sostenibilità, e l’importanza del tocco umano. L’intelligenza artificiale (IA) ha un ruolo cruciale in questo contesto, in quanto può analizzare e trattare enormi quantità di dati, migliorando la produttività e l’efficienza. Tuttavia, in un’epoca di Industria 5.0, l’IA viene utilizzata per migliorare le capacità umane, non per sostituirle.
Parallelamente, anche l’Unione Europea ha introdotto il concetto di “IA human-centric”, un approccio che mira a garantire che l’IA sia utilizzata in modo che rispetti i diritti umani e i valori democratici. L’IA human-centric si concentra sulla creazione di un’IA che beneficia le persone e la società, promuovendo il benessere individuale e collettivo.
In questo scenario in rapida evoluzione, la Chiesa Cattolica si è dimostrata ancora una volta pioniera. Come sottolineato da Heidi Campbell, la Chiesa è stata probabilmente la prima istituzione religiosa ad abbracciare Internet, creare un sito web e dettare una politica ufficiale sull’uso di Internet per i membri delle sue comunità.
Infatti, la lungimiranza della Chiesa nel comprendere la portata rivoluzionaria delle innovazioni tecnologiche non è una novità. La Chiesa ha colto in anticipo rispetto ad altre istituzioni del suo tempo la carica rivoluzionaria di invenzioni come la stampa, la radio, il cinema, la televisione. Il primo libro stampato è stato la Bibbia, un esempio lampante di come la Chiesa abbia capito e sfruttato la potenza della tecnologia sin dalle sue prime fasi.
L’importanza del dialogo tra fede e scienza
Lo stesso approccio proattivo e innovativo viene adottato oggi nei confronti dell’IA e dell’Industria 5.0. Riconoscendo l’importanza del connubio tra parte industriale ed umana, la Chiesa si impegna a promuovere un uso dell’IA che rispetti e valorizzi la dignità umana. Questo approccio è in linea con i principi dell’IA human-centric dell’UE, evidenziando una volta di più come la Chiesa sia sintonizzata con le tendenze più avanzate della tecnologia.
Per fare un esempio concreto, la Chiesa ha sottolineato l’importanza della formazione nell’IA, riconoscendo che l’educazione è fondamentale per garantire che le persone possano navigare in modo sicuro ed etico in un mondo sempre più digitalizzato. Inoltre, la Chiesa sostiene l’importanza della regolamentazione dell’IA, per garantire che le nuove tecnologie siano utilizzate in modo responsabile e benefico per l’umanità.
La Chiesa continua a essere un attore chiave nel dialogo tra tecnologia e società, promuovendo un uso etico e umano-centrico delle nuove tecnologie. In un’epoca di Industria 5.0 e IA, la Chiesa sottolinea l’importanza di mettere l’uomo al centro, sostenendo un approccio che valorizzi sia le capacità umane che quelle delle macchine.
Il Vaticano ha sempre espresso un interesse attivo per la tecnologia. Papa Francesco, in particolare, ha sottolineato l’importanza del dialogo tra fede e scienza. Il suo messaggio, infatti, non è solo per i fedeli, ma per l’intera comunità globale, chiedendo un uso responsabile e umanistico dell’IA. Allo stesso tempo, la Chiesa si impegna ad educare il suo gregge, mettendo l’accento sull’importanza della formazione, dell’informazione e della pedagogia nell’utilizzo dell’IA.
L’importanza di un’IA umano-centrica: formazione e regolamentazione le parole chiave
Il Vaticano ha anche organizzato conferenze sull’etica dell’IA, invitando esperti da tutto il mondo per discutere e formulare linee guida etiche per l’uso delle nuove tecnologie. Questo sforzo è parte integrante dell’impegno della Chiesa a promuovere un futuro in cui l’IA è utilizzata per il bene comune e per l’umanità, passando da scenari (teorici) distopici a scenari (concreti) di speranza.
La Chiesa sostiene che l’IA dovrebbe sempre rispettare la dignità umana, la libertà e i diritti. In altre parole, l’IA dovrebbe essere “umano-centrica”, usata per migliorare la nostra vita, non per sostituirci. Ciò non significa negare l’innovazione, ma piuttosto orientare la tecnologia in un modo che promuova il bene comune.
Nella pratica, questo si traduce in due punti chiave: prima di tutto, la formazione. La Chiesa sostiene che tutti dovrebbero avere una comprensione di base dell’IA e delle sue implicazioni. Questo è essenziale per garantire che le persone possano prendere decisioni informate su come e quando utilizzare queste tecnologie. La seconda è l’educazione etica. L’IA ha un grande potenziale, ma se usata in modo improprio, può portare a conseguenze negative. L’educazione etica può aiutare a prevenire abusi, garantendo che l’IA sia utilizzata in modo responsabile e rispettoso della dignità umana.
La Chiesa riconosce anche l’importanza della regolamentazione. L’IA non dovrebbe essere un territorio senza legge; invece, dovrebbero esserci norme e regolamenti che garantiscano il suo uso responsabile. Inoltre, queste norme dovrebbero essere formulate con un approccio democratico, coinvolgendo tutte le parti interessate, non solo le aziende di tecnologia o gli esperti di IA.
Nel delicato dialogo che si sviluppa tra le varie posizioni sul ruolo dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie, la Chiesa può contribuire in maniera significativa offrendo la sua prospettiva umanistica. Infatti, la Chiesa promuove una visione dell’uomo come entità unica e irripetibile, portatrice di una dignità intrinseca che va sempre rispettata.
È importante sottolineare, però, che per affrontare in modo costruttivo le questioni poste dall’avvento dell’IA, occorre trovare un punto di equilibrio tra le varie posizioni. Non si tratta di scegliere tra la totale accettazione o il totale rifiuto dell’IA, ma di identificare un sottoinsieme comune che possa rappresentare un terreno fertile per una discussione produttiva e per il progresso.
Conclusioni
La Chiesa, attraverso la sua lunga storia di dialogo e mediazione, può svolgere un ruolo chiave in questo processo. Essa può contribuire a delineare i principi etici che devono guidare l’uso dell’IA, mettendo in risalto l’importanza della dignità umana, della giustizia sociale e del bene comune. Allo stesso tempo, può portare alla luce le implicazioni spirituali dell’IA, incoraggiando una riflessione più profonda sulle questioni di senso e di significato che emergono in questo contesto.
Tuttavia, il dialogo non deve essere limitato alla Chiesa (ovviamente non parliamo solo di quella cattolica) o agli esperti di IA. Per trovare un punto di equilibrio, è essenziale coinvolgere tutte le parti interessate: i responsabili politici, gli sviluppatori di IA, i cittadini comuni, le organizzazioni della società civile e così via. Solo attraverso un dialogo ampio e inclusivo è possibile definire con chiarezza le problematiche e individuare le soluzioni più adeguate.
In conclusione, l’IA e le nuove tecnologie rappresentano una sfida complessa che richiede una risposta equilibrata e multidimensionale. La Chiesa, con la sua prospettiva umanistica e la sua esperienza di dialogo, può contribuire significativamente a questo processo. Insieme, possiamo costruire un futuro in cui l’IA è una forza per il bene, un alleato dell’uomo piuttosto che un potenziale pericolo.
Solidarietà al popolo del Marocco tragicamente colpito dal terremoto
11 Settembre 2023
Il terremoto di forte intensità che ha colpito il Marocco con epicentro a sud di Marrakesh appare sempre più devastante di giorno in giorno. Si contano circa 2500 morti ed una grande quantità di feriti per non parlate della sofferenza dei sopravvissuti e di tutto il popolo del Marocco, nonché degli enormi danni materiali.
Mentre esprimiamo con grande affetto la nostra vicinanza solidale ai familiari ed amici delle vittime ed a tutti coloro che stanno vivendo giorni drammatici, ci uniamo anche ai tanti immigrati marocchini che vivono nel nostro paese e con i quali molti di noi hanno stretto amicizia attraverso il dialogo e numerose iniziative comuni.
Invitiamo quanti vivono la pratica della preghiera a pregare per le vittime e per quanti sono nel dolore e nel disagio e contemporaneamente sollecitiamo l’aiuto concreto per le necessità immediate e per l’avvio della ricostruzione dalle macerie spaventose provocate dal sisma.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) del Marocco ha reso note le modalità di contribuzione al Fondo Speciale numero 126 per la gestione degli effetti del terremoto che ha colpito il Marocco, creato su istruzioni del Re Mohammed VI e nell’ambito dello sforzo nazionale per mettere in atto misure di emergenza per mitigare l’impatto del terremoto che ha colpito diverse regioni del Regno.
Per i bonifici effettuati dall’estero:
I cittadini e gli enti pubblici e privati che intendono contribuire al predetto Fondo Speciale tramite bonifico bancario sono pregati di specificare quanto segue:
– IBAN del beneficiario:
MA64001810007800020110620318
– Nome del beneficiario: Tesoriere Ministeriale presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
– Banca del beneficiario: Banca Al-Maghrib.
– SWIFT: BKAMMAMR.
– Scopo del bonifico: contributo al fondo speciale numero 126.
Gli interessati potranno versare il loro contributo con carta di credito, attraverso il portale Internet della Tesoreria Generale del Regno del Marocco (www.tgr.gov.ma), aggiunge un comunicato stampa del ministero.
Possono anche effettuare il pagamento dei loro contributi in contanti o mediante assegni bancari ai contabili delle missioni diplomatiche e consolari del Regno del Marocco all’estero.
Gli assegni bancari saranno intestati al nome del commercialista es-qualité (tesoriere ministeriale, tesoriere regionale, tesoriere prefettizio o provinciale, esattore delle tasse o contabile all’estero).
“L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”
così il Presidente Mattarella a Rimini
26 Agosto 2023
Rimini, 25/08/2023 (II mandato)
Rivolto un saluto di grande cordialità a tutti i presenti e ringrazio il Presidente Scholz per le sue considerazioni e per le parole che ha avuto, così cortesi.
Permettetemi di riprendere le fila di un discorso avviato con la vostra comunità sette anni or sono, nel 2016, qui a Rimini.
Nel frattempo, molti di quei giovani sono passati all’età adulta; tanti sono in cammino; mentre nuove generazioni si affacciano nella continuità di una speranza, di un impegno.
Ricorrevano, allora, – come ha ricordato il Presidente Scholz – i settant’anni della Repubblica; e mi appare significativo che questo nuovo dialogo diretto avvenga in occasione dei settantacinque anni della nostra Costituzione.
Il titolo – coraggioso – di quel Meeting, affermava: “tu sei un bene per me”; sottolineando il valore dell’incontro.
Senza che fosse progettato, nell’anno del Covid – era il 2021 – ho avuto modo di rivolgermi alla platea dei partecipanti, da remoto, quando a tema era posto “il coraggio di dire io”.
Mi sembra, quasi, un completamento di riflessione svolgere qualche considerazione, qui, quest’anno, sull’amicizia, carattere dell’esistenza umana.
Ringrazio, per questa opportunità, gli organizzatori del Meeting; e rivolgo un saluto e un augurio, calorosi, ai giovani che hanno animato gli incontri di questa settimana; e che torneranno da Rimini con più conoscenze e maggiori motivazioni; ai volontari che, con il loro servizio e la loro passione, hanno consentito che si realizzasse un programma di eventi così ricco; contributo, impegnativo, al pensiero contemporaneo.
Vorrei che ci interrogassimo.
Su cosa si fonda la società umana; la realtà nella quale ciascuno di noi è inserito; la realtà che si è organizzata, nei secoli, in società politica dando vita alle regole – e alle istituzioni – che caratterizzano l’esperienza dei nostri giorni?
È, forse, il carattere dello scontro? È inseguire soltanto il proprio accesso ai beni essenziali e di consumo? È l‘ostilità verso o il proprio vicino, o il proprio lontano? È la contrapposizione tra diversi? O è, addirittura, sul sentimento dell’odio che si basa la convivenza tra le persone?
Se avessimo risposto affermativamente, anche, soltanto, a una di queste domande, con ogni probabilità, il destino dell’umanità si sarebbe condannato da solo; e da tempo.
Invece, il crescere dell’amicizia fra le persone è quel che ha caratterizzato il progresso dell’umanità.
L’amicizia, come vocazione – incomprimibile – dell’uomo.
Vi è una circostanza, che richiama l’attenzione. Ogni volta che l’umanità si è trovata di fronte al baratro – è accaduto con le due guerre, mondiali, novecentesche – ha trovato, dentro di sé, le risorse quelle morali, per ripartire, per costruire un mondo diverso, in cui il conflitto lasciasse posto all’incontro. Per immaginare e progettare, il futuro insieme.
E se questa prospettiva è naufragata nel decennio, iniziato quasi alla metà degli anni venti, proprio per difetto di sentimenti di solidarietà e di reciproca comprensione e disponibilità tra i popoli, ha avuto successo, negli anni Quaranta e Cinquanta, per la comunità internazionale, con il dar vita alle Nazioni Unite e con l’avvio della integrazione d’Europa.
Uno spirito, analogo, ha ispirato la nostra Assemblea Costituente nella quale opinioni diverse si sono incontrate in spirito di collaborazione, per condividere e affermare i valori della dignità, ed eguaglianza, delle persone; della pace; della libertà.
Ecco, come nasce la nostra Costituzione: con l’amicizia come risorsa a cui attingere per superare – insieme – le barriere e gli ostacoli; per esprimere la nostra stessa umanità.
Per superare, per espellere l’odio, come misura dei rapporti umani. Quell’odio che la civiltà umana ci chiede di sconfiggere nelle relazioni tra le persone; sanzionandone, severamente, i comportamenti, creando, così, le basi delle regole della nostra convivenza.
“Homo homini lupus” di Plauto e il presunto “stato di natura” di Thomas Hobbes hanno, sempre, rappresentato ostacoli per la soluzione dei problemi dell’umanità.
L’aspirazione non può essere quella di immaginare che l’amicizia unisca soltanto coloro che si riconoscono come simili.
Al contrario. Se così fosse, saremmo sulla strada della spinta alla omologazione, all’appiattimento.
L’opposto del rispetto delle diversità; delle specificità proprie a ciascuna persona.
Non a caso, la pretesa della massificazione è quel che ha caratterizzato ideologie e culture del Novecento che hanno portato alla oppressione dell’uomo sull’uomo.
Le identità plurali delle nostre comunità sono il frutto del convergere delle identità di ciascuno di coloro che le abitano, le rinnovano, le vivificano. Nel succedersi delle generazioni e delle svolte della storia.
È la somma dei tanti “tu”, uniti a ciascun “io”, interpellati dal valore della fraternità, o, quanto meno, del rispetto e della reciproca considerazione.
È il valore della nostra Patria, del nostro straordinario popolo – tanto apprezzato e amato nel mondo – frutto, nel succedersi della storia, dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni; di apporto di diversi idiomi per la nostra splendida lingua; e nella direzione del bene comune.
Amicizia, per definizione, è contrapposizione alla violenza. Parte dalla conoscenza e dal dialogo. Anche in questo, l’amicizia assume valore di indicazione politica.
Non mancano, mai, i pretesti per alimentare i contrasti.
Siano la invocazione di contrapposizioni ideologiche; la invocazione di caratteri etnici; di ingannevoli, lotte di classe; o la pretesa di resuscitare anacronistici nazionalismi.
Quanto avviene ai confini della nostra Europa, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, ne dà drammatica testimonianza.
Viviamo un tempo di cambiamenti profondi, velocissimi, addirittura tumultuosi in alcuni campi. Tanto da non consentire, spesso, di avvalersi di uno sguardo lungo che ci aiuti a comprendere, in profondità, quale sia la direzione della nostra vita; immersi nell’affannoso consumo di un eterno presente; immemore del giorno prima e indifferente al giorno dopo.
Le trasformazioni incidono sui modelli sociali, sulla produzione e il lavoro, ma anche sugli abiti mentali, sulla stessa cultura, sulle aspettative delle donne e degli uomini.
Tanti descrivono il nostro come il tempo dell’individuo. L’individuo che sente di avere opportunità e respiro, mai raggiunti prima.
È giusto cogliere, in questo processo, il segno positivo in termini di comprensione del proprio ruolo, della propria responsabilità, dei propri diritti. Ma occorre, anche, saperne leggere i rischi di aspetti critici, di distorsioni.
L’auto-affermazione dell’io, nella sua più assoluta centralità in realtà nella sua piena solitudine, appare priva di qualunque senso.
Il concetto di individuo rischierebbe di separarsi da quello di persona.
L’affermazione di sé – uno dei motori della vita comunitaria – vale, in realtà, se è inserita nella comunità in cui si è nati, o in cui si è scelto di vivere; e se contribuisce alla sua crescita.
Vorrei attirare, ora, la vostra attenzione su un tema ricco di suggestioni ed evocativo; che si inserisce, a mio giudizio, nel filone di riflessione sul rapporto tra amicizia e istituzioni.
Nel dibattito pubblico si cita, sovente, il “diritto alla felicità” elencata – come da perseguire – assieme a quelli alla vita e alla libertà, nella Dichiarazione di indipendenza, del 4 luglio 1776, degli Stati Uniti.
È già interessante notare l’influenza del pensiero di esponenti della cultura del nostro Paese su quel testo. Nel confronto tra Beniamino Franklin e il filosofo napoletano Gaetano Filangieri fu, infatti, l’insegnamento di quest’ultimo a suggerire di sostituire alla espressione “diritto alla proprietà” quella relativa alla felicità.
Non vi è definizione equivalente nella nostra Carta costituzionale; eppure, vi sono pochi dubbi circa il fatto che gli articoli della Costituzione delineino una serie di diritti, e chiedano, alla Repubblica, una serie di azioni positive per conseguire condizioni che rendano gratificante l’esistenza; sia pure senza la pretesa che la felicità sia una condizione permanente; quasi che la vita, con le sue traversie, non introduca momenti di segno diverso.
È sufficiente riferirsi all’art. 2 della Carta dove si prevede che la Repubblica deve riconoscere, e garantire, i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità; e deve richiedere l’adempimento dei doveri, inderogabili, di solidarietà. E, all’art. 3, che chiede alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; dopo aver sancito che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono uguali davanti alla legge.
È, cioè, la dimensione comunitaria; sono le relazioni sociali a determinare la concretezza di esercizio dei diritti.
Ecco allora: le nostre istituzioni sono basate sulla concordia sociale, sul perseguimento – attraverso la coesione, dunque la solidarietà – di sentimenti di rispetto e di collaborazione: l’amicizia riempie questi rapporti, rendendoli condizione per la felicità.
Sono i sentimenti e i comportamenti umani che esaltano la vita della comunità.
Il benessere consentito dalla pace – di cui, sino a ieri, ha potuto godere l’Europa – è frutto di questa visione. È la discordia che lo pone a rischio.
È un tema universale.
L’Onu, dieci anni fa, ha definito il 20 marzo Giornata Internazionale della Felicità invitando tutti gli Stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative, e i singoli individui, a celebrare questa ricorrenza in maniera appropriata, anche attraverso attività educative, di crescita della consapevolezza pubblica (…).
Nell’occasione, il Segretario generale dell’epoca Ban Ki-moon ha ribadito: “Felicità, è aiutare gli altri. Quando, con le nostre azioni, contribuiamo al bene comune, noi stessi ci arricchiamo. È la solidarietà – diceva – che promuove la felicità”.
L’amicizia, come è evidente, non è una questione intimista. Nasce, anzitutto, dal riconoscere l’altro – nella sua diversità – uguale a noi stessi.
Ecco, ancora una volta, perché il sentimento dell’amicizia supera la qualità – che sovente gli viene attribuita – di mera terapia contro la solitudine, di edulcorante dell’esistenza, e riconferma il suo valore di scelta sociale e politica su cui fondare la società, su cui fondare il rapporto con gli altri popoli nella dimensione della comune appartenenza all’unica famiglia umana – qui ricordata, giorni fa dal Cardinale Zuppi – e nella dimensione dell’incontro.
Sono trascorsi ottant’anni dal convegno di Camaldoli, nel luglio del 1943, nel quale un nucleo di intellettuali cattolici provò a delineare le caratteristiche e i principi di un nuovo ordinamento democratico.
La dittatura fascista si stava consumando; ma ancora avrebbe causato – all’Italia e all’Europa – lutti, devastazioni, crudeltà, sofferenze.
A Camaldoli provarono – nella temperie più drammatica – a disegnare una democrazia, un ordinamento pluralista; fondato sull’inviolabile primato della persona e sulla preesistenza delle comunità rispetto allo Stato.
Perché il bene comune è responsabilità di tutti.
Come, poc’anzi ricordavo, in Italia abbiamo la fortuna di una Costituzione orientata al rispetto della dignità di ogni persona; alle sue possibilità di realizzazione personale; e, quindi, al perseguimento della felicità di ciascuno, nel rispetto del bene comune.
Ne troviamo consapevolezza nelle prime parole del Codice di Camaldoli, quello che fu chiamato successivamente Codice di Camaldoli : “L’uomo è, per sua natura, un essere socievole: sussiste, cioè, fra gli uomini una naturale solidarietà, fratellanza e complementarietà, per cui le esigenze delle singole, personalità non possono essere pienamente soddisfatte che nella società”.
È il binomio persona-comunità a sorreggere un ordinamento che non deve essere intrusivo, ma diretto a valorizzare pluralità e libertà.
Papa Francesco, nell’enciclica “Fratelli tutti”, ha parlato di “amicizia sociale” come orizzonte di un nuovo, più intenso, dialogo tra le generazioni; tra la cultura popolare e quella accademica; tra l’arte, la tecnologia, l’economia.
Un rinnovato umanesimo nel tempo dell’innovazione, in cui avanzano le neuroscienze, la robotica, l’intelligenza artificiale, l’ingegneria genetica, le frontiere della medicina, le tecnologie digitali.
L’amicizia sociale è una dimensione che lega la comunità, nell’affrontare le sfide della storia.
Favorire la dimensione sociale dell’amicizia è un impegno a cui sono chiamate, tutte, le pubbliche istituzioni; ma, con esse, anche le forze sociali, economiche, le energie civili.
Ora, siamo di fronte a un’altra, grande, e grave evidenza che comporta responsabilità.
Non si possono ignorare gli appelli dell’ONU attraverso le parole, allarmate, del suo Segretario Generale.
Proprio qui, in Romagna, ne abbiamo vissuto drammatica, sottolineatura. L’alluvione ha lasciato ferite profonde.
I cittadini della Romagna – e i loro sindaci – non vanno lasciati soli. La ripartenza delle comunità e, con esse, di ogni loro attività, è una priorità, non soltanto per chi vive qui, ma per l’intera Italia.
L’amicizia è fonte di speranza.
La speranza nasce da un sentire comune.
Da un sostegno offerto.
Da testimonianze coerenti.
Da un futuro immaginato insieme.
“La speranza è il respiro della vita umana” ha scritto Jurgen Moltmann. E lo è, anche, – vorrei aggiungere – della vita di ogni comunità.
Non vogliamo rinunciare, oggi, alla speranza della pace in Europa.
L’Europa, che conosciamo, è nata da un reciproco impegno di pace che i popoli e gli Stati si sono scambiati, dopo l’abisso della seconda guerra mondiale.
Su quella pace sono stati edificati i nostri ordinamenti di libertà, di democrazia, di diritto eguale.
Su quella pace è cresciuta la civiltà degli europei.
Non ci stancheremo di lavorare per fermare la guerra.
È contro lo strumento della guerra che siamo impegnati per impedire una deriva di aggressioni del più forte contro il più debole.
Per costruire una pace giusta.
Una pace giusta non può dimenticare il dramma dei profughi.
I fenomeni migratori vanno affrontati per quel che sono: movimenti globali, che non vengono cancellati da muri o barriere.
Nello studio dell’appartamento dove vivo al Quirinale ho collocato un disegno che raffigura un ragazzino, di quattordici anni, annegato, con centinaia di altre persone, nel Mediterraneo. Recuperato il suo corpo si è visto che, nella fodera della giacca, aveva cucita la sua pagella: come fosse il suo passaporto, la dimostrazione che voleva venire in Europa per studiare.
Questo disegno mi rammenta che, dietro numeri e percentuali delle migrazioni, che spesso elenchiamo, vi sono innumerevoli, singole, persone, con la storia di ciascuno, i loro progetti, i loro sogni, il loro futuro.
Il loro futuro: tante volte cancellato.
Certo, occorre un impegno, finalmente concreto e costante, e proprio dell’Unione Europea. Occorre sostegno ai Paesi di origine dei flussi migratori.
È necessario rendersi conto che soltanto ingressi regolari, sostenibili, ma in numero adeguatamente ampio, sono lo strumento per stroncare il crudele traffico di esseri umani: la prospettiva e la speranza di venire, senza costi e sofferenze disumane, indurrebbe ad attendere turni di autorizzazione legale.
Inoltre, ne verrebbe assicurato inserimento lavorativo ordinato; rimuovendo la presenza incontrollabile, di chi vaga senza casa, senza lavoro e senza speranza; o di chi vive ammassato in centri di raccolta, sovente mal tollerati dalle comunità locali.
Occorre percorrere strade diverse.
Se non se ne avverte il senso di fraternità umana, per una miglior sicurezza.
Anche come investimento, anche di amicizia, sul futuro delle relazioni, con i popoli di origine, che saranno – presto – sempre più protagonisti della scena internazionale.
Amicizia. Comincia da noi. Dal nostro modo di essere. Dalla nostra voglia di dare più umanità al mondo intorno a noi.
La speranza è in voi giovani.
Prendetevi quel che è vostro. Comprese le responsabilità e i doveri.
Voi avvertite, in maniera genuina, tutti questi problemi.
Avete la sensibilità di sentirvi pienamente europei. Più degli adulti.
Avete conoscenze adeguate per affrontare, senza timore, le trasformazioni digitali e tecnologiche che sono già in atto.
Avete la coscienza che l’ambiente è parte della nostra vita sociale. Che non ci sarà giustizia sociale senza giustizia ambientale; e viceversa.
Non vi chiudete, non fatevi chiudere in tanti mondi separati. Usate i social, sempre con intelligenza; impedite che vi catturino, producendo una somma di solitudini, come diceva il mio Vescovo di tanti anni addietro.
Non rinunciate, mai, alle relazioni personali; all’incontro personale; all’affetto dell’amico; all’amore; alla gratuità dell’impegno.
Il mondo è migliore, se lo guardiamo con gli occhi giusti.
Ci aiuta, in questo caso, ancora, la nostra Costituzione.
In un discorso, tenuto alla Università di Parma, nel 1995, Giuseppe Dossetti – che, dell’Assemblea Costituente, era stato partecipe e protagonista – rivolse un appello ai giovani: “non abbiate prevenzioni rispetto alla Costituzione del ‘48, solo perché opera di una generazione ormai trascorsa – disse -. La Costituzione americana è in vigore da duecento anni e, in questi due secoli, nessuna generazione l’ha rifiutata, o ha proposto di riscriverla integralmente; ha soltanto operato, singoli emendamenti puntuali, rispetto al testo originario dei Padri di Philadelphia; nonostante che, nel frattempo, la società americana, sia passata, da uno Stato di pionieri, a uno Stato, oggi, leader del mondo…E’ proprio, nei momenti di confusione, o di transizione indistinta, che le Costituzioni adempiono la, più vera, loro funzione: cioè, quella di essere, per tutti, punto di riferimento e di chiarimento. Cercate, quindi, di conoscerla; di comprendere, in profondità, i suoi principî fondanti; e, quindi, di farvela amica e compagna di strada… vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro, contro ogni inganno e contro ogni asservimento; per qualunque cammino vogliate procedere, e per qualunque meta vi prefissiate”.
Facciamo nostre queste parole.
Quest’anno, il Meeting ribadisce la sua ragione fondativa: “Meeting per l’amicizia fra i popoli”, come suona, il suo nome, per esteso.
Ce n’è bisogno.
Fate che la speranza e l’amicizia corrano, anche, sulle vostre gambe.
E si diffondano attraverso le vostre voci.
Seoul – conferenza interreligiosa per una cittadinanza globale –
22 Agosto 2023
Un report di Roberto Catalano che ha partecipato come speaker all’incontro.
Ed eccoci alla conferenza per la quale sono venuto in Corea. Siamo ospitati presso il Mondrian Hotel di Seoul proprio davanti a quello che era, e per certi versi, in parte rimane, la grande base di stazionamento delle Forze Armate americane di stanza qui dal termine della guerra dei primi anni Cinquanta del secolo scorso. Parte dell’immensa proprietà – ‘territorio degli Stati Uniti di America’ si legge nei vari punti di accesso alla base – anni fa è stata restituita al governo di Seoul. Ora vi sorge il bellissimo Museo Nazionale della Corea, che ho visitato nelle precedenti occasioni in cui mi sono trovato a Seoul. La conferenza si svolge, in alcuni momenti, presso l’hotel in cui siamo alloggiati, e, in altri, in diversi centri del Buddhismo Won che promuove e ospita questo evento che è, comunque, gestito da un comitato apposito (ICCGC Organizing Committee di cui fa parte anche il Movimento dei Focolari) e sponsorizzato dal Ministero della Cultura, Sport e Turismo oltre che dal United Religions Foundations).
Già ieri sera ci siamo trovati, in una ventina per una cena informale. Ho ritrovato molti amici, con i quali non ci vedevamo dal tempo precedente la pandemia. Gli ospiti arrivano dagli USA, da altri Paesi asiatici (Thailandia, Vietnam, Giappone) sono esperti in buddhismo o in dialogo buddhista-cristiano. La cena ha contribuito a rinnovare le amicizie e a inaugurarne di nuove. L’organizzazione è, di fatto, in mano ai membri del Buddhismo Won che curano i dettagli fin nei particolari con la tipica attenzione asiatica, coniugata con l’efficienza coreana. Anche fra loro ho il piacere di rivedere alcuni amici e amiche che non incontravo da tempo.
La prima mattinata è dedicata alla visita del modernissimo Wonnam Temple che sorge non lontano dall’albergo dove ci troviamo e che, nella sua struttura attuale, è stato costruito recentemente, nonostante la comunità che svolge le funzioni sacri attorno a questo luogo di culto abbia circa cinquant’anni di vita. Siamo accolti con grande calore dal ministro del luogo, una donna, perché – ce lo spiegano subito e con grande orgoglio – nel Won Buddhism c’è una assoluta parità fra uomini e donne. Anzi, mi dicono, ultimamente il numero dei ministri donne ha superato quello degli uomini.Ci accompagnano nell’aula principale d culto dove ci vengono spiegati le caratteristiche del luogo ed alcuni elementi del Buddhismo Won di cui parlerò nei prossimi giorni, dopo la visita prevista al loro centro principale nella città di Iksan dove ci recheremo domani. Intanto, dopo un breve rito di offerta, ci viene data la possibilità di una esperienza di meditazione di una ventina di minuti nello stile tipico del buddhismo: la concentrazione sulla respirazione. All’esterno, una casa in tipico stile coreano ospita il mausoleo in onore della madre dell’Amministratore delegato della Samsung che ha finanziato la costruzione di questo tempio. In Asia, sia in ambito indù che buddhista o confuciano, è molto comune che magnati dell’industria finanzino e supportino luoghi di culto.
Proseguiamo per il Sotaesan Memorial Hall nel bellissimo centro che il buddhismo won ha qui a Seoul, una zona molto centrale, con una fermata della metropolitana proprio davanti all’entrata di questo palazzo moderno. In Asia è fondamentale per istituzioni di qualsiasi tipo avere un luogo rappresentativo all’interno delle grandi città. E’ un punto di riferimento, un segno della presenza di quella realtà specifica – non solo o non necessariamente religiosa – è il luogo di incontro dei membri, ma anche quello dove coloro che desiderano conoscere quella realtà specifica si possono rivolgere. Non avere un punto di riferimento e di riconoscimento di questo tipo significa non esistere. L’immagine in questo continente è una questione di evidenza della presenza. Ed eccoci all’interno del palazzo, anch’esso assai moderno e dotato delle infrastrutture più recenti.
La prima giornata (o pomeriggio) del convegno si svolge proprio qui. La sala è bellissima, armoniosa, può contenere varie centinai di persone, eppure resta molto armonica. Alle 13.45 in punto si comincia con i saluti di rito, messaggi da parte della autorità e, a seguire, con i primi due ‘panel’: uno sul dialogo interreligioso ed uno sulla pace. Nel primo è previsto un mio intervento, che segue quello del Sig. Tananart, buddhista theravada Thai, segretario generale della Buddhist Fellowship Federation che ha sede a Bangkok. Ci eravamo incontrati in maggio durante la mia breve permanenza nella capitale thailandese. A seguire, parla il rev. Sugino, amico giapponese del movimento buddhista mahayana della Rissho Kosei-kai. Ci conosciamo da anni e Sugino dopo un lungo servizio alla sede centrale di Religions for Peace a New York è ora rettore del Gakurin Seminary che il movimento buddhista ha nei pressi di Tokyo. Il prof. Mark Unno, noto specialista di buddhismo e di dialogo fra buddhisti, e cristiani funge da moderatore. Una sessione molto dinamica. I nostri interventi sono brevi, non più di dieci minuti. Segue una vivace discussione con il pubblico con domande molto profonde, soprattutto da parte degli studenti del cosiddetto seminario del Buddhismo Won. La seconda sessione è, invece sulla questione della pace, moderata dall’amico Leo Lefebuere della Georgetown University di Washington DC. Si tratta di due sessioni introduttive alla cerimonia di apertura che ha come relatore d’eccezione l’on. Ban Ki-moon, ottavo Segretario Generale delle Nazioni Unite. Ormai avanti con gli anni, Ban Ki-moon parla, per circa 45 minuti, in coreano con forza e convinzione sulla necessità di costruire oggi una cittadinanza globale che si ispiri all’armonia mondiale. In tale senso riconosce il ruolo delle religioni che, ammette, ha visto essere fondamentale durante il suo mandato come Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Oggi giornata di approfondimento di varie tematiche con diverse tavole rotonde e partecipanti da Giappone, Corea del Sud, Singapore, Thailandia, Taiwan, Cambogia, Stati Uniti, Iran di diverse religioni (Buddhisti, theravada, mahayana e won), un musulmano sciita e presbiteriani e cattolici. Mi ha colpito molto l’ultima sessione quando in un’ora e mezzo di dialogo serrato si sono susseguite proposte su come andare avanti nell’impegno di costruire percorsi formativi per uomini e donne che possano essere cittadini globali. Molte le proposte concrete, forse anche difficili da realizzare, ma si nota l’entusiasmo per una iniziativa senza dubbio di grande successo. Si sono incontrati, infatti, rappresentanti di religioni e Paesi diversi, dell’Asia ma non solo, e, come ha fatto notare il Prof. Mark Unno, figlio di un grande studioso giapponese poi trasferitosi negli USA, è sorprendente la qualità di rapporti che si è creata fra tutti i partecipanti. Tutti parlano di un rapporto di carattere spirituale, che non si trova in molti convegni interreligiosi di carattere academico. E qui molti – anche se non tutti – sono accademici. Si avverte – lo confermano tutti – che è nata una vera amicizia spirituale. Domani giornata a Iksan, la città a due ore di treno da Seoul che accoglie i centri più importanti del buddhismo won.
Interfaith Coalition Conference for Global Citizen 2023.
And here we come to the conference for which I have come to Korea. We are hosted at the Mondrian Hotel in Seoul right in front of what was, and in some ways remains, the large base of the American Armed Forces stationed here since the end of the war in the early 1950s. Part of the immense property – ‘territory of the United States of America’ it says at the various access points to the base – was returned to the Seoul government years ago. Now there stands the beautiful National Museum of Korea, which I have visited on previous occasions when I have been in Seoul. The conference takes place, partly, at the hotel where we are staying, and, partly, at various centres of Won Buddhism which promotes and hosts this event which is, however, managed by a special committee (ICCGC Organising Committee of which the Focolare Movement is also a member) and sponsored by the Ministry of Culture, Sport and Tourism as well as the United Religions Foundations).
Already on the first night, about twenty of us got together for an informal dinner. I caught up with many friends, with whom we had not seen each other since before the pandemic. The guests come from the USA, from other Asian countries (Thailand, Vietnam, Japan) and are experts in Buddhism or Buddhist-Christian dialogue. The dinner helped renew friendships and inaugurate new ones.
The organization is, in fact, in the hands of the members of Won Buddhism who take care of the details down to the last detail with typical Asian attention, combined with Korean efficiency. Even among them I have the pleasure of seeing again some friends I had not met for a long time.
The first morning is dedicated to visiting the ultra-modern Wonnam Temple, which stands not far from the hotel where we are staying and which, in its current structure, was built recently, despite the fact that the community that holds sacred services around this place of worship is about fifty years old. We are warmly welcomed by the minister of the place, a woman, because – they explain it to us immediately and with great pride – in Won Buddhism there is absolute equality between men and women. In fact, they tell me, recently the number of women ministers has exceeded that of men. They accompany us to the main hall of worship where we are explained the characteristics of the place and some elements of Won Buddhism which I will talk about in the next few days, after the planned visit to their main centre in the city of Iksan where we will go to do a tour visit the day after tomorrow.
Meanwhile, after a brief offering ritual, we are given the opportunity for a twenty-minute meditation experience in the typical Buddhist style: concentration on breathing. Outside, a typical Korean-style house houses the mausoleum in honour of the mother of the Samsung CEO who financed the construction of this temple. In Asia, whether Hindu, Buddhist or Confucian, it is very common for business tycoons to finance and support places of worship.
We continue to the Sotaesan Memorial Hall in the beautiful centre that Buddhism won has here in Seoul, a very central area, with an underground stop right in front of the entrance to this modern building. In Asia, it is essential for institutions of all kinds to have a representative place within large cities. It is a point of reference, a sign of the presence of that specific reality – not only or not necessarily religious – it is the meeting place for members, but also the place where those who wish to learn about that specific reality can turn. Not having such a point of reference and recognition means not existing. Image on this continent is a matter of evidence of presence. And here we are inside the building, which is also very modern and equipped with the latest infrastructure.
The first day (or afternoon) of the conference takes place here. The hall is beautiful, harmonious, it can hold several hundred people. At 1.45 p.m. on the dot we start with the customary greetings, messages from the authorities, and then the first two ‘panels’: one on interreligious dialogue and one on peace. In the first one I am scheduled to speak, which follows that of Mr Tananart, a Theravada Thai Buddhist, secretary general of the Buddhist Fellowship Federation based in Bangkok. We had met in May during my brief stay in the Thai capital. Next, Rev Sugino, a Japanese friend of the Mahayana Buddhist movement of Rissho Kosei-kai, spoke. We have known each other for years and Sugino after a long service at the Religions for Peace headquarters in New York is now rector of the Gakurin Seminary that the Buddhist movement has near Tokyo. Prof. Mark Unno, a well-known specialist in Buddhism and dialogue between Buddhists and Christians acted as moderator.
A very dynamic session. Our interventions are short, no more than ten minutes. There follows a lively discussion with the audience with very profound questions, especially from the students of the so-called Won Buddhism seminar. The second session is on the issue of peace, moderated by our friend Leo Lefebuere from Georgetown University in Washington DC. These are two introductory sessions at the opening ceremony, which has Mr, Ban Ki-moon, the eighth Secretary General of the United Nations, as a special guest speaker. Now well advanced in years, Ban Ki-moon speaks, for about 45 minutes, in Korean with strength and conviction on the need to build a global citizenship today that is inspired by world harmony. In this sense, he acknowledges the role of religions which, he admits, he saw as fundamental during his tenure as UN Secretary General.
Today, instead, was a day of in-depth discussion of various issues with several panel and participants from Japan, South Korea, Singapore, Thailand, Taiwan, Cambodia, the United States, Iran of different religions (Buddhists, Theravada, Mahayana and Won), a Shia Muslim and Presbyterians and Catholics. I was very impressed by the last session when in an hour and a half of close dialogue there were proposals on how to move forward in the commitment to build educational pathways for men and women who can be global citizens. There were many concrete proposals, perhaps even difficult to implement, but the enthusiasm for an undoubtedly successful initiative was evident. In fact, representatives of different religions and countries, from Asia but not only, met, and, as Prof. Mark Unno, son of a great Japanese scholar who later moved to the USA, remarked, the quality of the relationships created among all the participants was surprising. They all speak of a relationship of a spiritual nature, which is not found in many interfaith conferences of an academic level. And here many – though not all – are academics. One senses – and everyone confirms this – that a true spiritual friendship has been born. Tomorrow, a day in Iksan, the city two hours from Seoul by train, where the main centres of Won Buddhism are located.
RfP Europe condanna gli attacchi alle Chiese in Pakistan
26 Agosto 2023
Comunicato di Religions for Peace Europe sugli attacchi alle chiese in Pakistan.
A seguire la traduzione italiana.
Solidarity to the Christian Communities and commitment to Interreligious Peace in Pakistan.
As a representative body for all religions in Europe we strongly condemn the violent attacks perpetrated by Islamic extremists against Churches and Christians in Jaranwala district in the Punjab, province of Faisalabad, in these last days: six churches have been burnt and a cemetery has been vandalized after two Christians were accused of blasphemy.
These terroristic actions are indeed expression of unacceptable inter-religious hate and violence.
The World Council of Churches (WCC) affirmed to be shocked by the reports of these violent actions which demonstrate the gap between the aspiration to an harmonious society and the current reality. Since long time the WCC has expressed concerns regarding the impact of Pakistan’s blasphemy laws on Christians and members of other religious communities.
The respect of human dignity expressed in its fruitful differences and the recognition of equal rights is due to all, as citizens of the country regardless of their religious affiliation.
The WCC has called on the Pakistani authorities “to act urgently and consistently to prevent further such violent attacks and violations of the human rights of Christians in Punjab province or elsewhere in Pakistan”.
We take note with relief and appreciate that more than 100 arrests have been performed in the aftermaths of the attacks, as said by a government spokesman. Moreover, the Pakistani authorities said that the police are looking for the Christian family targeted by the attacks because they were accused of blasphemy against the Koran by a group of fanatics.
As Religions for Peace Europe we join to the WCC and according to their invitation to “member churches and ecumenical and inter-religious partners around the world” we raise our voices against this violence and oppression, with its background of contempt and hate, and in prayer for equal human rights, justice and peace in Pakistan.
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Traduzione italiana
Solidarietà alle comunità cristiane e impegno per la pace interreligiosa in Pakistan.
Come organismo rappresentativo di tutte le religioni in Europa condanniamo fermamente i violenti attacchi perpetrati da estremisti islamici contro Chiese e Cristiani nel distretto di Jaranwala nel Punjab, provincia di Faisalabad, in questi ultimi giorni: sei chiese sono state bruciate e un cimitero è stato vandalizzato dopo che due cristiani furono accusati di blasfemia. Queste azioni terroristiche sono in effetti espressione di inaccettabile odio e violenza interreligiosa.
Il Consiglio Mondiale delle Chiese (WCC) ha affermato di essere scioccato dalle notizie di queste azioni violente che dimostrano il divario tra l’aspirazione a una società armoniosa e la realtà effettiva. Da tempo il WCC esprime preoccupazione per l’impatto delle leggi pakistane sulla blasfemia nei confronti di Cristiani e membri di altre comunità religiose.
Il rispetto della dignità umana espressa nelle sue feconde differenze e il riconoscimento di pari diritti è dovuto a tutti, in quanto cittadini del Paese indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa.
Il VCC ha invitato le autorità pakistane “ad agire con urgenza e coerenza per prevenire ulteriori attacchi violenti e violazioni dei diritti umani dei Cristiani nella provincia del Punjab o altrove in Pakistan”.
Prendiamo atto con sollievo e apprezziamo che più di 100 arresti sono stati eseguiti all’indomani degli attacchi, come ha detto un portavoce del governo. Inoltre, le autorità pakistane hanno affermato che la polizia sta cercando la famiglia cristiana oggetto degli attacchi perché accusata di blasfemia contro il Corano da un gruppo di fanatici.
Come Religions for Peace Europe ci uniamo al WCC e secondo il loro invito a “membri di chiese e partner ecumenici e interreligiosi in tutto il mondo” alziamo la nostra voce contro questa violenza e oppressione, con il suo retroterra di disprezzo e odio, ed in preghiera per la parità dei diritti umani, la giustizia e la pace in Pakistan.