Bahá’í
È una religione monoteistica nata in Iran durante la metà del XIX secolo.
I membri seguono gli insegnamenti di Bahá’u’lláh (1817-1892), il fondatore.
Sono più di sette milioni i fedeli nel mondo, sparsi in oltre 200 Paesi, numerosi anche in Italia (5.000). Il loro Centro mondiale è ad Haifa, in Israele. La fede Bahá’í spiega il rapporto dell’uomo nel suo storico e dinamico legame con Dio, attraverso il concetto di relatività e progressività della religione.
Buddhismo
Sorto nel VI secolo a.C., a partire dall’India, il Buddhismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-Est Asiatico e in Estremo Oriente, giungendo, a partire dal XX secolo, anche in Occidente. La religione nacque dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, comunemente detto il Buddha, e propone ai suoi aderenti una intensa disciplina spirituale e di meditazione.
Le più importanti scuole attualmente esistenti sono: Theravada, Mahayana e Vajrayana.
Confucianesimo
È una delle maggiori scuole filosofiche e morali della Cina.
Si è sviluppato nel corso di due millenni a partire dagli insegnamenti del filosofo Kong Fu-zi, il “Maestro Kong” (551-479 a.C.), conosciuto in Occidente col nome latinizzato Confucio. Egli creò un sistema rituale e una dottrina morale e sociale ma non trattò direttamente questioni soprannaturali e che trascendessero l’esperienza umana.
Cristianesimo
Religione a carattere universalistico fondata sull'insegnamento di Gesù Cristo trasmesso attraverso la letteratura neo-testamentaria.
Ebraismo
Con questo termine si intende sia una religione, sia una tradizione culturale, entrambe diffuse in tutto il mondo. Il testo sacro per antonomasia, ma non l’unico, nella religione ebraica, è la Torah (insegnamento, legge), scritta in ebraico, corrispondente ai cinque libri del Pentateuco della Bibbia. Presenti in Italia fin dal III secolo a.C., gli ebrei hanno contribuito in misura rilevante al progresso culturale e sociale del Paese.
La comunità è attualmente rappresentata dall’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), a cui aderiscono 21 comunità, e dalla FIEP (Federazione Italiana Ebraismo Progressivo).
Giainismo
È un’antica religione, ma soprattutto una filosofia in quanto non implica divinità definite. È basata sugli insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta di nobile estrazione che indicava la via alla perfezione umana sulla base della non-violenza. Con i suoi 8-10 milioni di fedeli, il Gianismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali. Vi sono 6000 monache e 2500 monaci, molti dei quali fanno riferimento alla corrente shvetambar.
Induismo
Una variegata ed antica tradizione spirituale i cui testi sacri risalgono al 1.500 a.C. che dall'India, dove nacque e dove resta largamente maggioritaria, si è diffusa in altre parti del mondo. Nella tradizione induista consolidatasi nel tempo, "Dio è uno ma si esprime in infiniti modi e forme".
Gli indù credono in un solo Dio, Brahman, senza forma e attributi, il quale nella manifestazione assume diverse forme per rappresentare le diverse potenze e forze che governano l'universo. La principale Organizzazione in Italia è l'Unione Induista Italiana, il cui maggiore Centro sorge ad Altare (SV) e che propone incontri di meditazione, introduzione allo Yoga e alla pratica induista.
Islam
Espressione e portavoce è stato il Profeta Mohammed, nella cittadina di La Mecca, nel VII secolo d.C. Il libro sacro e' il Corano. L'Islam non prevede la presenza di un clero ne' tanto meno di gerarchie. Gli Imam sono uomini di fede incaricati di condurre la preghiera nelle moschee per le loro conoscenze liturgiche e dottrinali.
Le principali tradizioni islamiche sono: I Sunniti che costituiscono il 90% del mondo islamico, gli Sciiti ed i Sufi conosciuti anche come i seguaci della "via del cuore" un cammino mistico nell'Islam.
Religioni tradizionali Africane
Ogni popolazione africana ha sviluppato una sua specifica religione, che è divenuta parte integrante del suo patrimonio culturale. Tutto ciò che riguarda la vita sociale in Africa è regolato dalla religione. Principio fondamentale che accomuna tutte le religioni africane è la fede in un Dio unico, come Essere Supremo.
Religioni Tradizionali Amerindiane
Tutti i popoli (alcune grandi civiltà) che vivevano in America del Nord, America Centrale e America del Sud avevano delle credenze religiose molto radicate. Esse, ancora oggi, gravitano intorno al culto del “Grande Dio (Grande Spirito, Dio Celeste) Creatore”. Lo sterminio di queste intere popolazioni da parte dei colonizzatori europei rappresenta uno dei più gravi genocidi che la storia dell’umanità ricordi. Oggi questi popoli originari delle Americhe non sono che una esigua minoranza.
Sta fortunatamente crescendo un recupero delle loro culture e spiritualità.
Shintoismo
Questa antica religione, originaria del Giappone, ricevette solo nel VI secolo della nostra era, all'epoca nella quale il Giappone si iniziò alla scrittura dopo il contatto con la Cina, la denominazione cino-giapponese di
Shin-to, che in giapponese puro si diceva Kami no michi (strada degli dei). Il carattere kami è composto da ka (nascosto, indistinto) e mi (visibile, tangibile); quindi kami è tutto l'universo nell'accezione di spazio e spirito.
Sikhismo.
È una religione nata nel XV secolo nell’India settentrionale basandosi sugli insegnamenti di Nanak e dei successivi nove guru.
Il credo della religione Sikh si basa sulla fede Vahiguru.
I Sikh sono portati a seguire gli insegnamenti dei dieci guru e del testo sacro chiamato Guru Granth Sahib. I sikh sono attualmente una comunità di 23 milioni di persone, di cui la maggior parte si concentra nel Punjab, regione tra l’India e il Pakistan. In Italia sono presenti su tutto il territorio.
Taoismo
Il Taoismo è una filosofia religiosa originaria della Cina. Affonda le sue radici nell'antica cultura cinese, proponendosi in differenti forme che caratterizzano l'arte, la vita e la spiritualità dell'Estremo Oriente. Se ne trovano influenze nel Buddismo cinese, in particolare nel Chan, nella medicina tradizionale cinese, nelle scienze politiche e nell'estetica.
È attribuita a Lao Tsè la scrittura del Tao Te Ching, testo sacro taoista, ed egli stesso è considerato il fondatore del Taoismo.
Zoroastrismo.
È il nome dato ad una delle più antiche religioni e la più importante e nota dell’Iran preislamico.
Tale fede religiosa deve il nome al ritenuto fondatore Zarathustra. Attualmente comunità zoroastriane si trovano soprattutto in India, Pakistan ed Iran. La diaspora zoroastriana comprende due gruppi principali: i Parsi di ambiente Sud-Asiatico e gli zoroastriani dell’Iran.
Gli organismi di cooperazione della diaspora parsi e zoroastriana seguono anche le non molte famiglie di correligionari che vivono in Italia.
Articoli e Pubblicazioni
Il Papa: il mancato rispetto dei valori religiosi porta intolleranza nel mondo
30 Novembre 2024
Nel discorso ai partecipanti al convegno interreligioso "All Religions' Conference", Francesco evidenzia il valore del dialogo nel contesto globale segnato da "intolleranza e odio". Le discriminazioni "basate sulle differenze", divenute per molti "esperienza quotidiana", sottolinea, si affrontano attraverso "verità spirituali" e "valori" in comune tra le diverse confessioni
“Il mancato rispetto dei nobili insegnamenti delle religioni è una delle cause della travagliata situazione in cui il mondo oggi si trova.”
Esorta al dialogo interreligioso, attraverso "verità spirituali" e "valori" in comune, Papa Francesco. Nel suo discorso di oggi, 30 novembre ai partecipanti al convegno nel centenario della prima "All Religions' Conference", promossa dalla "Sree Narayana Dharma Sanghom Trust", il Papa celebra la figura del suo primo organizzatore, Sree Narayana Guru.
La riforma sociale di Sree Narayana Guru
"Guida spirituale" induista e "riformatore sociale", dedicò la sua vita alla promozione del "riscatto sociale e religioso". Combattendo il sistema delle caste, si fece portatore del messaggio per cui "tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro etnia o dalle loro tradizioni religiose e culturali, tutti sono membri dell’unica famiglia umana".
Ha insistito sul fatto che non ci dev’essere discriminazione contro nessuno, in nessun modo e a nessun livello.
"Religioni insieme per un'umanità migliore"
Un messaggio che, cento anni dopo, risuona nel "convegno di tutte le religioni" organizzato con il sostegno del Dicastero per il Dialogo interreligioso. Il tema dell'assise "Religioni insieme per un’umanità migliore", è definito dal Papa "davvero molto attuale e molto importante per i nostri tempi".
Discriminazioni e violenze, "esperienza quotidiana" per molti
Il "mondo di oggi", sottolinea Francesco, è infatto teatro di "crescenti casi di intolleranza e odio tra popoli e nazioni". Fenomeni di "discriminazione ed esclusione, tensioni e violenze" sulla base di "differenze di origine etnica o sociale, razza, colore, lingua e religione" sono divenute "un’esperienza quotidiana per molte persone e comunità".
Soprattutto tra i poveri, tra gli indifesi e coloro che non hanno voce.
Esseri umani "uguali" e "fratelli"
Il Pontefice ricorda il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato in occasione del Viaggio Apostolico del febbraio 2019 negli Emirati Arabi Uniti con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. In esso, si afferma come Dio abbia "creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro".
"Amarci e onorarci", la verità comune alle religioni
Una "verità fondamentale" comune a "tutte le religioni", sottolinea Francesco. Esse insegnano che, "in quanto figli dell'unico Dio, dobbiamo amarci e onorarci l’un l’altro, rispettare le diversità e le differenze in uno spirito di fraternità e di inclusione, prendendoci cura gli uni degli altri, nonché della terra, nostra casa comune".
Coltivare l'armonia "tra le differenze
Se l'ignorare tali insegnamenti è causa delle turbolenze nel mondo, la loro riscoperta sarà possibile "solo se tutti ci sforzeremo di viverli e di coltivare relazioni fraterne e amichevoli con tutti, all’unico scopo di rafforzare l’unità nella diversità, assicurare una convivenza armoniosa tra le differenze ed essere operatori di pace, nonostante le difficoltà e le sfide che dobbiamo affrontare", spiega il Papa.
La cooperazione contro l'individualismo
Francesco aggiunge l'auspicio per la cooperazione tra tutte le "persone di buona volontà" per promuovere una cultura di "rispetto, dignità, compassione, riconciliazione e solidarietà fraterna". Un messaggio già contenuto nella Dichiarazione congiunta di Istiqlal dello scorso settembre, che diventa antidoto ai valori "dell’individualismo, dell’esclusione, dell’indifferenza e della violenza".
Insieme, "radicati" nelle proprie credenze
"Attingendo" ai loro tratti in comune, conclude il Papa, i rappresentanti delle diverse religioni possono "camminare e lavorare insieme per costruire un'umanità migliore", rimanendo ciascuno "fermamente" radicato nelle proprie "credenze" e "convinzioni religiose".
Maenza / Al Via “Ecu Film Fest 2024 Cinema Per Il Dialogo Ecumenico Ed Interreligioso”
21 Novembre 2024
MAENZA – Presentato la scorsa settimana al Senato, il prestigioso ‘Ecu Film Fest 2024 Cinema per il Dialogo Ecumenico ed Interreligioso” giunto alla sua terza edizione, da venerdì sino a domenica 24 novembre a Maenza con la partecipazione di rappresentanti di dieci tradizioni religiose provenienti da diversi paesi del Mondo ( Cristiani di varie confessioni, Ebrei, Musulmani, Induisti, Buddisti, Bahà’ì). Co l’occasione riceverrano la Benedizione di Papa Francesco, con un messaggio che sarà letto durante la cerimonia di inaugurazione. “Oggi più che mai, per gli organizzatori, si sente il bisogno di dialogo e di cooperazione tra tutte le confessioni religiose come requisito essenziale per un cammino di Pace e di Fraternità tra i Popoli.
Ricco il programma, impreziosito dalle presenze di personaggi di rilievo nel panorama del dialogo, tra questi Padre Gian Maria Polidoro, il frate noto per aver promosso la Conferenza di Pace ad Assisi con l’incontro di Giovanni Paolo II con i capi religiosi di tutto il Mondo nel 1992 e nel 1987 tra il Presidente Ronald Reagan e Michael Gorbaciov favorendo la fine della guerra fredda. Saranno inoltre presenti per l’Ebraismo Eva Ruth Palmieri, per l’Islam l’Imam della Moschea di Roma Nader Akkad, per gli ortodossi l’Archimadrita Padre Symeon Katsinas, per gli anglicani l’Arcivescovo Ian Ernest, per i Buddisti il Reverendo Dario Doshin Girolami, per gli Induisti Shivaraja Deva, per i Bahà’ì Guido Morisco. Per Religions for Peace Italia partner dell’Ecu Fest il Presidente Luigi De Salvia.
Dal Castello Baronale di Maenza, città dove San Tommaso d’Aquino ha trascorso gli ultimi giorni e sede della quattro giorni sarà lanciato inoltre il manifesto “Pace e Uguaglianza tra i Popoli”. L’Ecu Film festivcal “Cinema per il Dialogo Ecumenico e Interreligioso” ideato dal regista Gjon Kolndrekaj coadiuvato dal Presidente del Comitato Promotore Paolo Masini, intende dare voce ai messaggi di pace provenienti dal mondo del cinema e non solo, un incontro di arti e di voci unite dalla forte ricerca di dialogo. Alla settima arte infatti, si aggiungeranno nel corso della rassegna letteratura, teatro, musica, animazione, diplomazia che unite al mondo delle associazioni internazionali, creano un mosaico che rappresenta il sogno di una convivenza pacifica e solidale.
Un approccio che guarda alle nuove generazioni, portatrici di futuro, attraverso il coinvolgimento diretto di ragazzi e ragazze delle scuole primarie e secondarie “Insieme a mia moglie Tania Cammarota abbiamo creato tre anni fa questa iniziativa con il privilegio di condividere insieme a Religions for Peace, il Comune di Maenza e l’Associazione Passione di Cristo il principio dell’Uguaglianza tra i Popoli e anche quest’anno le adesioni all’iniziativa sono numerose grazie alla presenza di diversi rappresentanti religiosi di credi diversi e con immenso piacere e spirito di divulgazione andiamo avanti perché il dialogo tra i Popoli è l’unico messaggio da condividere per una Società Multiculturale e Pacifica”. Lo dichiara Gjon Kolndrekaj ideatore della rassegna. Per Paolo Masini, Presidente del Comitato Promotore “con l’Ecu Film Fest vogliamo dare il nostro piccolo contributo nella costruzione di un mondo di pace. Un terreno di incontro e di confronto che superando gli steccati, ci ricordi che nessuna religione porta con sé un messaggio di guerra e che quello che abitiamo è un mondo che ha una sola razza. Quella umana”.
Il programma. Il grande dittatore di Charlie Chaplin apre venerdì 21 novembre questo viaggio, con il suo potente monito contro l’odio e la guerra. Nel celebre discorso finale, il protagonista si rivolge ai soldati con un invito alla compassione e al rispetto della dignità umana: “Soldati! Non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate. Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: ‘Il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo’. P.O.P. Peace of Peace, il cartone animato scritto da otto studenti israeliani e otto palestinesi. Si tratta di un lavoro coadiuvato da animatori italiani con musiche di Noah e Rim Banna. Nel cartone realizzato dall’Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma nel 2004, due bambini, in groppa a un cammello magico, attraversano i luoghi della guerra, trasformandoli in spazi di gioia e di pace. Una pellicola che indica come il vero conflitto è tra chi vuole la guerra e chi vuole la pace. Un messaggio che conserva viva negli anni la sua attualità.
I figli di Gjergj Kastrioti Skanderbeg di Vranin Gecaj hanno il merito di portare tra le comunità arbëreshë in Italia, che da cinquecento anni mantengono vive le loro radici e tradizioni. Questo lavoro celebra il valore della memoria, della cultura e della fede che resistono al tempo, come un ponte tra popoli e generazioni. Sarah e Saleem – laddove nulla è possibile, del regista palestinese Muayad Alayan. Un racconto intimo di un amore proibito tra una donna israeliana e un uomo palestinese a Gerusalemme si fa metafora della difficile convivenza tra due popoli. La loro storia, apparentemente semplice, diventa un atto di resistenza all’incomprensione, un richiamo alla necessità di vedere l’altro oltre le divisioni. Chiuderà la rassegna una selezione di cortometraggi, realizzati da giovani di oltre 60 paesi nel mondo per il Youth Film Festival- Salesiani di Don Bosco, il cui Direttore artistico è Don Harris Pakkam.
Torna l'ECU Film Festival dedicato al dialogo interreligioso
15 Novembre 2024
Cinema, dialogo interreligioso e pace: torna l’Ecu Film fest
Presentata oggi al Senato italiano la terza edizione della rassegna di film, incontri ed esperienze per le scuole che si terrà a Maenza (Latina) dal 21 al 24 novembre, sul tema “Custodire la speranza in tempi di guerra”. Premio per la comunicazione di pace a Vatican News e a Roberto Cetera
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Dobbiamo bussare a tutte le porte: io sto cercando di andare in Iran, ma non ci riesco. Sono un frate che non ha interessi da vendere, ma solo l’esempio di Francesco, che ha abbracciato e amato il sultano più di 800 anni fa”. Queste le parole di padre Gian Maria Polidoro, 91 anni, il frate minore fondatore dell’Associazione Assisi Pax International e consigliere ecclesiale dell’Ecu Film Fest “Cinema per il Dialogo Ecumenico ed Interreligioso”, che ha presentato questo pomeriggio al Senato della Repubblica, nella Sala Caduti di Nassirya, la terza edizione della rassegna di film, incontri ed esperienze per le scuole, sul tema “Custodire la speranza in tempi di guerra”, in programma dal 21 al 24 Novembre a Maenza (in provincia di Latina). Un evento che vedrà la partecipazione di rappresentanti di dieci tradizioni religiose provenienti da diversi Paesi, cristiani di varie confessioni, ebrei, musulmani, induisti, buddisti, bahà’ì. Durante la cerimonia di inaugurazione, nel pomeriggio del 21 novembre, verrà letto un messaggio di Papa Francesco, a firma del segretario di Stato il cardinale Pietro Parolin, che trasmetterà la benedizione del Pontefice per il Festival e tutti i suoi partecipanti.
Padre Polidoro: tutti possiamo fare qualcosa per la pace
Oggi più che mai, per gli organizzatori, guidati dal regista kosovaro Gjon Kolndrekaj, autore del Video catechismo della Chiesa cattolica e presidente di Ecu Film Fest, “si sente il bisogno di dialogo e di cooperazione tra tutte le confessioni religiose come requisito essenziale per un cammino di pace e di fraternità tra i Popoli”. Seguendo il cammino tracciato da padre Polidoro, che nel febbraio del 1984, con altri tre francescani, anche conventuali e cappuccini, del Centro Internazionale per la Pace fra i Popoli di Assisi, si fece pellegrino a Washington e a Mosca per chiedere in nome di Dio la fine della guerra fredda, incontrando il presidente Reagan e l’allora facente funzione di capo di Stato Kuznestov (Andropov era morto da poco). “Dobbiamo avere la capacità di guardare al domani con grande fede, ognuno di noi può fare qualcosa – ha detto l’anziano francescano alla presentazione - La strada è quella di una civiltà di pace, dobbiamo iniziare un nuovo cammino, fatto di incontro e di ascolto”.
Palmieri (Comunità ebraica): la speranza va sempre coltivata
Eva Ruth Palmieri, per la Comunità ebraica di Roma, commentando il tema del festival “Custodire la speranza in tempi di guerra”, ha sottolineato che “questa speranza di dovrebbe declinare al plurale, per definire le speranze delle diverse comunità di credenti”. E accanto a lumi di speranza e incontro, “nonostante i venti di guerra” ha denunciato il proseguire di episodi tristissimi, come “l’annullamento della proiezione docu-film sulla vita della senatrice Liliana Segre, in un cinema di Milano, per paura di violenze antisemite”. Ma per Palmieri “la speranza va sempre coltivata”.
Le testimonianze dell’imam e dell’arcivescovo anglicano
Dopo di lei l’imam della Moschea di Roma Nader Akkad ha ricordato che il rapporto tra fede ed arte è essenziale, anche in questo clima di violenza. Ha parlato dello zio regista che ha prodotto un film sul profeta Maometto, e descritto la scena del film nella quale “un gruppo di rifugiati musulmani trovano salvezza in Abissinia, accolti benevolmente da un re cristiano. Sono tante le cose che ci legano”. Per l’arcivescovo Ian Ernest, guida del Centro anglicano di Roma, il festival vuole indicare un percorso di speranza, “e come farla emergere in un clima di disperazione come quello attuale”. Ha ribadito l’importanza di “Essere umili e pazienti e non usare la forza fisica contro nessuno, mostrare con le nostre azioni e la vita che pace e dialogo non sono solo concetti ideali”. E’ urgente, ha spiegato, “la ricerca della pace interiore, calma e armonia. La spinta a questi valori viene testimoniata oggi “dalla crescente attenzione dei giovani verso la spiritualità. Grazia al loro desiderio di verità, libertà e speranza, c’è terreno fertile per il futuro”.
Il 23 novembre il convegno interreligioso a Maenza
Infine l’abate Dario Doshin Girolami, del Centro Zen l’Arco di Roma, ha ricordato che nella tradizione buddista è fondamentale “essere pace” per le persone che ci sono attorno. Ha ricordato la sua provenienza da una famiglia di registi: “sono cresciuto nel cinema. Il cinema ha un incredibile potere di muovere emozioni collettive, ed è una splendida idea legarlo al dialogo interreligioso”. Gli stessi relatori saranno protagonisti del convegno “Custodire la speranza in tempi di guerra. Dialogo interreligioso e sicurezza delle comunità”, nel pomeriggio del 23 novembre a Maenza. Insieme a loro ci saranno anche l’archimadrita Symeon Katsinasm, della Chiesa ortodossa greca di San Teodoro al Palatino, per gli induisti Shivaraja Deva, per i bahà’ì Guido Morisco, e per Religions for Peace Italia, partner dell’Ecu Fest, il presidente Luigi De Salvia. Dal Castello Baronale di Maenza, città dove San Tommaso d’Aquino ha trascorso gli ultimi giorni e sede della quattro giorni sarà lanciato inoltre il manifesto “Pace e Uguaglianza tra i Popoli”.
Lo spirito dell’Ecu film fest
L’ Ecu film fest 2024 “Cinema per il Dialogo Ecumenico e Interreligioso” ideato dal regista kosovaro Gjon Kolndrekaj, fondatore di Crossinmedia, coadiuvato dal presidente del Comitato Promotore Paolo Masini, da’ voce ai messaggi di pace provenienti dal mondo del cinema e non solo, un incontro di arti e di voci unite dalla forte ricerca di dialogo. Alla settima arte infatti, si aggiungeranno nel corso della rassegna letteratura, teatro, musica, animazione, diplomazia che unite al mondo delle associazioni internazionali, creano un mosaico che rappresenta il sogno di una convivenza pacifica e solidale. Un approccio che guarda alle nuove generazioni, portatrici di futuro, attraverso il coinvolgimento diretto di ragazzi e ragazze delle scuole primarie e secondarie.
Kolndrekaj: il dialogo tra i popoli, messaggio fondamentale
Gjon Kolndrekaj ideatore della rassegna, ha sottolineato che “insieme a mia moglie Tania Cammarota abbiamo creato tre anni fa questa iniziativa con il privilegio di condividere insieme a Religions for Peace, il Comune di Maenza e l’Associazione Passione di Cristo, il principio dell’uguaglianza tra i popoli. Andiamo avanti perché il dialogo tra i popoli è l’unico messaggio da condividere per una società multiculturale e pacifica”. Per Paolo Masini, presidente del comitato promotore “ Con l’Ecu Film Fest vogliamo dare il nostro piccolo contributo nella costruzione di un mondo di pace. Un terreno di incontro e di confronto che superando gli steccati, ci ricordi che nessuna religione porta con sé un messaggio di guerra e che quello che abitiamo è un mondo che ha una sola razza. Quella umana.”
Il programma dei film in rassegna
Il programma delle proiezioni prevede “Il grande dittatore di Charlie Chaplin”, che apre questo viaggio, con il suo potente monito contro l’odio e la guerra. Quindi “P.O.P. Peace of Peace”, il cartone animato scritto da otto studenti israeliani e otto palestinesi, aiutati da animatori italiani, con musiche di Noah e Rim Banna, e realizzato dall’Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma nel 2004. Due bambini, in groppa a un cammello magico, attraversano i luoghi della guerra, trasformandoli in spazi di gioia e di pace. Una pellicola che indica come il vero conflitto è tra chi vuole la guerra e chi vuole la pace. Poi “I figli di Gjergj Kastrioti Skanderbeg” di Vranin Gecaj ci porta tra le comunità arbëreshë in Italia, che da cinquecento anni mantengono vive le loro radici e tradizioni. Un docu-film che celebra il valore della memoria, della cultura e della fede che resistono al tempo, come un ponte tra popoli e generazioni. E infine “Sarah e Saleem - laddove nulla è possibile”, del regista palestinese Muayad Alayan. Un racconto intimo di un amore proibito tra una donna israeliana e un uomo palestinese a Gerusalemme, che si fa metafora della difficile convivenza tra due popoli. Un richiamo alla necessità di vedere l’altro oltre le divisioni.
I corti dei giovani dello Youth Film Festival
Chiude la rassegna una selezione di cortometraggi, realizzati da giovani di oltre 60 paesi nel mondo per il Youth Film Festival-Salesiani di Don Bosco, il cui direttore artistico è don Harris Pakkam, in collaborazione con Ecu Film Fest. Lo spazio dedicato ai giovani è inotre fitto di incontri, oltre alla Mostra dedicata ai 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi, allestita in collaborazione con l’associazione Aire, sono in programma proiezione di cartoon, film e cortometraggi sul tema della pace.
Per la comunicazione premi a Vatican News e Cetera
Nel corso dell’Ecu Film Fest 2024, gli organizzatori premieranno alcune istituzioni e personalità. Il riconoscimento speciale della Palma Bianca 2024 dell’Associazione Assisi Pax International, di padre Polidoro, viene assegnato alla Croce Rossa Italiana in occasione dei 160 anni dall’istituzione. Per la comunicazione, viene premiato Vatican News, il portale multimediale della Santa Sede, per il suo impegno nel dare voce alle iniziative di dialogo, pace e solidarietà per i conflitti in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente fino alle “guerre dimenticate”. Un riconoscimento per il costante, concreto, incessante impegno in una terra tormentata andrà a padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia francescana di Terra Santa. Verrà premiato anche Roberto Cetera, vaticanista dell’Osservatore Romano, inviato a Gerusalemme. Inoltre, riconoscimenti andranno a Francis Kuria Kagerna, segretario generale di Religions for Peace; “Ditelo sui Tetti” il network per il dialogo con le Istituzioni a tutela della vita e della famiglia.
Riconoscimenti anche per due registi, un’ebrea e un buddista
Per la diplomazia sarà premiato Paul Emile Tsinga Ahuka, ambasciatore straordinario e rappresentante permanente della Repubblica Democratica del Congo presso la FAO, FIDA e PAM. Altri riconoscimenti andranno a Enzo Romeo, caporedattore-vaticanista del Tg2, il presidente dell’Unione coltivatori italiani Mario Serpillo e il presidente della Camera di Commercio Italo - Africa Alfredo Carmine Cestari. L’ambasciatore, con Serpillo e Cestari, sarà protagonista della tavola rotonda “Punti di pace: ruolo dell’Africa nello sviluppo del Mezzogiorno”. E infine riconoscimenti a due registi: Andree Ruth Shammah, attrice e regista teatrale, direttrice del Teatro Franco Parenti di Milano, un luogo in cui, grazie alla sua capacità, convivono mondo laico, cultura ebraica, religione cattolica e musulmana; ed Eros Puglielli, regista e sceneggiatore sia cinematografico sia televisivo, buddista, che ha al suo attivo numerosi cortometraggi di successo e film. Le prestigiose “Chiavi della Città di Maenza”, infine, saranno consegnate dal sindaco Loreto Polidoro a Beppe Ghisolfi, banchiere e uomo della finanza internazionale e al direttore creativo della Maison Gattinoni Guillermo Mariotto.
Al via il Dottorato per la Pace, un progetto unico al mondo
1 Novembre 2024
Ospite nel programma Radio Vaticana con Voi il professor Alessandro Saggioro, Ordinario di Storia delle Religioni alla Sapienza di Roma, l'Ateneo che coordina le 36 Università coinvolte in un progetto unico al mondo, il Dottorato in Studi sulla Pace. Primo nel suo genere in Italia e a livello internazionale, promuove un percorso innovativo di alta formazione e di ricerca interdisciplinare sulle tematiche del conflitto e della pace. Le lezioni inizieranno il prossimo 12 novembre.
Aperto il primo museo al mondo dedicato all’arte e alla cultura Sufi. Reportage da Parigi
27 Settembre 2024
Noto come la corrente mistica dell’Islam, il Sufismo e la sua arte sono i protagonisti del nuovo museo MACS MTO nel sobborgo parigino di Chatou. Si parte con una mostra che mette in dialogo i manufatti e le tradizioni Sufi con l’arte contemporanea internazionale.
“Non potevamo desiderare luogo migliore per dare vita a un luogo che racconti i valori introspettivi e meditativi del Sufismo”. Così risponde Alexandra Baudelot – direttrice e curatrice del Musée d’Art et de Culture Soufis MTO – quando le chiediamo perché scegliere proprio il tranquillo sobborgo di Chatou (giusto 25 minuti con i mezzi pubblici dal ben più trafficato centro di Parigi) per fondare il primo museo al mondo sull’arte e la cultura Sufi. A ospitare il MACS MTO è un edificio dall’architettura ottocentesca francesissima (primo sintomo della volontà di dialogo interculturale del nuovo museo), affacciato sulla Senna e sulla celebre Île des Impressionnistes.
Cos’è il Sufismo
Il Sufismo è noto come la corrente mistica dell’Islam ma, come il museo stesso dimostra, è anche molto di più. Chi segue i precetti Sufi, infatti, è in realtà partecipe di un percorso o di un metodo volto a raggiungere la consapevolezza di sé, che equivale a un’intima relazione con Dio. Questa corrente, del tutto assimilabile a una filosofia religiosa, ha contribuito alla storia dell’arte e dell’artigianato islamico in modo consistente. Proprio per questo motivo, si sentiva la necessità di creare un museo che lo testimoniasse, su iniziativa del MTO (Maktab Tarighat Oveyssi Shahmaghsoudi School of Islamic Soufism), un’organizzazione non profit internazionale che insegna i principi Sufi di amore, unità e armonia a oltre un milione di studenti.
MACS MTO: dove la cultura Sufi incontra l’arte contemporanea
A inaugurare il museo, una mostra distribuita sui tre piani espositivi e intitolata Un Ciel intérieur: i manufatti Sufi della collezione permanente dialogano con le opere di sette artisti contemporanei, differenti per età, provenienza geografica e tecnica. Il percorso comincia al piano rialzato, dove una stanza accoglie quello che possiamo definire un albero genealogico della cultura Sufi: a partire da Allah e passando poi attraverso il poeta Maometto (e quindi dal Corano, di cui è presente in mostra una preziosa e affascinante copia), viene messa in evidenza la successione dei diversi maestri del Sufismo nel corso dei secoli. Una rappresentazione importante, che rende esplicite le profonde radici di questa cultura. Appena oltre si incontra uno dei manufatti più caratteristici del Sufismo: un’installazione, infatti, espone diversi esemplari dei cosiddetti kashkūl, contenitori realizzati con noci di cocco di mare decorate, tradizionalmente utilizzati dai Sufi (e in particolare, dagli asceti di questa corrente, ben noti col nome di “dervisci”). Proprio a questi manufatti (che nella loro forma originaria alludono all’organo genitale femminile) si ispirano i dipinti della tailandese Pinaree Sanpitak (Bangkok, 1961), il cui colore dominante (il rosso) riecheggia gli abiti dei dervisci. Alle geometrie decorative e architettoniche islamiche – e soprattutto a quelle della moschea Shah-Cheragh a Shiraz – sono ispirati i disegni e i mosaici specchianti dell’iraniana Monir Shahroudy Farmanfarmaian (Qazvin, 1922 – Teheran, 2019), mentre Seffa Klein (Phoenix, 1996), nipote del celebre Yves Klein, utilizza il metallo ossidato come pigmento per dipinti infusi delle atmosfere meditative e introspettive della cultura Sufi.
La storia del Sufismo al MACS MTO
Il secondo piano dell’esposizione approfondisce maggiormente la storia del Sufismo, tanto attraverso un video educativo quanto ricostruendo lo studio di Hazrat Shah Maghsoud, 41esimo maestro della scuola MTO, vissuto nel Novecento tra l’Iran e gli Stati Uniti. Al museo di Chatou è possibile prendere visione di una sua lezione (recitata direttamente dall’ologramma del maestro) sui temi dell’esistenza e della devozione. La medesima devozione necessaria per realizzare le tre monumentali opere esposte poco più avanti, raffiguranti un tavolo, un kashkūl e un recipiente noto come sangāb, ciascuno ricavato da un unico pezzo di marmo e finemente lavorato, evocando il processo di “levigatura interiore” dei Sufi.
L’arte contemporanea ispirata al Sufismo
Salendo l’ultima rampa di scale a chiocciola, invece, si incontrano altre opere d’arte contemporanea, come quelle della sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986), che con le sue installazioni esplora le intersezioni tra mondo naturale e antropico, oppure l’arazzo siliconico dello zimbabwese Troy Makaza, ispirato al percorso di conoscenza interiore Sufi. A spiccare sono però le sculture in vetro soffiato di Chloé Quenum (Parigi, 1983): la traslitterazione araba delle parole safā (limpidezza), samāʿ(ascolto spirituale) e sūf (lana) – tre termini chiave per la cultura Sufi – si trasformano in opere dall’aspetto organico ed evocativo. Chiude la mostra una serie di opere che l’artista marocchino Younes Rahmoun (Tétouan, 1975) ha installato in modo da essere visibili solamente prendendo l’ascensore, ricreando il percorso di ascesa spirituale promossa dal Sufismo.
Alberto Villa
"Immaginare la Pace": costruire un futuro più giusto e pacifico
25 Settembre 2024
Si è concluso nella storica piazza di Notre-Dame a Parigi l’evento “Immaginare la Pace”, un incontro che ha visto riuniti uomini e donne di diverse religioni e culture, con un unico obiettivo: costruire un futuro più giusto e pacifico. La scelta di Notre-Dame come luogo di chiusura ha toccato il cuore di molti, riportando alla memoria le emozioni vissute dopo l'incendio del 2019.
L’Arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, ha aperto la cerimonia, sottolineando come Parigi, città che ha già visto tanti momenti di riconciliazione, possa tornare ad essere un simbolo di speranza. Le sue parole hanno invitato tutti a guardare oltre le divisioni, perché il dialogo tra le religioni è la chiave per costruire ponti duraturi.
Uno dei momenti più commoventi è stata la testimonianza di Gilberte Fournier, una donna di 93 anni che ha raccontato la sua infanzia durante la Seconda Guerra Mondiale a Parigi. Le sue parole, piene di dolore ma anche di speranza, ci hanno ricordato quanto sia importante non dimenticare gli orrori del passato. Gilberte ha lanciato un forte appello ai giovani: "Non lasciatevi convincere che la guerra sia inevitabile. Custodite e fate crescere la pace che la mia generazione ha immaginato dopo la guerra". Un’eredità preziosa, consegnata nelle mani delle nuove generazioni.
Non è mancato il messaggio di Papa Francesco, che ha ricordato come il cammino della pace sia lungo e impegnativo, ma indispensabile per costruire una società che rispetti la dignità umana e promuova la giustizia. "Non arrendiamoci alla logica della guerra e della divisione", ha esortato il Papa, incoraggiando tutti a continuare a lavorare per la riconciliazione e la fraternità.
La cerimonia si è conclusa con l'intervento del Presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, che ha ringraziato i tanti partecipanti per aver condiviso, in questi tre giorni, il coraggio di immaginare la pace. Impagliazzo ha ricordato che la pace è un’idea che si costruisce giorno dopo giorno, attraverso l’incontro e il dialogo. "In questi giorni abbiamo parlato di bambini che sognano la pace e di popoli che resistono alla guerra", ha detto, invitando tutti a portare avanti questo sogno.
E così, tra le parole di speranza e i volti commossi dei partecipanti, si è chiuso un evento che lascia un messaggio chiaro: la pace è possibile, ma richiede il nostro impegno. Ci vediamo il prossimo anno, a Roma, per continuare insieme questo cammino!
Le religioni alla prova della globalizzazione
Una tavola rotonda organizzata da ResetDOC con esperti ed esponenti di diverse tradizioni religiose è stata la tappa milanese del progetto scientifico internazionale V-Theo.net, che vuole analizzare il pluralismo sotto il profilo teologico
Da: https://www.chiesadimilano.it/news/attualita/incontro-pluralismo-religioso-resetdoc-2815611.html
24 Settembre 2024
Un grande progetto di ricerca sulle teologie del pluralismo nelle diverse religioni. È quello che, promosso da ResetDOC, con il titolo V-Theo.net, è stato presentato a Milano, presso l’Auditorium di San Giorgio al Palazzo, in una Tavola Rotonda alla quale hanno preso parte esperti del panorama internazionale ed esponenti religiosi di diverse tradizioni. L’incontro è parte di un progetto scientifico di vasto raggio, appunto, V-Theo.net (www.resetdoc.org), che analizza il pluralismo sotto il profilo teologico ed esplora i cambiamenti indotti nella religione dalla globalizzazione. Avviata due anni fa, l’iniziativa ha già dato luogo a seminari dedicati all’Islam – tenutisi a Birmingham e a Sarajevo, di cui Milano ha rappresentato il terzo e ultimo appuntamento -, al Cristianesimo Ortodosso, tenutosi a Volos in Grecia, e sarà seguito da altri eventi dedicati al Protestantesimo e all’Ebraismo a Washington nel febbraio del 2025.
Comprendere il pluralismo religioso
A presentare l’iniziativa è stato il giornalista Giancarlo Bosetti co-fondatore, nel 2004, di ResetDOC-Reset Dialogues on Civilizations, associazione internazionale indipendente, senza scopo di lucro e apartitica.
«In tutte le religioni ci sono nemici del dialogo, perché questo può essere in contrasto con l’annuncio di cui si fa portatrice ogni singola fede. A noi interessano il dialogo e i suoi fautori, ma anche i suoi negatori, perché questo ha una grande influenza sulla vita pubblica. Ci sono progressi e regressi, ma vogliamo esplorare questi temi con lo strumento della conoscenza», ha spiegato Bosetti, seguito da José Casanova dell’Università statunitense di Georgetown e da Jocelyne Césari – impegnati entrambi nel progetto e membri del Comitato scientifico – anch’ella docente nello stesso Ateneo e presso l’Università di Birmingham. «Il nostro scopo», ha sottolineato, «è vedere come le religioni si interfacciano tra loro su diverse questioni. Per questo guardiamo tutte le fedi dal punto di vista comparativo».
Dal riferimento al Vaticano II e alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ha preso le mosse il breve intervento di Casanova. «Il pluralismo religioso è inevitabile nelle diverse società e il modo di rispondervi riguarda le nostre fedi. Riconoscere gli altri ha che fare con la differenza tra religioni vere e false».
«Il tema del destino dell’altro e di chi possa accedere alla salvezza, ha un impatto profondo sul modo di costruire le società», ha spiegato Martino Diez, professore associato di Lingua e Letteratura araba in Cattolica, direttore scientifico della Fondazione Oasis voluta dal cardinale Angelo Scola 20 anni fa per comprendere gli Islam e avviare dialoghi proficui tra le due sponde del Mediterraneo e che collabora con ResetDOC.
La visione ebraica
«Il dialogo interreligioso è una novità degli ultimi decenni: una volta non solo non si dialogava, ma si andava molto più in là. Dopo il Concilio, il dialogo tra ebrei e cristiani ha prodotto frutti importanti, primo tra tutti svelare i pregiudizi che hanno dato luogo a esperienze terribili, ma nel dialogo non c’è niente di definitivamente dato e superato. I pregiudizi riemergono», ha evidenziato Alfonso Pedatzur Arbib, rabbino capo della comunità ebraica di Milano.
«Un detto rabbinico dice che un po’ di luce scaccia il buio, e quindi basta un po’ di luce, ma il Mussar (il movimento educativo, etico e culturale fondato nel XIX secolo dal rabbino e talmudista Israel Salanter nell’Europa orientale n.d.r.), predica che il buio non se ne va, semplicemente si nasconde. Stiamo vivendo un momento terribile di guerra e questo incide sul dialogo interreligioso: molti non sono convinti che vi possa essere un dialogo dal punto di vista teologico, ma semmai che esso è possibile sul “Tikkun Olam”, traducibile con il miglioramento del mondo».
E così, ha proseguito Arbib, «se la preghiera, in tutte le religioni, è profondamente identitaria per cui quella comune è molto complicata», si può, tuttavia, «collaborare sulle “opere d’amore” occupandosi del prossimo e tentando di capire di cosa hanno bisogno gli altri».
Come a dire, mettersi in contatto è fondamentale, secondo quello stile che il rabbino capo definisce dell’«empatia».
«Per noi ebrei questo è stato un anno temendo nel quale abbiamo sentito una scarsità di empatia, con una rinascita dell’antisemitismo che non credo abbia avuto un’attenzione sufficiente e che è grave perché ripropone i pregiudizi in Europa e in Italia. Questo ci pone delle domande sul dialogo che non è solo teologico o per fare del bene, ma che dovrebbe portare a sentire la gioia e la sofferenza dell’altro».
Bressan: il dialogo e le sfide del cambiamento
Due le sfide che propone il vicario episcopale e presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Diocesi, monsignor Luca Bressan.
«Dal punto di vista della Chiesa cattolica ambrosiana, si tratta di aiutare i cristiani, a partire dalle pratiche, a comprendere come la città sia cambiata e stia cambiando, e che linguaggio costruire di fronte a pregiudizi riferiti alle religioni che emergono, però, in un contesto senza fede».
Quattro le pratiche suggerite. «La conoscenza reciproca e il riconoscimento – come vicario episcopale ho imparato che si tratta di frequentarci -; costruire eventi insieme, come quello promosso dal Forum delle Religioni presso la Statale, dopo il Covid per comprenderne la tragedia; sviluppare il dialogo culturale e teologico e organismi quali il Forum delle Religioni stesso». Il ricordo va a don Giampiero Alberti, cofondatore del Forum e grande tessitore del confronto con l’Islam, scomparso il 5 settembre scorso. «Al momento del saluto ci siamo accorti come la sua vita abbia creato una rete di dialogo straordinaria», spiega monsignor Bressan alludendo alla partecipazione di tanti amici musulmani alle esequie.
Il riferimento è anche alla Consulta interreligiosa promossa a livello regionale «che ci permette di far vedere la forza delle religioni» e alla scelta di uno spazio nell’area Mind dedicato alle fedi e al dialogo.
E tutto questo con tre compiti: «imparare a ricomprendersi, come la Diocesi sta facendo riconoscendosi Chiesa dalle genti; lavorare insieme per capire come incontrarsi, interrogandosi sulla nostra identità nel quotidiano e annunciare Dio e la sua importanza dentro le differenze».
Basti pensare – aggiunge, infine, Bressan – che «nel IV secolo anche Ambrogio, trovandosi vescovo di una città che conosceva un cristianesimo frammentato, ha costruito legami che ancora oggi fanno la nostra identità: quella di una Chiesa che porta il suo nome».
Il confronto sul pluralismo oggi
Dalla «perversa corrente in atto di delegittimazione del pluralismo e della pari dignità delle persone» si avvia l’intervento di Yahya Pallavicini, imam della moschea milanese Al-Wahid e vicepresidente della Coreis-Comunità Religiosa Islamica Italiana. «Oggi si misconosce la dignità del credente in un’altra religione, lo si tollera come figlio di un Dio minore o, addirittura, lo si considera un selvaggio da educare e un essere inferiore».
Altrettanto pericolosi, secondo Pallavicini, «il relativismo e il sincretismo» vissuti con indifferenza per le specificità «per cui occorre negarle per volersi bene».
«Tutto questo ha a che fare con l’incapacità di comprendere il pluralismo che, nell’Islam, è un riflesso misterioso ed evidente della dimensione dell’unità. Ci sono linguaggi differenti all’interno di una lingua e ci sono diverse lingue e diversità nell’interpretare fatti e figure, ma bisogna riuscire a cogliere ciò che ci avvicina, rispettando ciò che è differente senza usare il metodo perverso del giudizio e della sentenza. Il confronto sul pluralismo è utile a tutti», scandisce l’imam che porta l’esempio di alcuni allarmanti segnali «che giungono dal nostro interno sunnita e che dicono che non si deve più dialogare con ebrei e rabbini, con gli sciiti o i non credenti, altrimenti non siamo più buoni musulmani. La diversità diventa sentenza di delegittimazione anche all’interno di una singola fede. Il compito dei religiosi e dei teologi è distinguere i piani portando avanti un obiettivo di pacificazione e cogliendo la profondità dello Sirito con rispetto per l’altro».
L’articolo 8 della Costituzione
Chiarissima anche la posizione espressa da Sophie Langeneck, pastora della Chiesa metodista di Milano. «Siamo, come protestanti, una comunità con una forte vocazione interculturale e su questo ci interroghiamo anche al nostro interno. Il dialogo interreligioso è la rete dei pescatori che deve essere ripulita e rammendata se ha degli strappi. Il primo passo pratico del dialogo è stare insieme e adoperarsi per trovare spazi in cui si possa comunque parlarci e questo è ciò che avviene nel Forum delle Religioni di Milano», osserva la Pastora che indica «un altro passo da fare: svolgere il ruolo di advocacy per un Paese plurale» che applichi l’articolo 8 della Costituzione italiana. «Noi vorremmo persino un superamento di questo articolo – “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” – che apra più ampiamente alla libertà religiosa. Una quarta pratica è la lotta al fondamentalismo, non quello degli altri, ma il nostro».
«Qualcosa» non funziona
Al termine sono Paolo Branca, docente di Storia dell’Islam in Cattolica e Mohamed Baghdad, fisico atomico impegnato in varie realtà di confronto interreligioso, a portare le loro testimonianze di dialogo concreto con Branca che subito osserva. «Si impara più da chi ci si oppone che dagli amici, da uno schiaffo che da una carezza e non passa giorno in cui non parlo arabo con qualcuno per strada senza problemi». Questo è il mio punto di vista personale, ma da quello istituzionale c’è qualcosa che non funziona. Un “qualcosa” dietro al quale, se analizziamo oltre la superficie, ci sono singoli, e sempre più anche gruppi, concentrati sui temi identitari e che vogliono che non esistessero nemmeno alcune categorie di persone».
AFRICA/CONGO RD - L’impegno delle confessioni religiose per la pace nel Sud Kivu
23 Settembre 2024
Kinshasa (Agenzia Fides) – Si è chiuso con una nota di speranza l’importante incontro interreligioso per la pace che si è tenuto il 21 settembre a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, una delle tre provincie dell’est della Repubblica Democratica del Congo, da decenni tormentate dalle violenze commesse da decine di gruppi armati.
Il meeting si tenuto presso l’arcivescovato della città ed ha visto la partecipazione di rappresentati di diverse confessioni religiose dell’intera provincia ecclesiastica di Bukavu (cattolici, kimbanguisti, musulmani, cristiani ortodossi, chiese del risveglio, anglicani, protestanti, Esercito della Salvezza, Unione delle Chiese Indipendenti), così come quelli della diocesi di Cyangugu, in Ruanda.
La partecipazione di rappresentati ruandesi è particolarmente significativa e importante. Il governo del Ruanda è accusato da quello congolese di fornire appoggio ai gruppi di guerriglia operanti nella RDC, in particolare all’M23, attivo soprattutto nel Nord Kivu. A sua volta Kigali accusa Kinshasa di tollerare da decenni la presenza sul suo territorio della Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), considerate emanazione del vecchio regime ruandese responsabile del genocidio del 1994.
Lo sforzo di dialogo di tutte le confessioni religiose è stato lodato dal governatore del Sud Kivu, che ha sottolineando l'importanza della collaborazione tra le autorità civili e le fedi religiose per stabilire una sistema di governo esemplare. Unendo la sua voce a quella dei leader religiosi, il governatore ha ricordato che la costruzione della pace e del buon governo richiede il coinvolgimento di tutti, al di là delle differenze politiche o spirituali.
Nel corso dell’incontro si è affrontata anche l’altra emergenza che sta vivendo quest’area della RDC, l’epidemia di Mpox (il cosiddetto “vaiolo delle scimmie”). Il dottor Deogratias Cigwerhe, specialista in materia, ha fornito un'anamnesi dettagliata della malattia, determinandone l'origine, le modalità di trasmissione e le misure preventive da adottare per limitarne la diffusione. Il suo intervento ha permesso di sensibilizzare i partecipanti sui pericoli posti dalla malattia e sull’importanza degli sforzi collettivi per prevenirla. (L.M.) (Agenzia Fides 23/9/2024)
Conferimento del riconoscimento a Claudio Caramia
16 Settembre 2024
Le religioni per la pace e e le guerre di religione
Se avessimo litigato saremmo andati su tutti i telegiornali e su tutti i giornali. Ma poiché dialoghiamo e lavoriamo insieme per la pace ecco che nessun giornalista, nonostante gli inviti, è venuto a vedere cosa succedeva. E' stato premiato Claudio Caramia, un triestino che da 25 anni ha tessuto il dialogo e l'incontro tra le diverse religioni. Ha fondato a Trieste la sezione di "Religions for Peace" e da Roma il presidente Luigi De Salvis è venuto; e pure il Prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, il Card. Miguel Angel Ayuso Guixot, ha inviato una bellissima lettera.
Ci siamo stretti attorno a Claudio e ai suoi familiari nella sala della Comunità religiosa serbo ortodossa, e siamo stati elevati al Signore con i canti del Coro della Chiesa di San Spiridione. Come una grande famiglia che apre il suo cuore a Dio e chiede pace per il mondo intero. Moderati da Lidija Radovanovic, c'è stato un susseguirsi di interventi di vari rappresentanti religiosi che hanno raccontato aneddoti o si sono espressi sul difficile compito di promuovere la pace. E sul fatto che Dio ci chiederà: "cos'hai fatto tu, mentre si combattevano quelle terribili guerre, per coltivare la pace?". Ne faccio l'elenco perché sappiate di quanto è stato emozionante trovarci insieme, e non a litigare, ma a rendere omaggio a chi è operatore di pace da tanti anni tra le comunità religiose di Trieste. A me, come Vescovo di Trieste, è toccato iniziare. Ma poi don Valerio Muschi, Responsabile dell'Ufficio Ecumenismo e dialogo interreligioso della diocesi di Trieste. Poi il presidente della comunità Islamica di Trieste, Omar Akram; il pastore delle Chiese valdese e metodista Peter Ciaccio; il Segretario del Centro spirituale Baha'I, Maura del Puppo; Componente relaz. esterne dell'Istituto Buddista Soka Gakkai, Vanessa Florit; il CApo Rabbino della Comunità ebraica di Trieste, Eliahu Alexander Meloni; il Rev.mo Archimandrita della comunità greco-orientale di Trieste, p. Gregorius Miliaris; il Rev.do protopresbitero della Comunità Serbo-ortodossa di Trieste, p. Rasko Radovic; Presidente del Centro Buddista tibetano Sakya, Malvina Savio; il rappresentante della Chiesa cristiana avventista del 7° giorno di Trieste, Eliseo Testa (che ha raccolto il testimone da Claudio Caramia per il ruolo di presidente Reiligion for Peace di Trieste). E poi il saluto di mons. Ettore Malnati, del Presidente Luigi de Salvia. E la presenza spirituale di p. Valentin Tarta, presbitero della Chiesa Romeno-ortodossa.
Impariamo tutti da Claudio a saper gettare ponti, a saper tessere dialoghi, a coltivare stima pur nelle differenze che restano ma che non ci impediscono di costruire la pace e di lavorare insieme per la giustizia.
Digiuno federale, Festa del ringraziamento in Svizzera
13 Settembre 2024
Il testo del Consiglio elvetico delle religioni in vista dell’appuntamento di domenica 15 settembre
La festa federale di ringraziamento, chiamata anche digiuno federale o, in modo più esteso, festa federale di ringraziamento, pentimento e preghiera è una festività religiosa e civile interconfessionale svizzera. La si festeggia annualmente la terza domenica di settembre, in tutta la Confederazione, ad eccezione del cantone di Ginevra, dove viene celebrata il giovedì seguente la prima domenica del mese. Affonda le radici a partire almeno dal XVI secolo e ad essa è collegata una intensa attività di dono e solidarietà.
In una intervista sul portale ufficiale Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata svizzera, sottolinea l’importanza del ruolo delle comunità religiose di fronte alle minacce che attualmente gravano sulla democrazia, sui diritti umani e sulla libertà nel mondo. In occasione del digiuno federale del 15 settembre 2024, ha pubblicato, con il Consiglio svizzero delle religioni (SCR), una dichiarazione congiunta accompagnata da una preghiera.
«Il Digiuno Federale offre a noi, rappresentanti delle comunità musulmane, ebraiche e cristiane della Svizzera, una preziosa occasione per riflettere e riflettere sulle responsabilità che condividiamo e sulle opportunità di cui beneficiamo.
La Svizzera ci dà così tanto di cui essere grati e grati. La Svizzera è un paese di pace, un paese di neutralità politica, un paese risparmiato dalla guerra per molti anni. Il nostro tenore di vita è uno dei più alti al mondo; il nostro sistema sanitario è eccellente, il nostro sistema formativo integrativo è rivolto al futuro e una forte rete raccoglie e sostiene bambini e pensionati, malati e bisognosi. Il nostro processo democratico di partecipazione diretta, la nostra diversità culturale e la grande tolleranza che regna tra culture, religioni e stili di vita diversi tra loro sostengono la pace sociale e religiosa del nostro Paese. Il nostro ambiente di vita piacevole, la nostra politica stabile, la nostra prosperità economica e la nostra diversità culturale costituiscono un quadro che consente agli esseri umani di prosperare. Vivere in Svizzera è un dono!
Tuttavia, vivere in Svizzera è più di un dono, perché la nostra democrazia, la nostra pace religiosa e la nostra cultura liberale e tollerante non sono cadute dal cielo: sono il frutto di processi di apprendimento lunghi, dolorosi e talvolta sanguinosi. Tuttavia, ovunque nel mondo, la democrazia, i diritti umani e la libertà sono minacciati dall’ostilità, sfruttata politicamente, diretta contro i gruppi. Se vogliamo mantenere questi progressi, non possiamo darli per scontati, ma dobbiamo lottare contro la misoginia, contro l’antisemitismo, contro l’islamofobia, contro l’ostilità verso le Chiese, contro il razzismo e contro il nazionalismo. Quando le nostre comunità religiose promuovono tali atteggiamenti e ideologie, o si lasciano sfruttare da essi, come comunità di credenti, siamo colpevoli. La nostra fede ci dà orientamento spirituale, ma ci affida anche la responsabilità verso il nostro prossimo, soprattutto quando questo prossimo ci è ancora estraneo.
Spinti dal riconoscimento e dall’impegno che questo riconoscimento comporta, noi, rappresentanti delle comunità e delle Chiese musulmane, ebraiche e cristiane della Svizzera, vogliamo contribuire alla pace e all’equità nella nostra società. Possa questo giorno di digiuno federale ispirare tutti noi a impegnarci per la pace e il benessere dell’intera comunità. Invitiamo le nostre Chiese, le nostre comunità religiose e gli uomini e le donne di buona volontà a dire le seguenti parole per farne la base della loro preghiera.
Dio che ci ama,
Siamo uniti dai nostri desideri e dalle nostre speranze e veniamo da religioni diverse. Vi esprimiamo la nostra gratitudine per i numerosi privilegi di cui godiamo in Svizzera: godiamo di pace, prosperità e libertà di vivere le nostre convinzioni.
Sappiamo che non dimostriamo ancora sufficiente responsabilità verso la vostra Creazione e i vostri valori. A volte dimentichiamo quanto stiamo bene e non riusciamo a vedere coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. Riconosciamo i nostri errori e ti chiediamo di perdonarci e di darci la forza per fare meglio.
Fateci opporci a tutto ciò che crea disprezzo per l’uomo. Donaci il coraggio di alzare la voce contro l’odio, il razzismo e l’ingiustizia. Rendici strumenti della tua pace, facci riflettere il tuo amore e la tua bontà.
Grazie per averci ascoltato e accompagnato in questo percorso».
I firmatari
Mons. Felix Gmür, presidente della Conferenza episcopale svizzera CES
Önder Günes, presidente della Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera FOIS
Rita Famos, pastore presidente del Consiglio della Chiesa evangelica riformata della Svizzera EERS
Ralph Friedländer, presidente della Federazione svizzera delle comunità ebraiche FSCI
Frank Bangerter, vescovo eletto della Chiesa cristiana cattolica svizzera ECCS
Farhad Afshar, presidente del Coordinamento delle organizzazioni islamiche svizzere CIOS
Metropolita Maxime della Svizzera, Metropolita della Svizzera (Patriarcato ecumenico)
Jean-Luc Ziehli, pastore Presidente di SEA-RES e Freikirchen.ch
Cosa ha spinto lei e il Consiglio svizzero delle religioni a rilasciare una dichiarazione congiunta in occasione del digiuno federale?
Nel corso della sua storia, il Digiuno Federale ha sempre avuto due funzioni: la preghiera in tempi di crisi e, dal 1848, la mediazione tra le fedi. Oggi questi due aspetti sono più attuali che mai: le persone devono superare numerose crisi e la convivenza tra le comunità religiose in Svizzera è soggetta a forti pressioni e odi. In un momento in cui la polarizzazione e le divisioni aumentano in molti Paesi, è fondamentale dare un segnale forte di comunità. La dichiarazione interreligiosa deve mostrare chiaramente che noi, rappresentanti di fedi diverse, abbiamo una responsabilità comune per la pace sociale. Ciò che ci unisce non è solo la fede in Dio, ma anche la convinzione che dobbiamo impegnarci insieme per il benessere di tutti gli esseri umani nella nostra società.
La dichiarazione parla di minaccia alla democrazia, ai diritti umani e alla libertà in tutto il mondo. Le comunità religiose hanno una responsabilità particolare a questo riguardo?
Assolutamente sì. Le religioni non hanno solo la missione di fornire guida spirituale, ma hanno anche una responsabilità sociale ed etica. I valori della giustizia, della dignità umana e della libertà sono profondamente radicati nella fede. Quando questi valori sono minacciati in tutto il mondo, sia dal nazionalismo, dall’intolleranza o dall’ostilità verso determinati gruppi di persone, persone di fede o membri di religioni diverse, come comunità religiose, non possiamo tacere. È nostro dovere prendere posizione, sia a parole che con i fatti, e chiarire che tali sviluppi sono in contraddizione con i nostri valori fondamentali. Non si tratta di esercitare un’influenza politica, ma di difendere ciò che consideriamo sacro e indispensabile: la vita e la dignità di ogni essere umano.
La dichiarazione afferma inoltre che la nostra società è il prodotto di dolorosi processi di apprendimento. Cosa ti dà speranza di fronte alle attuali sfide globali?
Ciò che mi dà speranza è il profondo desiderio di molte persone e comunità di cercare insieme soluzioni nonostante le difficoltà. Come dimostra la storia, le crisi più grandi sono anche momenti di trasformazione e di crescita. La generazione di oggi è più connessa e informata che mai. C’è una crescente sensibilità verso temi come la giustizia sociale, la sostenibilità e i diritti umani. La cooperazione interreligiosa è un segno che possiamo trovare un percorso comune al di là delle nostre differenze. Credo fermamente che lo spirito umano, ispirato dalla fede e dall’amore per il prossimo, troverà i mezzi per affrontare le sfide.
La dichiarazione sottolinea che la fede ci impegna non solo spiritualmente, ma anche socialmente. Quale consideri la sfida più grande per la Chiesa nell’attuazione di questa missione?
La sfida più grande è portare la fede nella vita quotidiana della nostra società. Viviamo in un mondo spesso segnato dall’individualismo e dalla ricerca della realizzazione personale. In una società del genere non è facile trasmettere il messaggio di solidarietà, perdono e amore per il prossimo. Molte persone stanno prendendo le distanze dalle istituzioni, compresa la Chiesa. Il nostro compito come Chiesa è rimanere rilevanti e raggiungere le persone dove si trovano. Ciò significa che dobbiamo anche trovare nuovi modi per tradurre la nostra responsabilità sociale in azioni concrete, sia attraverso il lavoro educativo, i progetti sociali o l’impegno per la giustizia e la pace. Per fare questo, non dobbiamo fare affidamento esclusivamente sull’istituzione della Chiesa, ma incoraggiare tutte le persone di fede a diventare attive.
Qual è il significato speciale del digiuno federale per te e per la Chiesa riformata svizzera?
Per me questa giornata è un momento di pausa. In un mondo in cui tutto si muove molto velocemente e dove spesso ci manca una prospettiva sull’essenziale, il Digiuno Federale ci offre l’opportunità di fermarci, riflettere ed esprimere la nostra gratitudine per tutto ciò che abbiamo. Per la Chiesa riformata svizzera questa giornata è anche un segno della nostra responsabilità all’interno della società. È un giorno in cui realizziamo il nostro ruolo, come voce a favore della giustizia e come comunità attivamente impegnata per la pace. In una società pluralistica, questa giornata è il simbolo che la religione non divide, ma unisce invitando alla riflessione comune su valori e responsabilità.
Guardando al futuro, come vede il ruolo della Chiesa in una società sempre più pluralistica e come possiamo noi, come credenti, svolgere la nostra parte nel promuovere la pace e la giustizia?
In una società pluralistica, la Chiesa rimarrà rilevante solo se sarà aperta e pronta al dialogo. Non si tratta di scendere a compromessi a scapito della fede, ma di entrare in dialogo con altre religioni e visioni del mondo, mostrando chiaramente i nostri valori e le nostre convinzioni. Per il futuro della Chiesa, vedo due missioni centrali: da un lato, dobbiamo continuare a offrire luoghi di rifugio spirituale e di dialogo dove le persone possano trovare risposte alle domande urgenti del nostro tempo. D’altro canto, dobbiamo agire concretamente nel mondo, impegnarci per la giustizia, opporci all’ingiustizia e aiutare chi ha più bisogno di sostegno. Solo così potremo rimanere credibili come credenti e dare un contributo reale alla pace.
CEDRO FESTIVAL -
CALABRIA E' CONVVENZA
8 Settembre 2024
CALABRIA -
Una marcia per la convivenza
«Calabria è convivenza». È lo slogan dietro il quale centinaia di persone hanno sfilato a Santa Maria del Cedro (CS), nella serata conclusiva del Cedro festival. Frutto caratteristico della regione, ma anche simbolo della festa ebraica di Sukkot.
Il messaggio inclusivo dell’evento è stato fatto proprio dalla presidente Ucei Noemi Di Segni e del vicepresidente dell’Unione Giulio Disegni, entrambi presenti all’iniziativa insieme ai rappresentanti delle principali confessioni religiose del territorio, tra cui cattolici, valdesi, greco-ortodossi, buddisti e islamici. Con loro anche il referente della Sezione ebraica di Palmi Roque Pugliese e Menachem Lazar, rabbino del movimento Chabad.
La Calabria è da tempo al centro dell’attenzione delle istituzioni dell’ebraismo italiano, ha spiegato Disegni nel ricordare le iniziative intraprese negli anni sotto l’egida del “Progetto meridione”, per valorizzare i luoghi ebraici calabresi e il suo antico retaggio dopo secoli di rimozione. «La risposta anche questa volta è stata importante, con una partecipazione significativa di leader religiosi, sindaci e tanti comuni cittadini»
«Ciascun oratore ha portato una sua riflessione sul valore del dialogo, del confronto e della necessità di conoscere l’altro. A poco meno di un anno da un evento che ha stravolto il mondo e le coscienze di ognuno di noi come il 7 ottobre, in un periodo di crescita esponenziale dell’odio e dell’antisemitismo, c’era il bisogno di un momento di riflessione comune come questo». Il Cedro festival e la marcia per la convivenza sono stati anche l’occasione per rafforzare il dialogo con gli amministratori locali.
Donne di Fede per la Pace, unite per guarire le ferite delle guerre
31 Agosto 2024
Si conclude a Montagnaga, in Trentino, l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, fondato da Lia Beltrami per riunire donne di diverse fedi con l'obiettivo di rompere i muri del pregiudizio e dell'odio trovando nuovi modi di costruire il dialogo nella vita quotidiana in zone di conflitto
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Ha proposto diversi laboratori sul tema della pace, una preghiera interreligiosa e una “Cucina di pace” l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, assieme ad altre realtà, a Montagnaga, in provincia di Trento, e che si conclude oggi. Una quarantina di persone di diverse generazioni si sono ritrovate da venerdì 30 agosto, per tre giorni di convivenza, “per riflettere in profondità sul senso e il significato della pace”, interrogandosi su “Quale pace in un mondo in guerra?”. Women of Faith for Peace, movimento nato 15 anni fa a Gerusalemme per diffondere un’esperienza straordinaria di pace vissuta concretamente, per rompere i muri del pregiudizio e per trovare nuovi modi di costruire un vero dialogo nella vita quotidiana, in zone di conflitto così come in Paesi che vivono situazioni di tensione e in ogni tessuto comunitario, ha coinvolto in questa iniziativa, con il supporto di Fondazione Caritro, l’associazione Shemà, Emotions to Generate Change, Lead Integrity. La fondatrice di Women of Faith for Peace è Lia Beltrami.
Lia Beltrami, che contributo specifico possono dare le donne di fede per promuovere la pace?
Le donne che vivono una dimensione di fede possono dare molto nel percorso di riconciliazione. Un popolo spaccato, due popoli l’uno contro l’altro, generano delle ferite incommensurabili che solo tanta tenacia e solo un approccio femminile creativo possono aiutare in un percorso di guarigione. Quindi, le donne devono essere consapevoli e andare a fondo nella loro direzione di fede e anche in questo percorso di accoglienza e abbraccio che guarisce. In particolare, nel mondo di oggi dove i conflitti sembrano così forti e un po’ si perde la speranza e le persone che sono impegnate nel cammino di pace perdono un po’ anche l’entusiasmo, allora è questo il momento che con Donne di Fede per la Pace, come persone che ci credono, dobbiamo impegnarci più fortemente per riaccendere la fiamma che c’è negli operatori e nelle operatrici di pace, perché poi ognuno sa che cosa deve fare nel proprio ambiente. Però dobbiamo sentirci uniti e dobbiamo capire che proprio la luce che è dentro di noi è una luce che può splendere e non deve fermarsi in questa doppia guerra, perché è una guerra fisica ed è una guerra di parole, è una guerra di comunicazione, è una guerra che rende sordi e incapaci spesso di sentire e trovare delle vie per andare avanti.
Tra i promotori dell’evento c’è anche il Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest’anno ha deciso di conferire il Premio Pellegrino di Pace - assegnato da trent’anni - a Women of Faith for Peace. Il presidente Caterina Costa, ha illustrato ai media vaticani i contenuti sviluppatisi in questi giorni.
Caterina Costa, confrontarsi sulla pace in un momento in cui preoccupano diversi focolai di guerra, quali i vostri obiettivi?
Ci stiamo interrogando su questo aspetto e ognuna di noi ha esposto le proprie considerazioni sugli elementi che caratterizzano la pace. Riconosciamo che non ci sono soluzioni chiare e definite per ogni situazione. Ciò che unisce in questi incontri è la volontà innanzitutto della condivisione e dell'ascolto, mettersi proprio in un ascolto empatico con chi queste situazioni di guerra le sta vivendo.
Quali gli elementi comuni emersi?
Innanzitutto una visione di pace che è armonia. Quando si crea armonia in un contesto, in un Paese, in una comunità, questo sicuramente è ciò che definisce, per la maggior parte di noi, il senso della pace. Poi come si raggiunge questa armonia è sicuramente qualcosa di più complicato, ma quello che è emerso, da parte di tutti, è la ricerca della giustizia. Il fatto di essere in grado di condividere e di ascoltare, mettersi in ascolto dell'altro, sospendendo il giudizio, cercando di superare anche il pregiudizio.
Quale contributo possono offrire oggi le donne per la pace nel mondo?
Le donne possono fare tanto. Purtroppo, a volte, la donna rimane un po’ ai margini dei luoghi in cui poi si decidono effettivamente le cose. Ma io, anche per la mia esperienza, soprattutto in Africa, posso dire che la donna, anche quando non ha un ruolo di potere è il motore del cambiamento. Sin dalle piccole cose, dalle piccole azioni, è, veramente, strumento che può apportare un vero cambiamento, a partire dalle piccole comunità sino ai grandi luoghi di potere. Ci si augura che il ruolo femminile, all'interno di questi contesti, possa sempre crescere, sostenendo appunto le donne. Il contributo che si può dare è proprio sostenerle soprattutto in quei luoghi in cui quel diritto di autoaffermazione viene negato, rendendolo, poi, anche sempre visibile, parlandone, non lasciando che alcuni contesti, alcune situazioni, cadano nell'oblio. Sicuramente la sensibilizzazione è uno strumento importante per fare in modo che certe situazioni non vengano dimenticate.
Da questo incontro come ripartire?
Sicuramente con una più forte determinazione. Questi momenti di condivisione, di ascolto, lo stare insieme, il condividere i pensieri, le paure, i sogni, anche progetti per il futuro, sono una spinta. Questa è la grande importanza, la grande forza di questi eventi. Ritengo, poi, che ognuna di noi, che ogni donna impegnata all'interno del proprio contesto, anche lavorativo, da qui può ripartire lavorando con una determinazione sicuramente più forte per cercare di portare quei cambiamenti che sono fondamentali.
Lei è presidente del Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest'anno conferisce il Premio Pellegrino di Pace a Women of Faith for Peace, perché?
Perché, innanzitutto, realizzare questi incontri, mettere insieme donne che appartengono a contesti diversi, è importante. Questo è un continuo lavoro di ricerca del dialogo, che poi non rimane un dialogo fine in sé stesso, ma si concretizza, poi, in azioni di cambiamento, di giustizia, nella comunità di riferimento. Quindi abbiamo ritenuto che questa attività fosse assolutamente meritevole del riconoscimento Pellegrino di Pace.
Chiuso il Sinodo valdese. Trotta, i diritti siano iniziativa bipartisan
La Moderatora della Tavola valdese, la diacona metodista Alessandra Trotta. Foto Daniele Vola
30 Agosto 2024
Torre Pellice (NEV/CS25sinodo09), 30 agosto 2024 – Il Sinodo valdese si è chiuso oggi pomeriggio a Torre Pellice, nel cuore delle Valli valdesi in provincia di Torino. Per una settimana deputati e deputate di tutta Italia si sono riuniti per discutere e votare democraticamente le linee guida della chiesa per il prossimo anno. Un anno speciale, questo, caratterizzato dalle celebrazioni per gli 850 anni del movimento nato dalla conversione alla povertà e all’Evangelo di un ricco mercante, Valdo di Lione.
Il Sinodo ha riconfermato la fiducia ad Alessandra Trotta, diacona metodista, quale Moderatora della Tavola valdese.
Nel suo discorso in Aula Sinodale, la Moderatora ha usato l’immagine del puzzle per rappresentare la chiesa. “Ogni tessera, ogni individuo, è essenziale per creare una visione completa”, ha detto Trotta.
Diversi i momenti significativi di questo Sinodo 2024 ricordati da Trotta: dall’importanza di riconoscere le connessioni tra le diverse parti della chiesa per evitare che queste rimangano scollegate, “impoverendone l’insieme”, alla necessità di collaborare per il bene comune.
“Una foto del corteo inaugurale, che ritrae una giovane pastora e due giovani consacrandi di origine non italiana, simboleggia l’inclusività e l’accoglienza della nostra chiesa, che vuole essere una chiesa di tutti e per tutti – ha proseguito la Moderatora, e ha aggiunto –: è importante anche trasmettere la storia e i valori della chiesa alle nuove generazioni, per mantenere la sua integrità come corpo intergenerazionale. Senza dimenticare il dialogo e la giustizia”.
“Nella polis, nella città dell’uomo, sono oggi in tanti, sempre più spesso, di fronte alla crisi dei sistemi democratici, a chiedersi se può resistere una democrazia senza uno spirito democratico che la legittimi e la rialimenti quando il contratto sociale si indebolisce e la coesione di una comunità civile fondata sui diritti e la solidarietà rischia di sfaldarsi e frammentarsi in gruppi antagonisti con valori non negoziabili che non possono essere discussi, tribù rancorose, alla ricerca di risarcimenti e rivincite – ha proseguito – nel condividere questo cruciale quesito, allo stesso tempo, a chi invoca e rivendica l’identità, le radici, i valori cristiani come fondamento di unità e coesione, dobbiamo sapere porre un altro quesito e saperlo porre anche a noi stessi/e: possono esistere e resistere i valori cristiani senza fede?”
Nel discorso Alessandra Trotta ha fatto anche riferimento alla necessità di accettare di essere minoranza e al messaggio biblico legato alla figura di Natanaele, dal vangelo di Giovanni: “Tu vedrai cose maggiori”, ha detto Gesù.
“Vedrai, vedremo cose maggiori, fratelli e sorelle; le cose al contrario, che sparano fiori e non bombe, ci hanno spiegato ieri, nella saggezza delle cose semplici, i piccoli deputati del sinodo dei bambini e delle bambine”.
Un lungo applauso ha accompagnato la Moderatora, che subito dopo ha partecipato alla conferenza stampa in cui ha illustrato gli Atti principali di questo Sinodo. Cittadinanza, giovani, pace, flat tax, autonomia differenziata, carceri. “Auspichiamo l’approvazione di una legge che farà bene al paese e sarà portatrice di civiltà. Dovrebbe essere una iniziativa bipartisan” ha detto Trotta. Quanto alle giovani generazioni, secondo la Moderatora, il punto è costruire il loro protagonismo dentro e fuori dalle chiese, dando loro parola e fiducia come ad esempio è stato fatto proprio in queste settimane con il progetto APE Summer Tour. Un accenno è stato fatto anche all’impegno ecumenico: in vista dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, si è interrogata Alessandra Trotta: “Vogliamo fare un salto di qualità oppure essere testimoni di incoerenza? Sarebbe bello, ad esempio, poter festeggiare la Pasqua nella stessa data per tutte le chiese cristiane, così come riuscire un giorno a celebrare insieme la Cena del Signore”.
Per rivedere il discorso finale in Aula della Moderatora clicca qui:
Sinodo valdese 2024 | Discorso finale della moderatora (youtube.com)
Per rivedere la conferenza stampa conclusiva clicca qui:
Conferenza Stampa di chiusura del Sinodo Valdese (youtube.com)
Elezioni Tavola valdese: Alessandra Trotta (moderatora), Dorothea Müller (vice moderatore), Ignazio Di Lecce, William Jourdan, Ulf Hermann Koller, Andrea Sbaffi, Davide Rostan. Alla guida dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), riconfermato alla presidenza il pastore Luca Anziani. Per il Consiglio della Facoltà valdese di Teologia, riconfermati Lothar Vogel come decano ed Eric Noffke come vice-decano. Cambio al vertice della Diaconia valdese, con Daniele Massa nuovo presidente.
L’appuntamento per il Sinodo è per il prossimo anno. Anche il 2025 sarà un anno speciale, in quanto si festeggeranno i 50 anni dal Patto di integrazione che ha portato all’Unione delle chiese, metodiste e valdesi.
"Nell'amicizia c'è la vittoria": La scelta per la pace di 1000 giovani europei riuniti a Berlino nel convegno "A Global Friendship for a Future of Peace"
28 Agosto 2024
Marco Impagliazzo: “Aver fatto della pace la bandiera e la lotta di ogni giorno è un segno di novità nel mondo di oggi, segnato dalla logica pervasiva della guerra"
Oltre mille giovani europei che chiedono pace e che la realizzano ogni giorno nei loro Paesi. Non solo in Italia, in Francia o in Germania, ma anche dove c’è la guerra, come in Ucraina, con la solidarietà e l’aiuto concreto a chi soffre. “A Global Friendship for a Future of Peace”, il convegno internazionale dei “Giovani per la pace”, movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, ha vissuto oggi la sua giornata più intensa. Una grande assemblea dal titolo “Nell’amicizia c’è la vittoria”, con testimonianze di tantissimi giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, accorsi da 13 Paesi europei e con la partecipazione del presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo.
“In questi anni il movimento dei Giovani per la Pace è cresciuto e ha lasciato un segno in tante città d’Europa, dell’Africa, dell’America latina, dell’Asia, dando voce a tanti sogni e speranze di una generazione che viene poco ascoltata”, ha affermato Impagliazzo. “Aver fatto della pace la bandiera e la lotta di ogni giorno è un segno di novità nel mondo di oggi, segnato dalla logica pervasiva della guerra che porta solo alla morte: dalle guerre combattute con le armi a quelle più piccole di ogni giorno che appaiono normali e che fanno credere che l’unico modo per vincere sia quello di offendere, gridare, rimproverare gli altri. Ma noi sappiamo che non si può dare agli altri il peggio. Agli altri, a cominciare da poveri, va dato il meglio di noi”, ha concluso.
I giovani hanno parlato del loro impegno, durante tutto l’anno, nelle periferie, con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli, ma anche delle loro vacanze solidali, passate da molti con i rifugiati nei campi profughi della Grecia e di Cipro. Un grande evento europeo per la pace molto sentito, in un tempo segnato da guerre terribili, come quelle a Gaza e in Ucraina. E proprio dall’Ucraina (da Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv) sono giunti un centinaio di ragazze e ragazzi che hanno testimoniato come la solidarietà nei confronti degli sfollati e di tante altre persone che soffrono per la guerra è la prima azione che crea la pace. Ma si è parlato anche di ecologia, migrazioni, povertà nella città dove 35 anni fa un muro è caduto, esempio della forza della democrazia, del dialogo e della ricerca di vie pacifiche di cambiamento, segno di speranza per il futuro.
Nel pomeriggio del 28 agosto i giovani si raduneranno nei pressi della Porta di Brandeburgo per un momento di commemorazione al Memoriale delle vittime Sinti e Rom del nazionalsocialismo, per rinnovare il loro impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.
A Global Friendship for a future of peace: a Berlino, dal 27 al 29 agosto, 1000 giovani europei si incontrano nel nome della solidarietà e della pace
21 Agosto 2024
Dal 27 al 29 agosto convegno internazionale dei Giovani per la Pace – Attesi partecipanti da 13 Paesi europei, tra cui un centinaio dall’Ucraina – Mercoledì 28 assemblea con Marco Impagliazzo
“A Global Friendship for a Future of Peace”. Con questo sogno 1000 giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, di 13 Paesi europei si daranno appuntamento dal 27 al 29 agosto a Berlino per l’incontro internazionale dei Giovani per la Pace, il movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, che è impegnato, ogni giorno, nelle periferie con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli, e ha promosso, nei mesi estivi, vacanze solidali con i rifugiati nei campi della Grecia e di Cipro. Un grande evento europeo per la pace molto sentito, in un tempo segnato da guerre terribili, come quelle a Gaza e in Ucraina. E proprio dall’Ucraina - dove Sant’Egidio continua a sostenere la popolazione con distribuzioni di generi alimentari, spedizioni di materiale sanitario e ha aperto centri educativi per bambini e adolescenti, anche grazie al supporto di tanti rifugiati che si sono uniti alla Comunità nelle sue iniziative umanitarie - arriveranno nella capitale tedesca un centinaio di ragazze e ragazzi provenienti da Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv. Insieme ai loro coetanei di altri Paesi europei, daranno voce alle speranze della loro generazione e si confronteranno su diversi temi - ecologia, migrazioni, povertà - per diffondere una cultura della pace e della solidarietà in una città, dove 35 anni fa un muro è caduto: un esempio della forza della democrazia, del dialogo e della ricerca di vie pacifiche di cambiamento, ma anche un grande segno di speranza per il futuro.
Mercoledì 28 agosto, al mattino, i giovani parteciperanno a un’assemblea con Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, intitolata "Nell'amicizia c'è la vittoria ", e nel pomeriggio si raduneranno nei pressi della Porta di Brandeburgo per un momento di commemorazione al Memoriale delle vittime Sinti e Rom del nazionalsocialismo, per rinnovare il loro impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.
Summer Rome course explores Catholic Church's impact on war and peace
1 Agosto 2024
Rome is well known as the headquarters of the Catholic Church and the environs of Vatican City. But it also is home to a cadre of lesser-known but influential Catholic organizations engaged in global peacebuilding work.
Notre Dame undergraduates who took the course “Catholic Approaches to War and Peace: the View from Rome” spent three weeks in the Eternal City learning about and meeting with these groups while based at Notre Dame Rome.
Notre Dame students in the Rome-based course “Catholic Approaches to War and Peace” before a visit to the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences in Vatican City.
Created and taught by Keough School of Global Affairs professor Jerry Powers, the class introduces students to the Catholic Church’s on-the-ground work, its rich intellectual tradition of peace scholarship, and its role in international diplomacy.
“What really struck me was the opportunity to meet the actual people who are making peacebuilding happen,” said Lucy Carrier-Pilkington, a student in the course. “The theory aspect — the Catholic social teaching and the just war theory, for example — was fascinating, but the opportunity to see how that theory is practiced in real life was something special. I recommend this course to anyone interested in global affairs, politics, and theology — it was phenomenal.”
Students engage in a discussion with Caritas Internationalis staff at the humanitarian organization’s Vatican headquarters .
During one class session which took place in Rome’s vibrant Trastevere neighborhood, students toured the central offices and church of the Community of Sant’Egidio, a lay Catholic organization dedicated to prayer, peace, and the alleviation of poverty. Sant’Egidio operates soup kitchens and homeless shelters around the world, and its diplomatic arm has played a pivotal role facilitating peace processes in Mozambique, Algeria, Uganda and most recently, South Sudan.
Notre Dame alum Elizabeth Boyle (BA ‘20, MGA ‘23), an international relations officer at Sant’Egidio and a vice president for peace initiatives and research at the Sant’Egidio Foundation for Peace and Dialogue, offered students an overview of the community’s work.
Elizabeth Boyle ’20, MGA ’23 gives a class tour of the headquarters of the Community of Sant’ Egideo, where she works as an international relations officer.
Students also learned about the peacebuilding role of the Holy See — the central government of the Catholic Church — meeting with Cardinal Peter Turkson, chancellor of the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences, in his Vatican office. In a meeting with Ambassador Andrii Yurash, the Ukrainian ambassador to the Holy See, students engaged in discussion about the Catholic Church’s role in the war in Ukraine.
Notre Dame students meet with Cardinal Peter Turkson (far left), chancellor of the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences.
At the Dicastery for Promoting Integral Human Development, a Vatican department that addresses a variety of social issues ranging from migration to human rights, students discussed the role of the Holy See in supporting the peacebuilding efforts of national and regional episcopal conferences around the world. For an interfaith perspective, Powers brought his students to meet with Cenap Aydin, a Muslim scholar from the group Religions for Peace, who spoke about the role of the Catholic Church in interreligious peacebuilding. Finally, at the headquarters of Caritas Internationalis, a network of 162 national Catholic relief and development agencies working across the world, Caritas staff shared insights on the role of women in peacebuilding, development and humanitarian aid.
Ukrainian Ambassador to the Holy See Andrii Yurash meets with Notre Dame students.
“While lived Catholic peacebuilding is most obvious amid conflicts in places like Colombia, Congo, South Sudan and Ukraine, Rome offers a global perspective on the Church’s teaching and action related to peace,” said Powers, a core faculty member of the Keough School’s Kroc Institute for International Peace Studies and director of the Catholic Peacebuilding Network.
“This course gives students a rare opportunity to engage with leaders of the world’s largest religious institution who are working to ensure the Catholic community lives out Jesus’ Sermon on the Mount. It opens their eyes to a part of the Church that few people see.”
Bologna, apre la casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture
30 Luglio 2024
Una Casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture aprirà a Bologna grazie a una collaborazione tra il comune e la città metropolitana, la diocesi, la comunità ebraica e quella islamica e l’università. Il progetto è nato con la firma del protocollo dell’8 aprile 2021 ed è aperto anche a tutte le altre comunità religiose presenti nella città emiliana che ne condividono la finalità. Il suo obiettivo è quello di rafforzare le relazioni tra soggetti appartenenti a fedi e culture diverse, l’educazione alla pace, alla cittadinanza e all’accoglienza, la conoscenza e il rispetto dei calendari e delle feste religiose, la condivisione e il rispetto delle rispettive ricchezze etiche, spirituali e religiose.
La struttura che ospiterà la Casa è villa delle Rose, stabile comunale che è stato spazio per mostre ed eventi del Museo d’Arte Moderna MAMbo. È stata scelta perché non ha alcuna connotazione confessionale e i suoi spazi sono ideali per ospitare le varie iniziative previste, coerenti con il vincolo testamentario con il quale fu donata al comune, che ne prevede un uso culturale ed espositivo. Infatti, tra le attività promosse ci saranno: incontri, seminari e convegni; installazioni per condivisioni artistico-spirituali e riflessioni su temi quali la pace, l’intercultura, lo scambio, il dialogo e il superamento degli stereotipi, il contrasto all’intolleranza; mostre sull’interreligiosità; gruppi di lettura e discussione; stanze per lettura e musica; iniziative rivolte alle scuole su interreligiosità, spiritualità e pace.
L’ampio parco garantisce quiete e raccoglimento, a cui farà da corrispettivo all’interno della villa una stanza del silenzio. Questo spazio di meditazione e riflessione non verrà caratterizzato in senso confessionale e sarà quindi privo di simbologie. Lo scopo è quello di fornire a persone di diverse fedi un luogo comune di incontro e condivisione spirituale, contribuendo così alla costruzione di un mondo più rispettoso delle diverse tradizioni religiose e culturali. La Casa sarà coordinata da un consiglio di indirizzo formato sia dai rappresentanti delle realtà promotrici del progetto, sia da quelli aderenti.
Fostering Unity on Campus Isn’t Easy Right Now, But We Are Trying
9 Luglio 2024
Since mid-November, I have been meeting weekly for lunch with Imam Khalil Abdur-Rashid, the Muslim chaplain on our Harvard campus.
We started meeting because he wanted to gather Muslim and Jewish student leaders after a public statement from the undergraduate student association following the October 7 Hamas attacks caused great consternation and tension at Harvard and far beyond. Khalil hoped to create a space where students could acknowledge their pain and loss, prevent further division and animosity, and initiate broader campus efforts at dignified discussion and action.
It was a beautiful idea, but not one that has yet been able to come to fruition. Our students have felt too hurt, too angry, and too scared to be able to do anything together this academic year.
We have tried several experiments to bring them together: a communal mourning circle, an outdoor meditation experience, a joint trip, and an interfaith iftar. Each one fell apart because of the deep divisions on campus and external pressures. Everyone feels isolated and unable to sit with the isolation of the other.
Khalil and I have continued to sit, eat, mourn, and get to know each other. Over the year, our families have met, and we have trusted each other deeply as we negotiate a sharply divided campus.
While our students have been unable to cosponsor any events, we have taken it upon ourselves to help heal the divides on campus when possible. In December 2023, we and other chaplains hosted a joint prayer vigil. While it might seem like an uncontroversial ritual experience, praying publicly for the welfare of innocent people on both sides of this horrific conflict made national news.
To love one’s neighbor, we cannot ignore our differences. We must lean in and explore these matters honestly and dignifiedly.
In January and March 2024, Khalil and I facilitated programming on being a good neighbor with someone you profoundly disagree with. We tried to offer a different engagement model to the Harvard community, one I consider to reflect the best Jewish values essential to life at Hebrew College. We suggested that to love one’s neighbor, we cannot ignore our differences; instead, we must lean in and explore these matters honestly and dignifiedly. Nearly 1,000 Harvard affiliates attended these events.
Because of our friendship and camaraderie, Harvard asked Khalil and me to give the opening benediction at the undergraduate commencement ceremony. We have the honor of blessing almost 35,000 graduates and their families. In the history of Harvard, there has never been a graduation benediction given by two chaplains of different religions. We intend to speak about the power of feeling alone together.
Even though we continue to struggle to bring our communities together as individuals–as friends, teachers, and symbolic exemplars–we have attempted to model authentic bridgebuilding throughout this challenging year.
My Hebrew College Rabbinical School training equipped me to build bridges with someone like Khalil. My classmates and I often disagreed about theology, ideology, and sacred practice–and we continued to be in a relationship. When I reflect on these disagreements, I often think of the following teaching from the great Hasidic master, Rebbe Nachman of Bratslav (d. 1810):
“Know that disagreement (machloket) is analogous to the creation of the world, which consisted of creating an empty space …
For if it were not so, everything would be infinitely divine (ein sof),
and there would be no space for the world.
Therefore, G!d contracted the divine light …
leaving space in which the world could be created …
So too with disagreement:
For if all the wise ones were united, there could be no [further] creation …
It is only when there is disagreement among them–when they move apart–that space is created … analogous to the empty space … in which the world itself was created.”
Rebbe Nachman makes brilliant use of Isaac Luria’s (16th century) image of cosmic tzimtzum (“contraction”) as a model for the creative potential of those who engage respectfully across differences. For such a creative encounter to occur, however, we must be willing to let the other be themselves and be brave enough to express our differences of belief or opinion. For Rebbe Nachman, this is essential to fruitful Torah study and religious creativity.
As with my Hebrew College peers, Khalil and I have promised to create the necessary space to explore our spiritual and ethical positions honestly and respectfully. While we certainly agree about some things, we also have genuine disagreements; ignoring them will not help us or the people we serve.
Francesco: c’è bisogno di credenti coerenti e impegnati nella costruzione della pace
Da: Vatican News
26 giugno 2024
Prima dell’udienza generale, il Papa ha salutato una delegazione della Moschea di Bologna e consegnato un discorso nel quale invita cristiani, ebrei e musulmani ad offrire al mondo contemporaneo una testimonianza di fraternità. Il Pontefice ha esortato anche al rispetto della libertà religiosa: “Ogni credente deve sentirsi libero di proporre e mai imporre la propria religione ad altre persone, credenti o no”. Anche i matrimoni misti "non devono essere occasione per convertire il coniuge”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Il breve incontro con un gruppo di musulmani da Bologna nello studio dell’Aula Paolo VI, prima dell’udienza generale, è lo spunto, per Papa Francesco, per esortare ancora alla fratellanza universale. Il Pontefice lo fa nel saluto consegnato alla delegazione della Moschea del capoluogo emiliano nel quale chiede soprattutto ai credenti di qualunque fede di promuovere l’armonia tra i popoli.
Il mondo, specialmente in questo momento storico, ha bisogno di credenti coerenti e fortemente impegnati nella costruzione e nel mantenimento della pace sociale e mondiale.
L’esempio di cristiani, ebrei e musulmani
Ad accogliersi “gli uni gli altri come fratelli” sono chiamati, “prima di tutto”, cristiani, ebrei e musulmani, che adorano “il Dio Unico”, e che fanno “riferimento, anche se in modi diversi, ad Abramo come padre nella fede”, è l’invito del Papa, che ritiene la “testimonianza di fraternità” dei fedeli delle religioni monoteistiche “indispensabile e molto preziosa” nel mondo di oggi.
Noi che abbiamo avuto il dono di questa appartenenza religiosa, siamo chiamati ad essere aperti e accoglienti verso quanti non la condividono, perché sono, come tutti noi, membri dell’unica famiglia umana.
Si rispetti la libertà di coscienza e di religione
Nel testo del discorso, Francesco sottolinea che “il dialogo sincero e rispettoso tra cristiani e musulmani è un dovere” per quanti vogliono “obbedire alla volontà di Dio”, il quale desidera “che i suoi figli si vogliano bene, si aiutino a vicenda, e che, se sorge tra loro qualche difficoltà o incomprensione, si mettano d’accordo con umiltà e pazienza”. Ma il dialogo richiede che si riconoscano “dignità” e “diritti di ogni persona”, aggiunge il Papa, e tra questi, anzitutto la “libertà di coscienza e di religione”.
Inoltre, ogni credente deve sentirsi libero di proporre – mai imporre! – la propria religione ad altre persone, credenti o no. Ciò esclude ogni forma di proselitismo, inteso come esercitare pressioni o minacce; deve respingere ogni tipo di favori finanziari o lavorativi; non deve approfittare dell’ignoranza delle persone.
Anche “i matrimoni tra persone di religioni diverse non devono essere occasione per convertire il coniuge” al proprio credo, aggiunge infine Francesco, che auspica alla delegazione della moschea di Bologna “buoni rapporti con la Chiesa cattolica: con il vescovo, con il clero e con i fedeli, nel rispetto reciproco e nell’amicizia” e ringraziando le comunità musulmane di essere “artigiani della pace”.
CEI: conversazione spirituale tra credenti in Italia. Le religioni a servizio della coesione sociale
Da: TV 2000
25 giugno 2024
CLICCA QUI PER VEDERE I VIDEO DEI SEGUENTI INTERVENTI: https://www.tv2000.it/blog/2024/06/25/cei-conversazione-spirituale-tra-credenti-in-italia-le-religioni-a-servizio-della-coesione-sociale-foto-e-video/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3VwM-CxojTnyrnLBHfCMMkGjlIuRvnYoIX3CnUABKJvbGhzfDNVXYmhjg_aem_9t7AShBgR8ksuqSpxUjOnA
Mons. Giuseppe Baturi – Segretario generale Conferenza episcopale italiana: “La religione divide quando afferma un Dio che si contrappone ad altri”.
La Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI ha promosso e organizzato a Roma, oggi 25 giugno, una Conversazione spirituale tra credenti in Italia sul tema “Le religioni a servizio della coesione sociale?”. Un momento di dialogo per vedere insieme i passi possibili per le persone credenti in vista del bene comune.
Mons. Derio Olivero – Presidente Commissione ep. CEI Ecumenismo e dialogo: “Le religioni possono diventare fermento e sorgente di coesione sociale”
Tra i temi dalla giornata d’incontri organizzato dalla CEI la presenza e convivenza delle religioni per un impegno generativo a servizio della coesione sociale: come in questi anni, in Italia, gli uomini e le donne delle diverse religioni hanno operato un lavoro in questa direzione, tenendo presente il clima di diffidenza a causa dei numerosi conflitti ora in atto. E quali le difficoltà incontrate e le sinergie vissute
Imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini – Vice Presidente Comunità religiosa islamica italiana: “La diffidenza e l’indifferenza sono innaturali”
Saul Meghnagi Unione comunità ebraiche italiane: “Le religioni hanno al loro interno il germe della solidarietà e dell’accoglienza”
Ravijit Kaur Borghi – Comunità Sikh italiana: “In tutto il mondo nascono sempre più conflitti. E’ compito delle religioni riportare un messaggio di unità e anche di risveglio della comunità umana”
Concierto de las Tres Culturas 2024
Da: UNESCO - Federaciòn Espanola de Asociaciones y Clubes para la UNESCO
21 giugno 2024
Ayer por la tarde, la majestuosa Basílica de San Francisco el Grande se llenó de música y cultura con la celebración del Concierto de las Tres Culturas, bajo el lema «Abrazando la Diversidad, Protegiendo Espacios de Culto y Abogando por la Libertad Religiosa» un evento que busca promover la convivencia y el diálogo entre las religiones católica, musulmana y judía.
El evento fue organizado por la Asociación Arco Fórum, contó con la inestimable acogida de los Padres Franciscanos y con el patrocinio de diversas organizaciones comprometidas con la Paz y el entendimiento intercultural, entre ellas Federación Española de Asociaciones y Clubs para la UNESCO (FECU).
La ceremonia de apertura estuvo a cargo del Director Ejecutivo de la Asociación Arco Forum, Temirkhon Temirzoda Naziri, quien destacó la importancia de la música como puente entre diferentes culturas y religiones.
Seguidamente, el Presidente de la Federación Española de Asociaciones y Clubs para UNESCO (FECU), Don Alberto Guerrero Fernández, ofreció unas palabras de bienvenida, resaltando el valor de este tipo de iniciativas para la construcción de una sociedad más inclusiva y respetuosa.
El Padre Jesús, párroco de San Francisco el Grande, también se dirigió a los asistentes, subrayando la relevancia de la iglesia como espacio de encuentro y reconciliación.
El concierto incluyó una rica variedad de piezas musicales representativas de las tres tradiciones religiosas.
El simposio del Proyecto Proctone concluyó con un concierto de la mano del JOIRE (Joven Ensemble Interreligioso Español); grupo formado por intérpretes de las tres religiones: cristiana, judía y musulmana. La velada se enriqueció aún más con la inclusión de danzas Derviches, que añadieron un elemento visual y espiritual al evento.
Al finalizar la ceremonia, se entregaron varios reconocimientos a personalidades destacadas que han contribuido al diálogo interreligioso y a la promoción de la paz. Entre los galardonados se encontraba D. Aitor de la Morena, delegado Episcopal de Ecumenismo y Diálogo Interreligioso de la Archidiócesis de Madrid, quien recibió un caluroso aplauso por su dedicación y compromiso.
El evento fue posible gracias al apoyo y patrocinio de Concierto Tres Culturas, Proyecto Protone, Asociación Arco Forum, Archidiócesis de Madrid, Community Construye Comunidades Crea Paz, Federación Española de Asociaciones y Clubs para UNESCO, Foro Abraham y Fundación Cultura de Paz.
Las religiones monoteístas quieren lugares de culto seguros
Da: Alfa Y Omega.es
19 giugno 2024
Con el conflicto armado en Oriente Medio en su apogeo, había quien le decía a Temirkhon Naziri, director ejecutivo de Arco Forum, que no era el mejor momento para organizar un simposio interconfesional sobre la protección de los lugares de culto. Él, sin embargo, opina todo lo contrario. «Ahora, en el momento en el que la gente duda, es cuando es imprescindible. De hecho, creo que hay que hacer muchas más actividades de este tipo», reflexiona en conversación con Alfa y Omega.
A pesar de las advertencias, el simposio se terminó celebrando este miércoles, 19 de junio, en el seminario de Madrid. Los ponentes reflexionaron sobre la gestión de la seguridad o el papel de la sociedad civil en la protección de los espacios de culto a través de la colaboración interreligiosa. En realidad, se trata del segundo de un conjunto de tres eventos —el primero fue en Berlín en febrero pasado—, cofinanciados por la UE y de temática similar, aunque con la particularidad de que cada confesión —católicos, musulmanes y judíos— realiza la acogida en cada uno de ellos.
Este baile de religiones y de encuentros no es baladí. En conversación con este semanario, los representantes de las tres religiones aúnan sus voces para declarar que este tipo de experiencias son «una riqueza» y «muy necesarias», a pesar de que en España no tenemos una especial inseguridad en este campo. El último suceso grave fue el asesinato de un sacristán en Algeciras, Diego Valencia. Lo habitual, explican, es que los incidentes tengan que ver más con pintadas o descalificaciones.
Más allá de los casos concretos, para Naziri, que es natural de Tayikistán y de religión musulmana, el diálogo interreligioso emprendido en este simposio tiene un impacto directo en la persistencia de la paz lograda en nuestro país. Asimismo, es un «aprendizaje para los seguidores de cada religión, quienes crecen en la asimilación de la cultura de convivencia, de tolerancia y de entendimiento común».
Aitor de la Morena, delegado episcopal de Ecumenismo y Diálogo Interreligioso de la Archidiócesis de Madrid, coincide con el director ejecutivo de Arco Forum —con quien le unen lazos de amistad— en el tema de la paz y los prejuicios, e incluso va un paso más allá. «El diálogo interreligioso nos permite también aprender y enriquecernos de los otros», sostiene. Como ejemplo, habla de las horas previas al simposio. «Estaba con Temir visitando la parroquia para ver dónde podía ensayar el grupo Joire —coral que interpreta piezas musicales vinculadas a las diferentes religiones—», que fue el encargado de cerrar la jornada con un concierto celebrado en la basílica de San Francisco el Grande. «Le estaba enseñando los locales y le surgían preguntas sobre cómo hacíamos nosotros para transmitir la fe a los niños». El delegado le contó «todo el proceso de catequesis de Primera Comunión o los problemas que tenemos para que luego los chicos no desaparezcan del mapa», rememora De la Morena. «Al acabar, yo le hice la misma pregunta y él me contestó: “Todo lo hacemos en la familia”», cuenta. Al final de la visita, el musulmán se había enriquecido con los itinerarios de fe de los católicos y el sacerdote había hecho lo propio con el papel de la familia entre los musulmanes a la hora de la transmisión de su religión.
Junto con católicos y musulmanes, el simposio también contó con un nutrido grupo de personas que practican la religión judía. Antonio Merino fue uno de ellos. En su caso, participó en la segunda mesa redonda, que versó sobre las perspectivas académicas y comunitarias sobre la protección de lugares de culto. Desde su punto de vista, «es muy fácil amar al que te ama, pero lo interesante es amar al que no te ama». Aunque, junto a esta reflexión, expresa el verdadero fruto que él espera del diálogo interreligioso: «Nuestro sueño es ahorrarnos —porque ya no haga falta— la parte del presupuesto que tenemos que dedicar a seguridad».
Shavuot: Israele tra scelta particolare e
vocazione
universale
11 giugno 2024
La Tora è stata data al popolo di Israele, sul monte Sinai.
Consegnata a un solo popolo, ma volutamente in un luogo che non appartiene a nessuno, ossia potenzialmente accessibile a tutti. Un noto midrash risolve questa tensione fra particolarismo e universalismo esprimendo una condanna per gli altri popoli: partendo dal versetto della Torà "Il Signore è venuto dal Sinai, da Seir splendette per loro, apparve dal monte di Paràn..." (Deut. 33:2), il midrash deduce infatti che il Signore abbia chiesto agli altri popoli la disponibilità a ricevere la Tora, prima di consegnarla al popolo di Israele. Tuttavia, ogni popolo la rifiutò, ritenendo impossibile rispettarla.
Con una tecnica tipica che richiama altri versetti della Torà a riprova, il midrash riporta alcuni esempi che sono suggeriti dal passo citato. Dapprima (i discendenti di) Esaù, la cui essenza è basata sulla spada e quindi non è compatibile con il "Non uccidere"; poi Ammonei e Moabiti che secondo la narrazione biblica originano da un incesto e quindi non possono far loro il "Non commettere adulterio"; infine (i discendenti di) Yishmaèl, che per indole non può accettare il "Non rubare". La conclusione è tuttavia generalizzata: "E così fece con ogni nazione, e siccome tutte rifiutarono, suscitarono l'ira del Signore".
Non solo, il midrash prosegue affermando che le nazioni del mondo rinnegarono perfino i precetti noachidi, dunque quelle che possono considerarsi leggi universali. Secondo la versione ancora più drammatica dello stesso midrash come elaborato nel Talmud Babilonese (Avodà Zarà 2b-3b), tale condanna è destinata a rimanere fino alla fine dei giorni. Il Talmud ritrae una scena che si svolge alla fine dei tempi, nella quale i popoli protestano per il fatto di non aver ricevuto la Torà, o forse per non essere stati obbligati ad accettarla come avvenuto per il popolo di Israele, ma le loro argomentazioni non risultano sincere e vengono quindi respinte. È evidente la finalità del midrash di rivendicare l'esclusività del patto con il Signore. Nella versione del Talmud viene infatti sottolineato come il Rav Joseph Soloveitchik (1903-1993) popolo di Israele sia sempre stato disposto pertino a sacrificare la propria vita in nome della Torà, un attaccamento che gli altri popoli non dimostrano affatto. L'immagine che scaturisce da questo midrash è tremenda: il popolo di Israele è isolato, il resto del mondo è dall'altra parte e gli rivolge accuse (o le rivolge al Signore).
Drammaticamente attuale.
Altre linee interpretative risolvono in modo differente la dualità particolare/universale. Rav J. D. Soloveitchik individua un duplice livello di impegno per il popolo di Israele: quello universale di promuovere la dignità umana e quello particolare di salvaguardare la sacralità del patto con il Signore.
Alcuni Maestri cercano perfino di armonizzare i due aspetti. Così, ad esempio, rav S. R. Hirsch vede nel
popolo di Israele gli affidatari di una missione. Egli commenta che «Una "nazione santa"
significa che proprio come individualmente ogni ebreo deve apparire come un Rav Rafael Hirsch (1808-1888)
sacerdote, così Israele come nazione ha il compito di far sì che il mondo sia un mondo di santità davanti a Dio. Deve essere una nazione unica tra le nazioni, una nazione che non esiste per la propria fama, la propria grandezza, la propria gloria, ma per il fondamento e la glorificazione del Regno di Dio sulla Terra, una nazione che non deve cercare la sua grandezza nel potere e nella forza, ma nell'assoluto della Legge Divina, la Tora, perché questa è la santità». Quella di rav Hirsch è una elaborazione di un concetto che si ritrova già nelle fonti classiche, con sfumature differenti: un proporsi attivamente come diffusori, istruttori dell'umanità (cosi ad es. Sforno, commentatore italiano vissuto a cavallo del 1500); oppure il costituire un esempio al quale altri possano ispirarsi (cosi ad es. rav Avrahàm figlio del
Rambàm, vissuto in Egitto nel XIII sec.).
Rav J. Sacks sviluppa un concetto di "dignità della differenza":
«Solo una fede che riconosce entrambi i tipi di alleanza - quella universale e
quella particolare - è capace di comprendere che l'immagine di Dio può essere presente in colui la cui fede non è la mia e il cui rapporto con Dio è diverso dal mio».
Tornando al midrash iniziale, occorre analizzare quali siano le accuse rivolte agli altri popoli. Il midrash richiama il fatto che il popolo di Israele abbia accettato a priori, in un atto di fiducia completa, qualsiasi condizione. In particolare, quindi, dà come presupposto che abbia accettato quelle regole che gli altri popoli avevano ritenuto impossibile mettere in pratica: il divieto di uccidere, di avere rapporti sessuali illeciti, di rubare.
Sono dunque queste caratteristiche i tratti distintivi del popolo ebraico, evidentemente soprattutto nel modo in cui questo è percepito all'esterno. Non dimentichiamo infatti che il contesto è quello della diatriba immaginaria fra il Signore e i popoli del mondo sul perché proprio il popolo di Israele sia stato scelto! In questo senso, il midrash non è poi così distante dalle altre linee interpretative riportate. Un monito, un invito, a ricordare sempre che in ogni atto del nostro vivere quotidiano, individuale e collettivo, siamo in realtà esponenti della "congrega di Israele", e siamo chiamati a quella che si definisce "santificazione del Nome divino".
Perché il Vaticano si interessa così tanto di intelligenza artificiale?
VATICAN MEDIA VIA VATICAN POOL/GETTY IMAGES
9 giugno 2024
Fra i player coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale c’è, a sorpresa, anche il Vaticano. Già nel 2020, in netto anticipo rispetto al boom degli strumenti di AI generativa come ChatGPT, il Vaticano, tramite l’ente Pontificia accademia per la vita, ha siglato la lettera d’intenti Rome Call for AI Ethics, insieme a Microsoft, Ibm, Fao e il Dipartimento italiano dell’innovazione tecnologica, per indicare le regole etiche da seguire nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Prima di algoritmi, modelli di apprendimento automatico e supercomputer, la Santa Sede mira a porre le basi per un futuro tecnologico che rispetti la dignità umana. Nel mezzo della rivoluzione tecnologica, il Vaticano si impegna a promuovere – in collaborazione con le altre religioni abramitiche – un utilizzo dell'intelligenza artificiale che rifletta valori umani fondamentali.
Cos’è la Pontifica accademia per la vita
Papa Francesco parteciperà alla sessione del G7 sull'intelligenza artificiale che si svolgerà dal 13 al 15 giugno prossimo a Borgo Egnazia, in Puglia, ma il rapporto fra Vaticano e AI è iniziato da tempo. Fu Papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Motu Proprio, Vitae Mysterium dell'11 febbraio 1994, a istituire la Pontificia accademia per la vita, la cui sede principale si trova nello Stato della Città del Vaticano. L'Accademia ha un ruolo principalmente scientifico, per la promozione e la difesa della vita umana. Questi obiettivi di ricerca non possono non tenere conto dell’intelligenza artificiale. “L'obiettivo è non solo di garantire che nessuno sia escluso, ma anche di proteggere le libertà che potrebbero essere minacciate dal condizionamento algoritmico”, si legge nella Rome Call for AI Ethics. Papa Francesco chiarisce che questo progresso, come quello della robotica, “può rendere possibile un mondo migliore se è unito al bene comune”.
La centralità dell'essere umano nella tecnologia
La Rome Call for AI Ethics si concentra su tre aree di impatto fondamentali: etica, educazione e diritti. In termini di etica, la Chiesa sottolinea che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti, un principio che deve essere riflesso nello sviluppo e nell'uso dell'AI. L'educazione è vista come un mezzo per costruire un futuro sostenibile attraverso l'innovazione, coinvolgendo le giovani generazioni. I diritti devono essere protetti da regolamentazioni che salvaguardino le persone, specialmente i più vulnerabili, e l'ambiente.
I sei principi fondamentali della lettera sono trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, affidabilità e sicurezza e privacy. La Chiesa ritiene che sia essenziale che la nuova tecnologia sia comprensibile per tutti, non discriminatoria, responsabile, libera da pregiudizi, affidabile e sicura, rispettando sempre la privacy degli utenti. Padre Paolo Benanti, professore straordinario di Etica della tecnologia presso la Pontificia Università Gregoriana e direttore scientifico della Fondazione RenAIssance, nonché membro del New Artificial Intelligence Advisory Board delle Nazioni Unite, a capo del comitato del governo su algoritmi e informazione e consigliere molto ascoltato della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha affermato: "Da sempre, il fine non giustifica i mezzi! Allora, la macchina che in qualche misura può determinare quale mezzo è più adeguato nel perseguire il suo fine, è una macchina che per sua natura ha bisogno di guardrail etici molto ampi, ne. Si tratta piuttosto di trasformare quest'ultima in sviluppo umano”.
Dialogo interreligioso e prospettive future
Di recente si sono svolti in Vaticano degli incontri interreligiosi sui temi dell'AI, nei quali si discutono questioni cruciali come la necessità che la novità rispetti la dignità e i diritti umani, garantendo trasparenza e comprensibilità delle tecnologie. Un'attenzione particolare è rivolta alla protezione della privacy e alla prevenzione delle disuguaglianze. “La fraternità tra tutti è il presupposto per garantire che lo sviluppo tecnologico sia anche al servizio della giustizia e della pace nel mondo”, ha scritto il papa prima di un incontro congiunto con i massimi rappresentanti della religione ebraica e islamica. "Quando la riflessione e il dialogo sui temi dello sviluppo tecnologico si incontrano in uno spirito di fraternità, è possibile trovare percorsi condivisi e soluzioni efficaci per costruire la pace e il bene comune", dichiara l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e della Fondazione RenAIssance.
Le applicazioni dell'AI possono affrontare problemi globali come la povertà, l'accesso all'istruzione e alla sanità, e la sostenibilità ambientale. La Chiesa incoraggia un approccio collaborativo e inclusivo, in cui nazioni e comunità lavorano insieme per garantire che l'AI benefici tutti, senza lasciare indietro nessuno. La promozione della solidarietà implica anche l'impegno a evitare che l'AI accentui le disuguaglianze esistenti o crei nuove forme di discriminazione, per questo la Santa Sede spinge affinché le multinazionali coinvolte aprano a un approccio etico e ragionato verso le future possibilità tecnologiche. La Rome Call for AI Ethics e i suoi sviluppi sono un passo significativo in questa direzione, stabilendo un quadro etico che può influenzare positivamente l'evoluzione dell'AI su scala globale.
Israeli, Palestinian envoys praise Pope’s prayer for peace
8 giugno 2024
From left to right, Abdallah Redouane, secretary general of the Islamic Center for Cultural Studies in Italy; Pope Francis; Rabbi Alberto Funaro; Palestinian Ambassador to the Holy See Issa Kassissieh and Israeli Ambassador to the Holy See Raphael Schutz participate in a June 7, 2014, prayer for peace in the Vatican Gardens, held in front of an olive tree planted by Israeli President Shimon Peres and Palestinian President Mahmoud Abbas in June 2014. (Credit: Vatican Media.)
ROME – Israeli and Palestinian envoys to the Holy See have applauded Pope Francis’s prayer for peace in the Vatican gardens Friday, commemorating a similar event held 10 years ago, with both calling the initiative symbolic and illustrative of the pope’s commitment to ending the Gaza war.
Speaking to Crux, Israeli Ambassador to the Holy See Raphael Schutz said the June 7 prayer was “a nice gesture showing the pope’s and the Holy See’s commitment to peace in our region, especially during these difficult times.”
Similarly, Ambassador of Palestine to the Holy See Issa Kassissieh quoted Pope Francis’s 2014 prayer for peace in the Middle East, telling Crux that on more than one occasion, “We have been on the verge of peace, but the evil one, employing a variety of means, has succeeded in blocking it.”
“I would add then that all evils came out of the box to spread hatred and destruction. Gaza is a witness to this evil,” he said, saying, “Pope Francis wants to remind us that the Holy Land, worn out by conflicts, is yearning justice and genuine peace, where the two States, Palestine and Israel, live side by side peacefully.”
Schutz and Kassissieh both participated in a special June 7 prayer for peace in the Vatican Gardens, attended by top Vatican officials, some 23 cardinals, and other members of the diplomatic corps accredited to the Holy See.
Rabbi Alberto Funaro and Abdallah Redouane, secretary general of the Islamic Center for Cultural Studies in Italy, were also present, representing the Jewish and Muslim communities in Rome.
The event was held to commemorate the 10th anniversary of an historic prayer for peace held in the same location of the Vatican Gardens in 2014, which was led by Pope Francis and attended by the late President of the State of Israel, Shimon Peres, and the President of the State of Palestine, Mahmoud Abbas, and Orthodox Patriarch Bartholomew I of Constantinople.
On that occasion, Peres and Abbas jointly planted an olive tree in a symbolic gesture of peace. Friday’s prayer event took place beside that same olive tree.
The event held special significance given the ongoing war in Gaza, which erupted last year following an Oct. 7 surprise attack by Hamas militants on Israel in which they killed some 1,200 people and abducted 251 others.
In November, 105 of the hostages were released during a week-long truce, however, around 120 remain unaccounted for, with Israeli officials stating that many are presumed dead. Israeli military in recent days confirmed the deaths of four of the remaining hostages, saying the men, most of whom were elderly, were killed together during an Israeli operation in Khan Younis in southern Gaza.
In response to the attack, Israel launched a massive ground and air offensive in Gaza that has left an estimated 36,470 people dead, according to the Hamas-run health ministry, in an effort to oust Hamas from power.
Pope Francis Friday voiced gratitude for the 2014 prayer for peace, saying that 10 years later, “it is important to remember that event, especially in light of what has unfortunately unfolded in Israel and Palestine.”
“Instead of deceiving ourselves that war can resolve problems and bring about peace, we need to be vigilant and critical towards an ideology that is unfortunately dominant today, which claims that conflict, violence and breakdown are part of the normal functioning of a society,” he said.
What is truly at stake, the pope said, are “power struggles” between various social groups, as well as partisan economic interests and “international political maneuverings aimed at an apparent peace yet fleeing from real problems.”
Francis said he prays daily that the war in Gaza will end, and that he prays for all communities in the region, including Jews, Christians, and Muslims.
He called for a ceasefire, for the release of Israeli hostages “as soon as possible,” and asked that access to humanitarian aid be guaranteed in Gaza. He also prayed that the homes of those who have been displaced will soon be rebuilt so they can return “in peace.”
Repeating his call for two-state solution to the longstanding conflict, Pope Francis said, “All of us must work and commit ourselves to achieving a lasting peace, where the State of Palestine and the State of Israel can live side by side, breaking down the walls of enmity and hatred.”
“We must all cherish Jerusalem so that it will become the city of fraternal encounter among Christians, Jews and Muslims, protected by a special internationally guaranteed status,” he said.
Peace, the pope said, is primarily about conversion, and as such, “is not made only by written agreements or by human and political compromises.”
Rather, peace, he said, “is born from transformed hearts, and arises when each of us has encountered and been touched by God’s love, which dissolves our selfishness, shatters our prejudices and grants us the taste and joy of friendship, fraternity and mutual solidarity.”
“Let us ask the Lord that the leaders of nations and the parties in conflict may find the way to peace and unity. May we all recognize each other as brothers and sisters,” he said.
Francis repeated the prayer for peace offered with Peres, Abbas and Bartholomew in 2014, saying, “We have tried so many times and over so many years to resolve our conflicts by our own powers and by the force of our arms.”
“How many moments of hostility and darkness have we experienced; how much blood has been shed; how many lives have been shattered; how many hopes have been buried…Now, Lord, come to our aid! Grant us peace, teach us peace; guide our steps in the way of peace.”
He asked that God would grant those in authority the courage to stop war and “to take concrete steps to achieve peace.”
“Keep alive within us the flame of hope, so that with patience and perseverance we may opt for dialogue and reconciliation. In this way may peace triumph at last, and may the words ‘division,’ ‘hatred’ and ‘war’ be banished from the heart of every man and woman,” he said.
In his comments to Crux, Kassissieh said Friday’s prayer for peace, held in the same location as the 2014 event, illustrates the pope’s determination “to defeat evil and war, and remind those who continue to advocate the war, that the path of peacemaking calls for courage, strength and will, much more so than warfare.”
Kassissieh voiced hope that the “echo” of the prayer for peace would be heard “clearly and loudly in the halls of the White House as well in the European capitals, and the whole world.”
“The peace prayer is a glimpse of hope to our people, at a time when our children wake up and go to sleep under the tents with the noise of bombs and bullets,” he said, urging the pope “to continue to pray and work for peace in the Holy Land.”
One Human Family: il cammino rivoluzionario verso la pace
© CSC Audiovisivi – Caris Mendes e Carlos Mana, Vatican Media, RKK.
5 giugno 2024
Sostenuti dall’invito di Papa Francesco, questo è l’impegno condiviso da 480 persone di diverse fedi religiose per la fraternità, la giustizia e la riconciliazione al centro del convegno interreligioso promosso dai Focolari iniziato il 31 maggio al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (Roma) e concluso il 4 giugno ad Assisi (Italia).
Con un pellegrinaggio di fraternità ad Assisi, si è concluso il convegno internazionale interreligioso “One Human Family”, promosso dal Movimento dei Focolari. Presenti 480 persone di 40 Paesi; 12 le lingue parlate.
Nella città della pace, la preghiera per la fraternità, la giustizia e la riconciliazione per tutti i popoli in conflitto, è risuonata come un patto solenne, accolto e pronunciato dai partecipanti, ciascuno secondo la propria fede.
Tra loro rabbini e rabbine, imam, sacerdoti cattolici, monaci buddisti Theravada e Mahayana, oltre a laici ebrei, musulmani, cristiani, indù, buddisti, sikh, e baha’i e fedeli delle religioni tradizionali africane, di tutte le generazioni.
Il convegno è stato realizzato da un team interreligioso che ha concentrato il programma sul bene supremo della pace, oggi estremamente minacciata.
“L’esperienza che stiamo facendo è incredibile, di famiglia e di presenza del divino” – raccontano Rita Moussallem e Antonio Salimbeni, coordinatori del Centro per il Dialogo Interreligioso dei Focolari – quando è nata l’idea del convegno non potevamo immaginare quel che sarebbe successo: il conflitto in Terra Santa e il riaccendersi di crisi in altre parti del mondo. Eppure, è proprio oggi che il dialogo è più che mai necessario. Abbiamo parlato dei passi necessari per costruire la pace, ma l’accento è stato posto soprattutto sull’esperienza concreta che stiamo facendo e che vogliamo portare nel mondo. D’altra parte, è l’incontro concreto con l’altro a trasformare i tanti polarismi in relazione”.
Gli interventi
Incontro, ascolto, passi di riconciliazione, condivisione del dolore dei popoli sono stati la cifra di questo convegno che ha alternato panel condotti da esperti a gruppi di dialogo tra i partecipanti. Politica e azione diplomatica internazionale, economia, Intelligenza artificiale e ambiente sono state le tematiche trattate tutte nell’ottica della pace. Numerosi gli accademici e gli esperti di molte culture, religioni e provenienze, che sono intervenuti; ne citiamo solo alcuni: l’ambasciatore Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Gran Rabbino Marc Raphaël Guedj, la teologa musulmana Shahrzad Houshmand Zadeh, la dott.ssa Kezevino Aram, Presidente dell’organizzazione indiana “Shanti Ashram”, la Rev. Kosho Niwano, Presidente designata del movimento buddista giapponese Risho Kossei Kai, l’ing. Fadi Shehadé, fondatore del Progetto RosettaNet, già CEO di ICANN. L’ economista Luigino Bruni, la filosofa indiana, prof.ssa Priya Vaidya, il teologo islamico Adnane Mokrani, il Prof. Dicky Sofjan, indonesiano, dell’International Center for Law and Religious Studies, il prof. Fabio Petito, docente di Religione e Affari Internazionali presso la Sussex University e tanti altri.
“Le religioni hanno una funzione fondamentale oggi”, ha ribadito l’Ambasciatore Ferrara. “Contrariamente a quello che dicono i realisti delle relazioni internazionali, la guerra non è la condizione normale dell’umanità. Le religioni possono svolgere il ruolo di ‘coscienza critica’ dell’umanità e rivolgersi alla politica, segnalando quali sono le priorità. C’è bisogno di immaginazione politica; di immaginare in un modo costruttivo, nuovo, creativo, il futuro di questo pianeta. Dobbiamo coltivare qualcosa che in questo momento manca nelle relazioni internazionali, che è la fiducia”.
Molto nutrite anche le sessioni dedicate a testimonianze personali, progetti, azioni incentrate sulla collaborazione tra persone e comunità appartenenti a fedi religiose diverse per la pace e a sostegno dei bisogni dei rispettivi popoli.
In udienza da Papa Francesco
Il 3 giugno una delegazione di 200 partecipanti è stata ricevuta in udienza da Papa Francesco che nel suo discorso ha definito il cammino iniziato da Chiara Lubich con persone di religioni diverse come: “Un cammino rivoluzionario che fa tanto bene alla Chiesa”. “Il fondamento su cui poggia questa esperienza – ha affermato ancora il Santo Padre – è l’Amore di Dio che si attua nell’amore reciproco, nell’ascolto, nella fiducia, nell’accoglienza e nella conoscenza gli uni degli altri, nel pieno rispetto delle rispettive identità”.
“Se da un lato queste parole ci danno profonda gioia – ha commentato Margaret Karram, Presidente dei Focolari – dall’altro sentiamo la responsabilità di fare molto di più per la pace. Per questo vogliamo lavorare per rafforzare e diffondere la cultura del dialogo e della “cura” delle persone e del creato. Il Papa ce l’ha confermato quando ha detto che il dialogo tra le religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo. In tempi terribilmente bui come questi l’umanità ha bisogno di uno spazio comune per dare concretezza alla speranza”.
Meet Dario Girolami, A Zen Teacher Engaged in Interfaith Work
4 giugno 2024
Dario Girolami, Abbot of Centro Zen L’Arco Roma, has been immersing himself in interfaith study, teaching, and social engagement since his college years in Rome. A former SFZC resident who was ordained by Zenkei Blanche Hartman and received Dharma Transmission from Eijun Linda Cutts, he currently is a leader in the international interfaith group Religions for Peace. He is co-president of Religions for Peace Italy and is on the Board of Directors of Religions for Peace Europe.
Religions for Peace, based at the United Nations building in New York City, has chapters in every nation represented in the U.N. as well as regional chapters. Religions for Peace, as stated on their website, “is committed to leading effective multi-religious responses to the world’s pressing issues. We believe that ambitious goals and complex problems can best be tackled when different faith communities work together.”
Dario describes his path to Buddhism in this way: “Although I was born in Rome, and was baptized and received communion, I have always been attracted to Buddhism. My first encounter with the Dharma was in 1973, when I was six years old. My homeopathic doctor and acupuncturist was also a yoga teacher. I don’t know exactly why, maybe he had seen something in me, but the fact is that he started teaching me yoga and gave me the first rudiments of meditation. The doctor also gave me books on meditation by Chogyam Trungpa and Thich Nhat Hanh. I then began to meditate quite regularly. Since I was a child I had great joint fluidity, and sitting in full lotus was easy for me. Meditation was a game to me, but at the same time something worked and I began to encounter states of deep absorption, perhaps because my mind as a child was not yet too contaminated.”
“This meditation game has always been with me, as are the books by Trungpa and Thich Nhat Hanh, which I still keep, all yellowed,” recalls Dario. “As I entered adolescence, I began to develop questions about life, death, and reincarnation, and I realized that I really liked the answers Buddhism offered. I therefore began to study Buddhism with more awareness and no longer as a game. Seeing my thirst for knowledge on topics of Eastern religion, I started to study Philosophy at the University of Rome, and began taking courses in Religions and Philosophies of India and the Far East and Sanskrit. As I studied at the University, I quickly realized that it was not so much theoretical study but practice that was essential.”
“I’ve always been interested in inter-religious dialogue,” Dario said. Although his PhD is in Buddhism, he studied world religions in college, and taught classes in World Religions and Comparative Religion at the American University in Rome. Now Dario is putting what he learned into action.
Dario studied with Riccardo Venturini, a professor of Psychology who became his friend and mentor. Venturini, a teacher in the Tendai Buddhist tradition, was a founder of Religions for Peace Italy. Dario began attending meetings with Venturini. When Venturini died over ten years ago, Religions for Peace Italy asked Dario to take his place.
What he enjoys most about Religions for Peace is “the friendships that have grown among us. Every meeting is like a party, joyous, like a brotherhood and sisterhood.” He feels that he is with his interfaith family. Over time they have come to trust each other. They bring this trust to their communities, and their communities become good friends. They meet in one another’s places of worship—a synagogue, a mosque, a church. Some of Darios Zen students join him at these meetings.
In the past, in inter-religious dialogue, mainly the Abrahamic religions (Judaism, Christianity, and Islam) were represented. “At first they just tolerated us Buddhists.” Slowly, Dario has been working on allowing more Buddhist voices to be heard. Already people are starting to ask about a Buddhist view on AI or abortion.
Dario was instrumental in paving the way for Religions for Peace Europe to attend meetings of the Council of Europe, based in Strasbourg, as listeners. Soon Religions for Peace will become a full member, widening the group’s influence. They will be able to propose items and issues for the Council to take up. Dario believes that Religions for Peace can be part of the solution for the world’s problems, since the group focuses on developing friendship and trust across religions. The group works with sensitive issues that affect all, such as climate change, migration, and mental health.
On Earth Day this April, Dario took part in a panel that met at Villa Borghese in Rome to discuss the climate crisis. All of the largest religions were represented: Catholicism, Protestantism, Judaism, Islam, Hinduism, Buddhism, and Baháʼí. Each person answered two questions: how their faith deals with climate change, and what actions people of their faith are taking. Dario’s Buddhist perspective—about interdependence and co-creating solutions—was different from most of the other panelists, who spoke about the world as God’s creation, which we humans need to take care of. He thought the other panelists appreciated his point of view.
As a member of the European Buddhist Union (EBU), Dario is responsible for the network of Buddhist Chaplains around Europe. He is developing the first course for Buddhist Chaplaincy in Europe through the EBU and Dharma Gate University in Budapest, which will grant participants an adult learning degree.
The two-year program will start in September 2024; faculty are all Dharma teachers from Theravada, Mahayana, or Vajrayana traditions. Most of the students are new to chaplaincy. Dario has obtained a grant from the Italian Buddhist Union that will cover 80% of tuition costs.
In the course, Dario will teach prison chaplaincy. Fifteen years ago, when he was a student at Green Gulch Farm, he visited San Quentin’s BuddhaDharmaSangha. On that visit he remembered a book his father had given him when he was a child, The Star Rover by Jack London, about an incarcerated person in a straitjacket who began to meditate. After he returned to Rome, Dario and members of his sangha began teaching meditation in Roman prisons.
Dario founded Centro Zen L’Arco in 1986 as a sitting group affiliated with Fudenji, the Italian Zen Monastery where he began his Zen training. He later studied at San Francisco Zen Center where he was ordained and received Dharma Transmission. He became Abbot of Centro Zen L’Arco in May 2019. Dario’s Dharma name is Keimyo Doshin (Joyful Life – Heart/Mind of the Way).
L'inquietudine dell'esistenza tra religione e innovazione
18 maggio 2024
La fede, unica variabile che tiene ancora uniti due aspetti fondamentali della nostra vita. Un cambiamento di prospettiva per intrecciare due concetti estremamente lontani ma allo stesso tempo molto vicini.
Religione e innovazione sembrano appartenere a orizzonti concettuali incommensurabili. C’è tutta una storia che lo dimostrerebbe, precisamente la vicenda storica della modernità e della secolarizzazione. Ma forse è arrivato il momento di rivedere l’interpretazione di questa storia. La teoria tradizionale della secolarizzazione, si pensi a Max Weber, ha visto chiaramente la radice religiosa (cristiana) della grande innovazione culturale prodottasi in occidente con il progressivo autonomizzarsi rispetto alla religione dei diversi sistemi sociali, quali la politica, la scienza, il diritto, la morale, solo per citarne alcuni. Ma se questo è vero, allora proprio qui incontriamo un primo, indubitabile segno di concordanza tra religione e innovazione, nonostante che le interpretazioni dominanti abbiano fatto di tutto per occultarlo. Con qualche buona ragione, sia ben chiaro. La religione cristiana infatti, specialmente nella sua variante cattolica, ha faticato non poco a conciliarsi con l’autonomia dei suddetti sistemi sociali, diventando paradossalmente una forza a essi ostile. Questi ultimi, a loro volta, l’hanno ripagata con altrettanta ostilità, orientando contro di essa la loro autonomizzazione. Una vera e propria catastrofe per la cultura moderna, i cui effetti si riverberano ancora oggi sulla nostra vita politica e culturale, fino al punto che è diventato ormai quasi un luogo comune ritenere che più innovazione scientifico-tecnologica equivalga, tra le altre cose, anche a un maggiore restringimento della sfera d’influenza della religione, sia sul piano della vita individuale che su quello della vita sociale. In questo modo i due termini si sono estraniati sempre di più l’uno dall’altro: l’innovazione è diventata una prerogativa scientifico-tecnologico-politica, mentre la religione, ossia la principale condizione che ha reso possibile il differenziarsi di questi sistemi sociali e quindi il dispiegarsi del loro potenziale innovativo, si chiude sempre di più nei suoi dogmi e nella sua organizzazione, diventando l’ostacolo per eccellenza a qualsiasi tipo d’innovazione, in attesa della sua inevitabile estinzione.
Questo, diciamo così, il modo “classico” di raccontare la storia. Ma forse oggi si vanno dischiudendo altre possibilità, proprio grazie al progressivo allargarsi di una sfera, certamente amica dell’innovazione, ma che potrebbe esserlo anche per la religione: la sfera della contingenza. Niklas Luhmann, per fare un esempio, ci dice che la prestazione principale che la religione offre a una società altamente differenziata come la nostra è precisamente quella di radicalizzarne la contingenza, la contingenza di tutto ciò che è, mostrando nel contempo la contingenza del mondo nella sua interezza. Ma se le cose stanno così, allora anche l’innovazione finisce per avere nella religione una delle principali condizioni che la rendono possibile. Un esito forse imprevisto per l’odierna mentalità dominante, ma certamente da prendere molto sul serio.
Il fatto che la religione abbia perduto molta della sua rilevanza sociale, dopo che la scienza, la politica, la morale, l’arte si sono progressivamente emancipate dal suo controllo, ha indotto molti a interpretare tutto questo come una sconfitta della religione, destinata a svolgere un ruolo sempre più residuale, e magari come una vittoria della politica, libera di occupare l’intero spazio pubblico senza alcun intralcio religioso. Eppure, se ci guardiamo intorno, specialmente in Europa, dobbiamo forse convenire che in questa battaglia dell’una contro l’altra, nel tentativo di sostituirsi l’una all’altra, politica e religione hanno perso entrambe. La politica rischia infatti di diventare religione, e la religione oscilla tra il diventare un fatto puramente “privato” o la stampella confessionale del potere dello stato. Paradossalmente però, ritornando al nostro tema, difficilmente una politica sacralizzata potrebbe essere amica dell’innovazione. Lo stesso si potrebbe dire della scienza o della religione. La differenziazione della società non consente sacralizzazioni di sorta; chiede piuttosto a ciascun sistema sociale di poter operare liberamente secondo il proprio codice. Per rimanere amica dell’innovazione, includendo nella comprensione di sé quell’allargamento della contingenza di cui si è detto, nemmeno la religione può più comprendersi in termini sacrali. Nella logica della differenziazione funzionale, essa dovrebbe coltivare la propria organizzazione senza confessionalismi e concentrarsi soprattutto su Dio nonché sull’unico medium che in una società differenziata potrebbe renderla ancora generativa (innovativa) in senso ecclesiale e sociale: la fede. È la fede che “fa nuove tutte le cose”, il paradosso per eccellenza, ciò che riduce complessità e nel contempo l’aumenta. Se trascendenza/immanenza è il codice del sistema religioso, la contingenza e una certa inquietudine ne sono il suo tratto ontologico-esistenziale più vero. Soltanto chi si sente inquieto può stare ancora tranquillo.
di Sergio Belardinelli per "Il Foglio" - quotidiano
Nell'Europa senza Dio è record di battesimi adulti in Francia e Belgio
8 maggio 2024
Il paradosso è che nell'era più interconnessa che il pianeta abbia mai conosciuto, con uno smartphone capace di dare subito tutte le risposte che si cercano, alla fine ci si sente più soli che prima. Il bisogno di un senso – anche religioso – che si fa largo nei più giovani.
Ibattesimi nel Tamigi, i templi buddisti affollati di giovani, le sinagoghe con millennial tra i banchi. “Il liberalismo secolare è formidabile nell’attrarre convertiti (tutte quelle deliziose libertà…) ma incapace di riprodursi. Le coppie religiose hanno molti più figli degli atei”, ha scritto sul Times James Marriott, impressionato dal risveglio del sacro nella multietnica e distratta Londra. Ma non dovevamo morire tutti atei, senza Dio e senza santi? Perfino gli amish sono passati da cinquemila unità nel 1900 al quarto di milione di oggi, nota il demografo Eric Kaufmann nel suo Shall the Religious Inherit in the Earth?. Il Pew Research Center stima che – in base alle tendenze attuali – i non religiosi caleranno sempre di più di qui al 2025. L’islam cresce a un ritmo doppio rispetto alla popolazione globale e la Cina – per quel che valgono stime indipendenti e giocoforza limitate dal particolare contesto locale – avrebbe almeno cento milioni di cristiani. L’Africa, poi, il grande serbatoio del cristianesimo, con le sue Chiese giovani e martiri. E tutti i discorsi sul tramonto della fede, sulle vocazioni in calo, sulla secolarizzazione? Valgono per l’Europa, con le vecchie cattedrali gotiche messe in vendita (in Olanda) o semplicemente chiuse perché non c’è più nessuno che possa viverle, affollarle e – meno aulicamente parlando – mantenerle.
Ma siamo sicuri che il discorso sia valido ovunque, da nord a sud e che le generalizzazioni siano opportune? Che il futuro sia quello delineato da Joseph Ratzinger, e cioè appannaggio delle “minoranze creative”, è assodato. Ma che l’orizzonte sia quello del deserto è quantomeno esagerato pensarlo. Il paradosso è che nell’èra più interconnessa che il pianeta abbia mai conosciuto, con uno smartphone capace di dare subito tutte le risposte che si cercano, alla fine ci si sente più soli che prima. Il bisogno di un senso – anche religioso – che si fa largo nei più giovani. In quelli, cioè, che sono stati privati di un’educazione religiosa e non hanno vissuto i riti propri della cristianità, routine per i loro nonni e forse (ma non dappertutto) per i loro genitori. I dati che giungono dalla Francia, patria incontrastata della laïcité, impressionano: settemila adulti hanno ricevuto il sacramento del battesimo durante la Veglia pasquale, il 31 per cento in più rispetto al 2023. Un anno fa, il 23 per cento dei neobattezzati aveva tra i 18 e i 25 anni, percentuale cresciuta quest’anno e arrivata al 36 per cento. In più, sono stati battezzati più di cinquemila adolescenti tra gli undici e i 17 anni, il 50 per cento in più rispetto all’anno scorso. I numeri sono ufficiali e sono stati diffusi nelle scorse settimane dalla Conferenza episcopale francese. Il direttore del Servizio giovani e vocazioni, padre Vincent Breynaert, ha detto che “nella società francese contemporanea, l’80 per cento dei giovani non ha ricevuto alcuna educazione religiosa. Questi ragazzi hanno ben poche idee preconcette sulla Chiesa. Ciò che hanno in comune coloro che chiedono il battesimo è l’aver fatto un’esperienza spirituale e un incontro personale con Cristo. Alcuni dicono di essere stati toccati dalla bellezza di una liturgia (a cui è capitato di partecipare), dal silenzio rilassante di una chiesa, dalla testimonianza di un amico. Hanno sete di formazione, di punti di riferimento, di fraternità e di senso di appartenenza”.
“Tutte le fasce di età registrano aumenti, ma la crescita maggiore è tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni”, ha detto mons. Olivier Leborgne, responsabile dell’Ufficio per la catechesi. L’aumento di battesimi è evidente nelle grandi città, come a Parigi, dove la percentuale è cresciuta del 27 per cento rispetto al 2023: qui i battesimi saranno 1.861, a fronte dei 1.461 del 2023. Ma anche nelle zone più rurali le stime sono positive. Quel che rileva, è che aumentano le persone che si dichiarano “provenienti da famiglie senza religione” e il cinque per cento addirittura da famiglie musulmane. I nuovi battezzati, adulti o adolescenti, non sono in grado di compensare numericamente il deficit dei neonati che ricevono il primo sacramento, ma il fatto che con la consapevolezza si decida di farsi battezzare fa ben sperare l’episcopato francese in vista del futuro: oggi solo l’otto per cento di quanti si dichiarano cattolici – non esiste un censimento circa l’affiliazione religiosa, ma solo sondaggi d’opinione – partecipa alla messa domenicale. Famille chrétienne ha definito i dati “sorprendenti”, soprattutto perché l’eco del Rapporto Sauvé sui casi di abusi presentato nel 2021 si fa ancora sentire, tra abiure pubbliche di vescovi, risarcimenti milionari e mea culpa collettivi. Nonostante la metodologia scelta per stilare il dossier – ammessi i questionari in forma anonima – abbia lasciato perplesso più d’un osservatore.
Un trend analogo, ancor più sorprendentemente, si registra in Belgio, dove il numero di battesimi adulti è raddoppiato in un decennio, passando dai 186 del 2014 ai 362 del 2024. Un ventinovenne nativo del Belgio fiammingo, ha detto al portale ufficiale della Chiesa belga che “la morte di mio nonno ha sollevato domande esistenziali che mi hanno portato alla Chiesa. Ho iniziato a leggere libri e ho scoperto che il cristianesimo faceva parte della mia identità. E’ stato come riscoprire la mia cultura, una rinascita. Dio e la fede cattolica mi hanno accolto a braccia aperte. Il mio interesse continuava a crescere e ho pensato: meglio una vita significativa che un’esistenza senza senso”.
di Matteo Matzuzziper "Il Foglio" - quotidiano
Giovani che lasciano la Chiesa. Ma la sete di spiritualità non si spegne
11 aprile 2024
Dall’indagine dell’Istituto Toniolo, i percorsi di chi ha abbandonato. Ma continua a sognare una Chiesa libera, povera, gioiosa. La sfida rappresentata dall’«esodo silenzioso» delle ragazze.
L’esodo silenzioso delle giovani donne dalla Chiesa e dalla fede cattolica. Il “caso serio” costituito dal rapporto fra comunità ecclesiale, fede dei giovani, apertura ai credenti Lgbt+. La sete e la ricerca di spiritualità che continuano ad abitare la vita di chi ha abbandonato la Chiesa e la fede nelle sue forme tradizionali – anche quando è una spiritualità senza Dio, o con un Dio senza nome, e che sempre meno spesso ha il nome di Gesù. Le contiguità e le consonanze di interrogativi, giudizi, idee – su Dio, la Chiesa, la fede, la vita, la morte, l’etica, la sessualità – fra i giovani che hanno lasciato e quelli che sono rimasti. Sono molteplici – e tutti urgenti, provocatori, potenzialmente fecondi – i motivi d’interesse della ricerca raccolta nel volume “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024) curato da Rita Bichi e Paola Bignardi, promosso dall’Istituto Toniolo – l’ente fondatore dell’Università Cattolica, nella cui sede milanese è stata presentata l’indagine (https://www.avvenire.it/giovani/pagine/istituto-toniolo-giovani-profeti-di-una-chiesa-che-sa-ascoltare-e-accogliere-tutti).
I numeri dell’esodo dalla Chiesa cattolica
L’allontanamento dei giovani dalla Chiesa e dalla fede cattolica è una tendenza che il Rapporto Giovani realizzato dal 2013 ogni anno dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo registra con fedeltà. Nel 2013 i giovani che si dichiaravano cattolici erano il 56,2% e nel 2023 il 32,7%. Negli stessi anni i giovani che si dicono atei sono passati dal 15% al 31%. Ancora più significativo il mutamento fra le giovani donne: quelle che si dichiarano cattoliche sono passate dal 62% al 33%, quelle che si dichiarano atee dal 12% al 29,8%. E se il trend continuasse così? Secondo i dati comunicati da Paola Bignardi presentando la ricerca in Cattolica, sul totale dei giovani italiani i cattolici sarebbero il 18% nel 2033 e il 7% nel 2050, le giovani cattoliche il 17% nel 2033 e il 6% nel 2050. «Un dato particolarmente interessante, forse in linea con l’evolvere della sensibilità spirituale – ha sottolineato Bignardi –: aumenta la percentuale dei giovani che dichiarano di credere in una generica entità superiore ma senza far riferimento a nessuna religione: nel 2023 sono il 13,4%; nel 2020 erano l’8,7%; nel 2016 il 6,2%».
Mettersi in ascolto di chi ha scelto altre vie
Dalle cifre alle storie. I numeri dicono molto. Ma non tutto. Ecco, allora, l’importanza di mettersi in ascolto dei giovani che hanno lasciato la Chiesa e la fede per conoscere e condividere i vissuti, i motivi e le dinamiche dell’abbandono, come ha fatto l’Istituto Toniolo con quest’ultima indagine. Nelle parole dei giovani, il ritratto di una Chiesa istituzione lontana dalla vita, più brava a giudicare che ad ascoltare e accogliere, più “azienda” che comunità dove sperimentare una fede e una spiritualità che sanno rispondere alla vita e alle sue domande di senso. Questi giovani «hanno difficoltà a riconoscersi negli insegnamenti della Chiesa, nella sua visione della vita e soprattutto nei suoi insegnamenti morali – scrive Bignardi –. Particolarmente presente è il tema dell’omosessualità; chi vive questa esperienza parla del suo essersi sentito giudicato e rifiutato; chi guarda la questione dall’esterno ritiene discriminatorie le posizioni della Chiesa e in contrasto con i suoi insegnamenti». Linguaggi e liturgia fanno sentire estranei. E l’abbandono della Chiesa è in genere graduale, consapevole, solo in alcuni casi “arrabbiato”.
Nuove rotte fra religione e spiritualità
Nelle parole di quegli stessi giovani c’è però anche nostalgia per la fede e la comunità cristiana. E c’è il sogno di una Chiesa aperta, plurale, libera e liberante, povera e vicina ai poveri, al dolore, alle fragilità: una Chiesa giovane e gioiosa, fa sintesi Giovanna Canale, docente, in uno dei contributi raccolti nel libro. I giovani lasciano la Chiesa, ma non sempre la fede, né la ricerca spirituale. Interiorità, natura, connessione i tre “luoghi spirituali” che emergono dalle interviste. Che sembrano confermare quanto scrive il teologo Tomáš Halík, citato da Bignardi: «La sfida principale per il cristianesimo ecclesiale di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità».
L’addio delle giovani donne
Fra i nodi incandescenti che emergono dall’indagine, quello che Fabio Introini e Cristina Pasqualini chiamano «l’esodo silenzioso delle giovani donne»: iniziato con la Generazione X (le nate fra 1965 e 1979), proseguito con le Millennials (1980-1995), continua con la Generazione Z (1996-2010). Per troppo tempo la Chiesa ha considerato le donne una presenza scontata, dovuta, ancillare all’establishment maschile. E oggi? Ragazze e giovani donne faticano a trovare ascolto e risposte alle loro esigenze, alle loro attese, al loro vissuto. Dall’iniziazione cristiana all’oratorio, troppe cose sono a misura di maschio.
Le “dinamiche dell’abbandono” parlano di percorsi “emancipativi” e «profondamente legati alla mobilità innescati dai percorsi di carriera di studio e lavoro». Che portano a contatto con la complessità della vita e dell’umano. E sono «la matrice di nuove domande di senso ma anche le fonti di nuovi saperi che fanno breccia nella precedente visione del mondo». L’addio, in genere non polemico, si fa “arrabbiato” «in riferimento al rapporto che l’istituzione ecclesiale mantiene con la comunità Lgbtq+ o in merito alla questione dell’aborto», e quando si toccano «la sfera della corporeità, della sessualità, delle relazioni di coppia e della maternità», scrivono Introini e Pasqualini.
La fede pare “protestantizzarsi”: non nel senso di una “individualizzazione” ma «per via del suo “trasformarsi” nel perseguimento del proprio “Beruf” di weberiana memoria, vale a dire il pieno compimento della propria vocazione “intramondana” nell’esercizio motivato e totalizzante del lavoro». Infine: le giovani intervistate, abituate a non avere spazio decisionale nella Chiesa, non lo rivendicano: hanno imparato a farne a meno. E a fare a meno della Chiesa. Ma la Chiesa può fare a meno delle donne? Come vivere e annunciare il Vangelo – e come essere Chiesa – senza di loro?
Chi se n’è andato, chi è rimasto: duecento voci da ascoltare
Cento giovani di tutta Italia, fra i 18 e i 29 anni, che si sono allontanati dalla Chiesa e dalla religione cattolica, ai quali – tramite colloqui individuali – è stato chiesto di raccontare il cammino dall’appartenenza ecclesiale all’“esodo”, la concezione di spiritualità, il pensiero sulla Chiesa e la fede. E 91 giovani che invece sono rimasti “vicini” alla Chiesa, le cui esperienze e idee sono state raccolte con la tecnica del focus group. Sono i due sotto-campioni dell’indagine pubblicata nel volume a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024): ricerca che giunge a quasi dieci anni dall’indagine raccolta nel libro “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia” (Vita e Pensiero, 2015) anch’esso curato da Bichi e Bignardi. “Cerco, dunque credo?” è promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, la Facoltà Teologica del Triveneto, l’Istituto superiore di Scienze religiose “Alberto Marvelli” delle diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione “San Tommaso d’Aquino” di Napoli. Il risultato? Un ritratto provocatorio e illuminante della realtà dei giovani. E un appello alla “conversione” della Chiesa. A partire dal dialogo con i giovani e la loro vita.
Così Federico II e Al-Malik governavano il mondo costruendo la pace
11 aprile 2024
Le Marche celebrano Federico II di Svevia ad Ancona (11-14 aprile) e Jesi (9-11 maggio) conl primo festival di storia dedicato alla figura di Federico, curato da Fulvio Delle Donne e dal titolo: “Stupor Mundi. Cercare la pace e stupire il mondo”. Questa prima edizione propone lezioni di docenti universitari come Franco Cardini, Agostino Paravicini Bagliani, Umberto Longo, Amedeo Feniello, Alessandro Vanoli, Laura Minervini, Annick Peters-Custot, Oleg Voskoboynikov, Antonio Musarra. Qui anticipiamo in sintesi la lezione di Marina Montesano; programma completo su www.festival-stupormundi.it.
Nel 1229, Al-Malik al-Kamil governava come sultano un vasto territorio che andava dall’Egitto alla Siria, e includeva dunque la Terra Santa. La sua dinastia, detta ayyubide, aveva conosciuto una straordinaria ascesa grazie a suo zio, Salah ad-Din Yusuf ibn Ayyub, per gli occidentali Saladino, generale curdo al servizio dei governanti zengidi di Mosul. Egli aveva creato il sultanato ayyubide nel 1171 grazie alla conquista dell’Egitto, riportato all’islam sunnita dopo la lunga parentesi del califfato fatimide sciita.
Fu un buon governo, quello degli ayyubidi, che mantennero una forte infrastruttura militare e politica, in grado di resistere alle minacce esterne, tra cui le invasioni crociate e le incursioni mongole. Stabilirono relazioni diplomatiche con gli Stati vicini e si impegnarono in alleanze e trattati per salvaguardare i loro territori. Allo stesso tempo, il periodo fu testimone di significativi progressi culturali e intellettuali. Al-Kamil sponsorizzò numerosi studiosi, poeti e artisti, contribuendo alla fioritura delle attività intellettuali e artistiche durante il suo regno. Egli attirava presso la sua corte del Cairo studiosi provenienti da varie parti del mondo islamico. Fornì loro risorse, tra cui biblioteche e stipendi, per condurre ricerche e studi. Questi studiosi contribuirono al progresso in campi come la teologia, la legge, la filosofia, la medicina e l'astronomia. Inoltre, egli sosteneva iniziative di traduzione, in particolare dal greco e da altre lingue, all'arabo. Uno sforzo atto a facilitare la trasmissione del sapere dalle antiche civiltà al mondo islamico, favorendone la crescita intellettuale e l'innovazione. Sotto di lui, il Cairo divenne un centro di attività letteraria e poetica, oltre a sponsorizzare la costruzione di moschee, madrase, palazzi e altri progetti architettonici. La corte di Al-Kamil era nota per il suo carattere cosmopolita e accoglieva studiosi e artisti provenienti da contesti culturali diversi. Questa atmosfera di scambio culturale favoriva la tolleranza e la comprensione tra le diverse comunità religiose ed etniche del suo regno.
Sull’altra sponda del Mediterraneo, in Italia meridionale, contemporaneamente al sultanato di Al-Kamil, regnava Federico II, re di Sicilia a soli quattro anni, nel 1198, e dal 1220 incoronato imperatore. Il lettore avrà riconosciuto, nello specchio del sultanato ayyubbide, molti dei caratteri di fondo del regno di Federico. La sua corte era un centro d’irradiazione di novità e di sperimentazioni culturali. La scuola poetica siciliana era sì debitrice della tradizione provenzale dei trovatori, ma a quell’influenza aveva unito i caratteri della tradizione lirica araba, sviluppata nell’isola dalla dominazione islamica e poi anche in epoca normanna. Lo stesso Federico II e i suoi figli Enzo e Manfredi poetarono, insieme a figure di spicco quali Giacomo da Lentini, Guido delle Colonne, Pier della Vigna, Cielo d'Alcamo, Jacopo da Bologna.
Presso la curia federiciana convennero studiosi tra i più notevoli del tempo, come il filosofo e astrologo Michele Scoto, che tradusse alcune opere di Aristotele; l’arabo cristiano Teodoro; l’enciclopedista ebreo Juda ben Salomon Cohen. Il sovrano ordinò la fondazione dello Studium napoletano di diritto e curò la scuola medica salernitana. Continuò la tradizione normanna di edificare castelli, spesso aggiungendo nuove strutture alle precedenti, ma edificò dal nulla il capolavoro di Castel del Monte. Come tutti gli aristocratici del suo tempo era amante della caccia, ma Federico stesso fu autore di un celebre trattato di falconeria, il De arte venandi cum avibus, nel quale immise il frutto della sua straordinaria capacità di osservazione.
Insomma, Al Kamil e Federico II avevano molto in comune fra loro, ed è per questo che il loro incontro durante quella che siamo soliti chiamare “sesta crociata” diede vita a qualcosa di nuovo: invece di combattere, i due sovrani si accordarono per negoziare lo status di Gerusalemme senza spargimento di sangue. Federico II andò all’incontro in una posizione particolare; poiché non si decideva a partire per la spedizione, Gregorio IX l’aveva scomunicato, e i suoi nemici in Italia avevano invaso il regno di Sicilia. Anche la pace con il sultano non piacque: si sarebbe preferita la guerra, invece del Trattato di Giaffa che nel 1229 poneva fine alle ostilità e permetteva ai cristiani di riprendere il controllo di Gerusalemme, acquisito dai crociati con una strage nel 1099 e perso per opera del Saladino nel 1187. Il trattato garantiva ai cristiani l'accesso ai luoghi santi di Gerusalemme, compresa la chiesa del Santo Sepolcro, il rilascio dei prigionieri e un passaggio sicuro ai pellegrini. In cambio Federico non proseguiva nella guerra. Sia chiaro: nessuno dei due era un idealista; entrambi avevano dimostrato di saper tenere saldamente il potere, anche con il pugno di ferro.
Nel 1225, Federico aveva contrattato un'alleanza matrimoniale con Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme: ne avrebbe sposato la figlia ed erede Isabella II. Dopo aver negoziato il trattato di Giaffa con il sultano, Federico si recò a Gerusalemme per affermare la sua pretesa al trono. Il suo matrimonio con Isabella II e il suo status di consorte fornirono la base legale e politica per la sua incoronazione come re di Gerusalemme. Dunque, l’interesse politico entrò certamente nel patto fra i due, che non vanno scambiati per “pacifisti”, termine che all’epoca non avrebbe avuto senso; entrambi, però, considerarono che l’assenza di guerra, per una questione che si poteva risolvere altrimenti, fosse una buona mossa. In fondo, trattative e paci non si stipulano forse fra nemici?
Siamo in guerra, ma occorre costruire pace nella giustizia
1 Gennaio 2024
Il Presidente della Repubblica Italiana; Sergio Mattarella, ha dedicato un’ampia parte del suo messaggio di fine anno 2023, al tema della pace e della guerra. La riportiamo, condividendone l’approccio equilibrato e costruttivo.
” … Sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità.
Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana.
La violenza.
Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate.
Le devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla.
L’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità.
La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti.
La guerra – ogni guerra – genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti.
La guerra è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali. Dotati di pari dignità. Per affermare, invece, con il pretesto del proprio interesse nazionale, un principio di diseguaglianza. E si pretende di asservire, di sfruttare. Si cerca di giustificare questi comportamenti perché sempre avvenuti nella storia. Rifiutando il progresso della civiltà umana.
Il rischio, concreto, è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini. Come – sempre più spesso – accade nelle guerre. Alla tragica contabilità dei soldati uccisi. Reciprocamente presentata; menandone vanto.Vite spezzate, famiglie distrutte. Una generazione perduta. E tutto questo accade vicino a noi. Nel cuore dell’Europa. Sulle rive del Mediterraneo.
Macerie, non solo fisiche. Che pesano sul nostro presente. E graveranno sul futuro delle nuove generazioni. Di fronte alle quali si presentano oggi, e nel loro possibile avvenire, brutalità che pensavamo, ormai, scomparse; oltre che condannate dalla storia.
La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Sempre più letali. Fonte di enormi guadagni.
Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano.
È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità della pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità.
Sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi. Anzitutto, di quelli che hanno scatenato i conflitti.
Ma impegnarsi per la pace significa considerare queste guerre una eccezione da rimuovere; e non la regola per il prossimo futuro.
Volere la pace non è neutralità; o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole.
Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone.
Per conseguire pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi.
Pace, nel senso di vivere bene insieme. Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà. …”
A cura di Luigi De Salvia
Calendario 2024 RfP continuando l’impegno per la pace
4 Novembre 2023
Quest’anno presentiamo il calendario di Religions for Peace Italia 2024 in un contesto di guerra che era già grave dopo l’invasione dell’Ucraina e si è ulteriormente aggravato dopo gli attacchi terroristici di Hamas in Israele del 7 Ottobre scorso e di tutto quello che ne è conseguito a livello locale e nelle più ampie relazioni internazionali già particolarmente tese.
Diventa, parallelamente, ancora più importante custodire il patrimonio di relazioni positive che si sono costruite negli anni grazie al dialogo ed alla cooperazione tra appartenenti di diverse tradizioni religiose e persone non religiose dedite alla promozione del bene comune, che è nel contempo condizione e frutto della pace.
Il nostro Calendario interreligioso 2024 ha per titolo Parole per la Pace.
Silenzio, umiltà, ascolto, compassione, speranza, lungimiranza, fiducia, pazienza, saggezza, coraggio, giustizia, servizio sono le 12 parole che caratterizzeranno i mesi dell’anno, accompagnate da citazioni scelte nel patrimonio culturale delle grandi tradizioni religiose ed umanistiche che ne approfondiranno il senso.
L’efficacia di queste parole non deriva automaticamente dall’averle apprese ed apprezzate in teoria; l’esperienza personale ci mostra infatti che sotto la spinta di pulsioni e pressioni inaspettate non sempre riusciamo a viverle nonostante le intenzioni.
Queste dodici parole rimangono, comunque, riferimenti costanti del nostro agire, rispetto alle quali metterci in discussione e valutare, a posteriori, l’esito delle nostre azioni, ovvero se hanno dato sollievo o aggravato le sofferenze nostre e degli altri, se hanno promosso bene comune o conflitti.
Per richiedere il Calendario di RfP Italia 2024 scrivere ad info@religioniperlapaceitalia.org
Discorso di Papa Francesco in visita a Marsiglia
24 Settembre 2023
Signor Presidente della Repubblica, cari fratelli Vescovi, illustri Sindaci e Autorità che rappresentate città e territori bagnati dal Mar Mediterraneo, amiche e amici tutti!
Vi saluto cordialmente, grato a ciascuno di voi per aver accolto l’invito del Cardinal Aveline a partecipare a questi incontri. Grazie per il vostro lavoro e per le preziose riflessioni che avete condiviso. Dopo Bari e Firenze, il cammino al servizio dei popoli mediterranei progredisce: anche qui, responsabili ecclesiastici e civili sono insieme non per trattare reciproci interessi, ma animati dal desiderio di prendersi cura dell’uomo; grazie perché lo fate con i giovani, presente e futuro della Chiesa e della società.
La città di Marsiglia è molto antica. Fondata da navigatori greci venuti dall’Asia Minore, il mito la fa risalire alla storia d’amore tra un marinaio emigrato e una principessa nativa. Fin dalle origini essa presenta un carattere composito e cosmopolita: accoglie le ricchezze del mare e dona una patria a chi non l’ha più. Marsiglia ci dice che, nonostante le difficoltà, la convivialità è possibile ed è fonte di gioia. Sulla carta geografica, tra Nizza e Montpellier, sembra quasi disegnare un sorriso; e mi piace pensarla così: Marsiglia è “il sorriso del Mediterraneo”. Vorrei dunque proporvi alcuni pensieri attorno a tre realtà che caratterizzano Marsiglia: il mare, il porto e il faro. Sono tre simboli.
Il mare. Una marea di popoli ha fatto di questa città un mosaico di speranza, con la sua grande tradizione multietnica e multiculturale, rappresentata dai più di 60 Consolati presenti sul suo territorio. Marsiglia è città al tempo stesso plurale e singolare, in quanto è la sua pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia.
Spesso oggi si sente ripetere che la storia mediterranea sarebbe un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti. Non ignoriamo iproblemi – ce ne sono! –, ma non lasciamoci ingannare: gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, mare straripante di tesori, al punto che, come scrisse un grande storico francese, esso non è «un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari»; «da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia» (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16).
Il mare nostrum è spazio di incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini.
Un grande sindaco leggeva nel Mediterraneo non una questione conflittuale, ma una risposta di pace, anzi «l’inizio e il fondamento della pace fra tutte le nazioni del mondo» (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 ottobre 1958). Disse infatti: «La risposta […] è possibile se si considera la comune vocazione storica e per così dire permanente che la Provvidenza ha assegnato nel passato, assegna nel presente e, in un certo senso, assegnerà nell’avvenire ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo misterioso lago di Tiberiade allargato che è il Mediterraneo» (Discorso di apertura del I Colloquio Mediterraneo, 3 ottobre 1958). Lago di Tiberiade, ovvero Mare di Galilea, un luogo cioè nel quale, ai tempi di Cristo, si concentrava una grande varietà di popolazioni, culti e tradizioni. Proprio lì, nella «Galilea delle genti» (cfr Mt 4,15) attraversata dalla Via del mare, si svolse la maggior parte della vita pubblica di Gesù.
Un contesto multiforme e per molti versi instabile fu la sede dell’annuncio universale delle Beatitudini, nel nome di un Dio Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Era anche l’invito ad allargare le frontiere del cuore, superando barriere etniche e culturali. Ecco allora la risposta che viene dal Mediterraneo: questo perenne mare di Galilea invita a opporre alla divisività dei conflitti la «convivialità delle differenze» (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73).
Il mare nostrum, al crocevia tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, concentra le sfide del mondo intero, come testimoniano le sue “cinque rive”, su cui avete riflettuto: Nord Africa, vicino Oriente, Mar Nero-Egeo, Balcani ed Europa latina. È avamposto di sfide che riguardano tutti: pensiamo a quella climatica, con il Mediterraneo che rappresenta un hotspot dove i cambiamenti si avvertono più rapidamente; quanto è importante custodire la macchia mediterranea, scrigno di biodiversità! Insomma, questo mare, ambiente che offre un approccio unico alla complessità, è “specchio del mondo” e porta in sé una vocazione globale alla fraternità, vocazione unica e unica via per prevenire e superare le conflittualità.
Fratelli e sorelle, nell’odierno mare dei conflitti, siamo qui per valorizzare il contributo del Mediterraneo, perché torni a essere laboratorio di pace. Perché questa è la vocazione, essere luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo, non delle ideologie che contrappongono. Sì, il Mediterraneo esprime un pensiero non uniforme e ideologico, ma poliedrico e aderente alla realtà; un pensiero vitale, aperto e conciliante: un pensiero comunitario, questa è la parola.
Quanto ne abbiamo bisogno nel frangente attuale, dove nazionalismi antiquati e belligeranti vogliono far tramontare il sogno della comunità delle nazioni! Ma – ricordiamolo – con le armi si fa la guerra, non la pace, e con l’avidità di potere sempre si torna al passato, non si costruisce il futuro.
Da dove dunque iniziare per radicare la pace? Sulle rive del Mare di Galilea Gesù cominciò col dare speranza ai poveri, proclamandoli beati: ne ascoltò i bisogni, ne sanò le ferite, proclamò anzitutto a loro il buon annuncio del Regno. Da lì occorre ripartire, dal grido spesso silenzioso degli ultimi, non dai primi della classe che, pur stando bene, alzano la voce. Ripartiamo, Chiesa e comunità civile, dall’ascolto dei poveri, che «si abbracciano, non si contano» (P. Mazzolari, La parola ai poveri, Bologna 2016, 39), perché sono volti, non numeri.
Il cambio di passo delle nostre comunità sta nel trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi, cacciandoli via, mandandoli a casa; sta nell’accoglierli, non nel nasconderli; nell’integrarli, non nello sgomberarli; nel dar loro dignità. E Marsiglia, voglio ripeterlo, è la capitale dell’integrazione dei popoli. Questo è un orgoglio vostro! Oggi il mare della convivenza umana è inquinato dalla precarietà, che ferisce pure la splendida Marsiglia. E dove c’è precarietà c’è criminalità: dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato. L’impegno delle sole istituzioni non basta, serve un sussulto di coscienza per dire “no” all’illegalità e “sì” alla solidarietà, che non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque.
In effetti, il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura.
Chi oggi si fa prossimo dei giovani lasciati a sé stessi, facili prede della criminalità e della prostituzione? Chi se ne prende carico? Chi è vicino alle persone schiavizzate da un lavoro che dovrebbe renderle più libere? Chi si prende cura delle famiglie impaurite, timorose del futuro e di mettere al mondo nuove creature? Chi presta ascolto al gemito degli anziani soli che, anziché esser valorizzati, vengono parcheggiati, con la prospettiva falsamente dignitosa di una morte dolce, in realtà più salata delle acque del mare? Chi pensa ai bambini non nati, rifiutati in nome di un falso diritto al progresso, che è invece regresso nei bisogni dell’individuo?
Oggi abbiamo il dramma di confondere i bambini con i cagnolini. Il mio segretario mi diceva che, passando per Piazza San Pietro, aveva visto qualche donna che portava i bambini nella carrozzina… ma non erano bambini, erano cagnolini! Questa confusione ci dice qualcosa di brutto.
Chi guarda con compassione oltre la propria riva per ascoltare le grida di dolore che si levano dal Nord Africa e dal Medio Oriente? Quanta gente vive immersa nelle violenze e patisce situazioni di ingiustizia e di persecuzione! E penso a tanti cristiani, spesso costretti a lasciare le loro terre oppure ad abitarle senza veder riconosciuti i loro diritti, senza godere di piena cittadinanza. Per favore, impegniamoci perché quanti fanno parte della società possano diventarne cittadini a pieno diritto.
E poi c’è un grido di dolore che più di tutti risuona, e che sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità. È il grido soffocato dei fratelli e delle sorelle migranti, a cui vorrei dedicare attenzione riflettendo sulla seconda immagine che ci offre Marsiglia, quella del suo porto.
Il porto di Marsiglia è da secoli una porta spalancata sul mare, sulla Francia e sull’Europa. Da qui molti sono partiti per trovare lavoro e futuro all’estero, e da qui tanti hanno varcato la porta del continente con bagagli carichi di speranza. Marsiglia ha un grande porto ed è una grande porta, che non può essere chiusa. Vari porti mediterranei, invece, si sono chiusi. E due parole sono risuonate, alimentando le paure della gente: “invasione” ed “emergenza”. E si chiudono i porti. Ma chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza, cerca vita.
Quanto all’emergenza, il fenomeno migratorio non è tanto un’urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge attorno al Mediterraneo tre continenti e che va governato con sapiente lungimiranza: con una responsabilità europea in grado di fronteggiare le obiettive difficoltà. Sto guardando, qui, in questa mappa, i portiprivilegiati per i migranti: Cipro, la Grecia, Malta, Italia e Spagna… Sono affacciati sul Mediterraneo e ricevono i migranti. Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vi sono povertà e precarietà.
Anche qui il Mediterraneo rispecchia il mondo, con il Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi. Eppure, questa situazione non è una novità degli ultimi anni, e non è questo Papa venuto dall’altra parte del mondo il primo ad avvertirla con urgenza e preoccupazione. La Chiesa ne parla con toni accorati da più di cinquant’anni.
Si era da poco concluso il Concilio Vaticano II e San Paolo VI, nell’Enciclica Populorum progressio, scrisse: «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello» (n. 3). Papa Montini enumerò “tre doveri” delle nazioni più sviluppate, «radicati nella fraternità umana e soprannaturale»: «dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri» (n. 44). Alla luce del Vangelo e di queste considerazioni, Paolo VI, nel 1967, sottolineò il «dovere dell’accoglienza», sul quale, scrisse, «non insisteremo mai abbastanza» (n. 67). A questo, quindici anni prima, aveva incoraggiato Pio XII, scrivendo che «la Famiglia di Nazaret in esilio, Gesù, Maria e Giuseppe emigranti in Egitto […] sono il modello l’esempio ed il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini di ogni età e di ogni paese, di tutti i profughi di qualsiasi condizione che, incalzati dalla persecuzione o dal bisogno, si vedono costretti ad abbandonare la patria, i cari parenti, […] e a recarsi in terra straniera» (Cost. Ap. Exsul Familia de spirituali emigrantium cura, 1° agosto 1952).
Certo, sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà nell’accogliere. I migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati. Se non si arriva fino alla fine, il migrante finisce nell’orbita della società. Accolto, accompagnato, promosso e integrato: questo è lo stile. È vero che non è facile avere questo stile o integrare persone non attese, però il criterio principale non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità umana. Coloro che si rifugiano da noi non vanno visti come un peso da portare: se li consideriamo fratelli, ci appariranno soprattutto come doni. Domani si celebrerà la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Lasciamoci toccare dalla storia di tanti nostri fratelli e sorelle in difficoltà, che hanno il diritto sia di emigrare sia di non emigrare, e non chiudiamoci nell’indifferenza. La storia ci interpella a un sussulto di coscienza per prevenire il naufragio di civiltà. Il futuro, infatti, non sarà nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia. Contro la terribile piaga dello sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, secondo le possibilità di ciascuno, un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine.
Dire “basta”, invece, è chiudere gli occhi; tentare ora di “salvare sé stessi” si tramuterà in tragedia domani, quando le future generazioni ci ringrazieranno se avremo saputo creare le condizioni per un’imprescindibile integrazione, mentre ci incolperanno se avremo favorito soltanto sterili assimilazioni. L’integrazione, anche dei migranti, è faticosa, ma lungimirante: prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà; l’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri paradigmi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che fa divampare ostilità e insofferenze. Abbiamo bisogno di fraternità come del pane. La stessa parola“fratello”, nella sua derivazione indoeuropea, rivela una radice legata alla nutrizione e al sostentamento.
Sosterremo noi stessi solo nutrendo di speranza i più deboli, accogliendoli come fratelli. «Non dimenticate l’ospitalità» (Eb 13,2), ci dice la Scrittura. E nell’Antico Testamento si ripete: la vedova, l’orfano e lo straniero. I tre doveri della carità: assistere la vedova, assistere l’orfano e assistere lo straniero, il migrante.
A tale proposito, il porto di Marsiglia è anche una “porta di fede”. Secondo la tradizione, qui approdarono i Santi Marta, Maria e Lazzaro, che seminarono il Vangelo in queste terre. La fede viene dal mare, come rievoca la suggestiva tradizione marsigliese della Candelora con la processione marittima. Lazzaro, nel Vangelo, è l’amico di Gesù, ma è anche il nome del protagonista di una sua parabola attualissima, la quale apre gli occhi sulla disuguaglianza che corrode la fraternità e ci parla della predilezione del Signore per i poveri.
Ebbene, noi cristiani, che crediamo nel Dio fatto uomo, nell’unico e inimitabile Uomo che sulle rive del Mediterraneo si è detto via, verità e vita (cfr Gv 14,6), non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse. Non chiudiamo le vie dell’incontro, per favore! Non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte!
La Chiesa, confessando che Dio in Gesù Cristo «si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22), crede, con San Giovanni Paolo II, che la sua via è l’uomo (cfr Lett. enc. Redemptor hominis, 14). Adora Dio e serve i più fragili, che sono i suoi tesori. Adorare Dio e servire il prossimo, ecco cosa conta: non la rilevanza sociale o la consistenza numerica, ma la fedeltà al Signore e all’uomo!
Questa è la testimonianza cristiana, e tante volte è pure eroica; penso ad esempio a San Charles de Foucauld, “fratello universale”, ai martiri dell’Algeria, ma anche a tanti operatori di carità di oggi. In questo stile di vita scandalosamente evangelico, la Chiesa ritrova il porto sicuro a cui attraccare e da cui ripartire per intessere legami con la gente di ogni popolo, ricercando ovunque le tracce dello Spirito e offrendo quanto per grazia ha ricevuto.
Ecco la realtà più pura della Chiesa, ecco – scrisse Bernanos – «la Chiesa dei santi», aggiungendo che «tutto questo grande apparato di saggezza, di forza, di disciplina elastica, di magnificenza e di maestà, non è nulla di per sé, se la carità non lo anima» (Jeanne relapse et sainte, Paris 1994, 74).
Mi piace esaltare questa perspicacia francese, genio credente e creativo, che ha affermato tali verità attraverso una moltitudine di gesti e scritti. San Cesareo di Arles diceva: «Se hai la carità, hai Dio; e se hai Dio, che cosa ti manca?» (Sermo 22,2). Pascal riconosceva che «l’unico oggetto della Scrittura è la carità» (Pensieri, n. 301) e che «la verità fuori della carità non è Dio, ma è la sua immagine e un idolo che non bisogna amare, né adorare» (Pensieri, n. 767). E San Giovanni Cassiano, che qui morì, scrisse che «tutto, anche ciò che si stima utile e necessario, val meno di quel bene che è la pace e la carità» (Conferenze spirituali XVI,6).
È bello dunque che i cristiani non siano secondi a nessuno nella carità; e che il Vangelo della carità sia la magna charta della pastorale. Non siamo chiamati a rimpiangere i tempi passati o a ridefinire una rilevanza ecclesiale, siamo chiamati alla testimonianza: non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne; non a misurare la visibilità, ma a spenderci nella gratuità, credendo che «la misura di Gesù è l’amore senza misura» (Omelia, 23 febbraio 2020). San Paolo, l’Apostolo delle genti che trascorse buona parte della vita sulle rotte mediterranee, da un porto all’altro,insegnava che per adempiere la legge di Cristo occorre portare gli uni i pesi degli altri (cfr Gal 6,2).
Cari fratelli Vescovi, non carichiamo di pesi le persone, ma alleviamo le loro fatiche in nome del Vangelo della misericordia, per distribuire con gioia il sollievo di Gesù a un’umanità stanca e ferita. La Chiesa non sia un insieme di prescrizioni, la Chiesa sia porto di speranza per gli sfiduciati.
Allargate il cuore, per favore! La Chiesa sia porto di ristoro, dove le persone si sentanoincoraggiate a prendere il largo nella vita con la forza impareggiabile della gioia di Cristo. La Chiesa non sia dogana. Ricordiamo il Signore: tutti, tutti, tutti sono invitati.
E vengo brevemente così all’ultima immagine, quella del faro. Esso illumina il mare e fa vedere il porto. Quali scie luminose possono orientare la rotta delle Chiese nel Mediterraneo? Pensando al mare, che unisce tante comunità credenti diverse, credo si possa riflettere su percorsi più sinergici, forse valutando anche l’opportunità di una Conferenza ecclesiale del Mediterraneo, come ha detto il Cardinale [Aveline]. che permetta ulteriori possibilità di scambio e dia maggiore rappresentatività ecclesiale alla regione. Anche pensando al porto e al tema migratorio, potrebbe essere proficuo lavorare per una pastorale specifica ancora più collegata, così che le Diocesi più esposte possano assicurare migliore assistenza spirituale e umana alle sorelle e ai fratelli che giungono bisognosi.
Il faro, in questo prestigioso palazzo che ne porta il nome, mi fa infine pensare soprattutto ai giovani: sono loro la luce che indica la rotta futura. Marsiglia è una grande città universitaria, sede di quattro campus; dei circa 35.000 studenti che li frequentano, 5.000 sono stranieri.
Da dove cominciare a tessere i rapporti tra le culture, se non dall’università? Lì i giovani non sono ammaliati dalle seduzioni del potere, ma dal sogno di costruire l’avvenire. Le università mediterranee siano laboratori di sogni e cantieri di futuro, dove i giovani maturino incontrandosi, conoscendosi e scoprendo culture e contesti vicini e diversi al tempo stesso. Così si abbattono i pregiudizi, si sanano le ferite e si scongiurano retoriche fondamentaliste. State attenti alla predica di tanti fondamentalismi che oggi sono alla moda! Giovani ben formati e orientati a fraternizzare potranno aprire porte insperate di dialogo.
Se vogliamo che si dedichino al Vangelo e all’alto servizio della politica, occorre prima di tutto che noi siamo credibili: dimentichi di noi stessi, liberi da autoreferenzialità, dediti a spenderci senza sosta per gli altri.
Ma la sfida prioritaria dell’educazione riguarda ogni età formativa: già da bambini, “mischiandosi” con gli altri, si possono superare tante barriere e preconcetti, sviluppando la propria identità nel contesto di un mutuo arricchimento. A ciò può ben contribuire la Chiesa, mettendo al servizio le sue reti formative e animando una “creatività della fraternità”.
Fratelli e sorelle, la sfida è anche quella di una teologia mediterranea – la teologia dev’essere radicata nella vita; una teologia da laboratorio non funziona –, che sviluppi un pensiero aderente al reale, “casa” dell’umano e non solo del dato tecnico, in grado di unire le generazioni legando memoria e futuro, e di promuovere con originalità il cammino ecumenico tra i cristiani e il dialogo tra credenti di religioni diverse.
È bello avventurarsi in una ricerca filosofica e teologica che, attingendo alle fonti culturali mediterranee, restituisca speranza all’uomo, mistero di libertà bisognoso di Dio e dell’altro per dare senso alla propria esistenza. Ed è necessario pure riflettere sul mistero di Dio, che nessuno può pretendere di possedere o padroneggiare, e che anzi va sottratto ad ogni utilizzo violento e strumentale, consci che la confessione della sua grandezza presuppone in noi l’umiltà dei cercatori.
Cari fratelli e sorelle, sono contento di essere qui a Marsiglia! Una volta il Signor Presidente mi ha invitato a visitare la Francia e mi ha detto così: “Ma è importante che venga a Marsiglia!”. E l’ho fatto. Vi ringrazio per il vostro paziente ascolto e per il vostro impegno. Andate avanti, coraggiosi! Siate mare di bene, per far fronte alle povertà di oggi con una sinergia solidale; siate porto maccogliente, per abbracciare chi cerca un futuro migliore; siate faro di pace, per fendere, attraverso la cultura dell’incontro, gli abissi tenebrosi della violenza e della guerra.
Grazie tante!
Alluvione catastrofica in Libia.
Appello alla solidarietà Internazionale!
15 Settembre 2023
Una sconvolgente alluvione ha colpito la Cirenaica nell’area della città di Derna provocando danni disastrosi e mietendo un numero impressionante di vite umane: oltre 11000 morti che dovrebbero salire ad oltre 20000 considerando i dispersi in gran parte trascinati in mare.
Invitiamo tutti, istituzioni internazionali, associazioni umanitarie, comunità religiose e singole persone a dare il proprio contributo morale e materiale alle popolazioni colpite.
I canali e le modalità per aiutare sono molteplici; tra queste suggeriamo l’iniziativa della RAI, con il supporto di RAI per la Sostenibilità – ESG: una campagna di raccolta fondi con numero solidale 45525 (fino a domenica 17 settembre) lanciata insieme a Croce Rossa Italiana, Caritas Italiana e UNICEF, inizialmente prevista per sostenere progetti di ricostruzione in Marocco e in seguito estesa a supporto della popolazione della Libia, colpita da un violento uragano nel nord est del Paese.
Uso etico e morale dell’intelligenza artificiale: il ruolo cruciale della Chiesa
11 Settembre 2023
Le nuove tecnologie digitali, con la punta di diamante rappresentata dall’intelligenza artificiale (IA), stanno plasmando la società moderna in modi senza precedenti.
La Chiesa nella società iper-connessa
Ciò ha generato una moltitudine di visioni, molte delle quali si rivelano distopiche, alimentate dalle preoccupazioni su come l’IA possa sostituire l’essere umano, provocando disoccupazione di massa o, nel peggiore dei casi, sfuggendo al controllo del suo creatore e distruggere o rendere schiavo il genere umano. Ma vi è una luce in fondo al tunnel: una prospettiva di speranza che può essere realizzata attraverso l’uso etico e morale delle nuove tecnologie. La Chiesa, da sempre vigile osservatrice dei progressi tecnologici, ha un ruolo fondamentale in questo passaggio.
Nella società iper-connessa di oggi, l’intelligenza artificiale non è un semplice strumento; si sta trasformando in un compagno sempre presente, un’entità con cui interagiamo su una base quasi costante. Questa onnipresenza digitale può creare disconnessioni, non solo tra noi e la natura, ma anche tra noi stessi. Tuttavia, la Chiesa, con la sua antica saggezza, può servire come un faro morale per navigare in queste acque incerte.
La Chiesa come faro per navigare nell’innovazione
L’Industria 5.0 è la quinta fase della rivoluzione industriale, un’epoca caratterizzata dall’integrazione tra l’uomo e la tecnologia. Mentre l’Industria 4.0 poneva l’accento sulla digitalizzazione e l’automazione, l’Industria 5.0 sottolinea il ritorno dell’uomo al centro del processo produttivo. Non si tratta più di sostituire l’uomo con le macchine, ma di farle lavorare insieme, sfruttando i vantaggi di entrambi.
Questa nuova era industriale mette l’accento su concetti come personalizzazione, sostenibilità, e l’importanza del tocco umano. L’intelligenza artificiale (IA) ha un ruolo cruciale in questo contesto, in quanto può analizzare e trattare enormi quantità di dati, migliorando la produttività e l’efficienza. Tuttavia, in un’epoca di Industria 5.0, l’IA viene utilizzata per migliorare le capacità umane, non per sostituirle.
Parallelamente, anche l’Unione Europea ha introdotto il concetto di “IA human-centric”, un approccio che mira a garantire che l’IA sia utilizzata in modo che rispetti i diritti umani e i valori democratici. L’IA human-centric si concentra sulla creazione di un’IA che beneficia le persone e la società, promuovendo il benessere individuale e collettivo.
In questo scenario in rapida evoluzione, la Chiesa Cattolica si è dimostrata ancora una volta pioniera. Come sottolineato da Heidi Campbell, la Chiesa è stata probabilmente la prima istituzione religiosa ad abbracciare Internet, creare un sito web e dettare una politica ufficiale sull’uso di Internet per i membri delle sue comunità.
Infatti, la lungimiranza della Chiesa nel comprendere la portata rivoluzionaria delle innovazioni tecnologiche non è una novità. La Chiesa ha colto in anticipo rispetto ad altre istituzioni del suo tempo la carica rivoluzionaria di invenzioni come la stampa, la radio, il cinema, la televisione. Il primo libro stampato è stato la Bibbia, un esempio lampante di come la Chiesa abbia capito e sfruttato la potenza della tecnologia sin dalle sue prime fasi.
L’importanza del dialogo tra fede e scienza
Lo stesso approccio proattivo e innovativo viene adottato oggi nei confronti dell’IA e dell’Industria 5.0. Riconoscendo l’importanza del connubio tra parte industriale ed umana, la Chiesa si impegna a promuovere un uso dell’IA che rispetti e valorizzi la dignità umana. Questo approccio è in linea con i principi dell’IA human-centric dell’UE, evidenziando una volta di più come la Chiesa sia sintonizzata con le tendenze più avanzate della tecnologia.
Per fare un esempio concreto, la Chiesa ha sottolineato l’importanza della formazione nell’IA, riconoscendo che l’educazione è fondamentale per garantire che le persone possano navigare in modo sicuro ed etico in un mondo sempre più digitalizzato. Inoltre, la Chiesa sostiene l’importanza della regolamentazione dell’IA, per garantire che le nuove tecnologie siano utilizzate in modo responsabile e benefico per l’umanità.
La Chiesa continua a essere un attore chiave nel dialogo tra tecnologia e società, promuovendo un uso etico e umano-centrico delle nuove tecnologie. In un’epoca di Industria 5.0 e IA, la Chiesa sottolinea l’importanza di mettere l’uomo al centro, sostenendo un approccio che valorizzi sia le capacità umane che quelle delle macchine.
Il Vaticano ha sempre espresso un interesse attivo per la tecnologia. Papa Francesco, in particolare, ha sottolineato l’importanza del dialogo tra fede e scienza. Il suo messaggio, infatti, non è solo per i fedeli, ma per l’intera comunità globale, chiedendo un uso responsabile e umanistico dell’IA. Allo stesso tempo, la Chiesa si impegna ad educare il suo gregge, mettendo l’accento sull’importanza della formazione, dell’informazione e della pedagogia nell’utilizzo dell’IA.
L’importanza di un’IA umano-centrica: formazione e regolamentazione le parole chiave
Il Vaticano ha anche organizzato conferenze sull’etica dell’IA, invitando esperti da tutto il mondo per discutere e formulare linee guida etiche per l’uso delle nuove tecnologie. Questo sforzo è parte integrante dell’impegno della Chiesa a promuovere un futuro in cui l’IA è utilizzata per il bene comune e per l’umanità, passando da scenari (teorici) distopici a scenari (concreti) di speranza.
La Chiesa sostiene che l’IA dovrebbe sempre rispettare la dignità umana, la libertà e i diritti. In altre parole, l’IA dovrebbe essere “umano-centrica”, usata per migliorare la nostra vita, non per sostituirci. Ciò non significa negare l’innovazione, ma piuttosto orientare la tecnologia in un modo che promuova il bene comune.
Nella pratica, questo si traduce in due punti chiave: prima di tutto, la formazione. La Chiesa sostiene che tutti dovrebbero avere una comprensione di base dell’IA e delle sue implicazioni. Questo è essenziale per garantire che le persone possano prendere decisioni informate su come e quando utilizzare queste tecnologie. La seconda è l’educazione etica. L’IA ha un grande potenziale, ma se usata in modo improprio, può portare a conseguenze negative. L’educazione etica può aiutare a prevenire abusi, garantendo che l’IA sia utilizzata in modo responsabile e rispettoso della dignità umana.
La Chiesa riconosce anche l’importanza della regolamentazione. L’IA non dovrebbe essere un territorio senza legge; invece, dovrebbero esserci norme e regolamenti che garantiscano il suo uso responsabile. Inoltre, queste norme dovrebbero essere formulate con un approccio democratico, coinvolgendo tutte le parti interessate, non solo le aziende di tecnologia o gli esperti di IA.
Nel delicato dialogo che si sviluppa tra le varie posizioni sul ruolo dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie, la Chiesa può contribuire in maniera significativa offrendo la sua prospettiva umanistica. Infatti, la Chiesa promuove una visione dell’uomo come entità unica e irripetibile, portatrice di una dignità intrinseca che va sempre rispettata.
È importante sottolineare, però, che per affrontare in modo costruttivo le questioni poste dall’avvento dell’IA, occorre trovare un punto di equilibrio tra le varie posizioni. Non si tratta di scegliere tra la totale accettazione o il totale rifiuto dell’IA, ma di identificare un sottoinsieme comune che possa rappresentare un terreno fertile per una discussione produttiva e per il progresso.
Conclusioni
La Chiesa, attraverso la sua lunga storia di dialogo e mediazione, può svolgere un ruolo chiave in questo processo. Essa può contribuire a delineare i principi etici che devono guidare l’uso dell’IA, mettendo in risalto l’importanza della dignità umana, della giustizia sociale e del bene comune. Allo stesso tempo, può portare alla luce le implicazioni spirituali dell’IA, incoraggiando una riflessione più profonda sulle questioni di senso e di significato che emergono in questo contesto.
Tuttavia, il dialogo non deve essere limitato alla Chiesa (ovviamente non parliamo solo di quella cattolica) o agli esperti di IA. Per trovare un punto di equilibrio, è essenziale coinvolgere tutte le parti interessate: i responsabili politici, gli sviluppatori di IA, i cittadini comuni, le organizzazioni della società civile e così via. Solo attraverso un dialogo ampio e inclusivo è possibile definire con chiarezza le problematiche e individuare le soluzioni più adeguate.
In conclusione, l’IA e le nuove tecnologie rappresentano una sfida complessa che richiede una risposta equilibrata e multidimensionale. La Chiesa, con la sua prospettiva umanistica e la sua esperienza di dialogo, può contribuire significativamente a questo processo. Insieme, possiamo costruire un futuro in cui l’IA è una forza per il bene, un alleato dell’uomo piuttosto che un potenziale pericolo.
Solidarietà al popolo del Marocco tragicamente colpito dal terremoto
11 Settembre 2023
Il terremoto di forte intensità che ha colpito il Marocco con epicentro a sud di Marrakesh appare sempre più devastante di giorno in giorno. Si contano circa 2500 morti ed una grande quantità di feriti per non parlate della sofferenza dei sopravvissuti e di tutto il popolo del Marocco, nonché degli enormi danni materiali.
Mentre esprimiamo con grande affetto la nostra vicinanza solidale ai familiari ed amici delle vittime ed a tutti coloro che stanno vivendo giorni drammatici, ci uniamo anche ai tanti immigrati marocchini che vivono nel nostro paese e con i quali molti di noi hanno stretto amicizia attraverso il dialogo e numerose iniziative comuni.
Invitiamo quanti vivono la pratica della preghiera a pregare per le vittime e per quanti sono nel dolore e nel disagio e contemporaneamente sollecitiamo l’aiuto concreto per le necessità immediate e per l’avvio della ricostruzione dalle macerie spaventose provocate dal sisma.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) del Marocco ha reso note le modalità di contribuzione al Fondo Speciale numero 126 per la gestione degli effetti del terremoto che ha colpito il Marocco, creato su istruzioni del Re Mohammed VI e nell’ambito dello sforzo nazionale per mettere in atto misure di emergenza per mitigare l’impatto del terremoto che ha colpito diverse regioni del Regno.
Per i bonifici effettuati dall’estero:
I cittadini e gli enti pubblici e privati che intendono contribuire al predetto Fondo Speciale tramite bonifico bancario sono pregati di specificare quanto segue:
– IBAN del beneficiario:
MA64001810007800020110620318
– Nome del beneficiario: Tesoriere Ministeriale presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
– Banca del beneficiario: Banca Al-Maghrib.
– SWIFT: BKAMMAMR.
– Scopo del bonifico: contributo al fondo speciale numero 126.
Gli interessati potranno versare il loro contributo con carta di credito, attraverso il portale Internet della Tesoreria Generale del Regno del Marocco (www.tgr.gov.ma), aggiunge un comunicato stampa del ministero.
Possono anche effettuare il pagamento dei loro contributi in contanti o mediante assegni bancari ai contabili delle missioni diplomatiche e consolari del Regno del Marocco all’estero.
Gli assegni bancari saranno intestati al nome del commercialista es-qualité (tesoriere ministeriale, tesoriere regionale, tesoriere prefettizio o provinciale, esattore delle tasse o contabile all’estero).
“L’esistenza umana è un’amicizia inesauribile”
così il Presidente Mattarella a Rimini
26 Agosto 2023
Rimini, 25/08/2023 (II mandato)
Rivolto un saluto di grande cordialità a tutti i presenti e ringrazio il Presidente Scholz per le sue considerazioni e per le parole che ha avuto, così cortesi.
Permettetemi di riprendere le fila di un discorso avviato con la vostra comunità sette anni or sono, nel 2016, qui a Rimini.
Nel frattempo, molti di quei giovani sono passati all’età adulta; tanti sono in cammino; mentre nuove generazioni si affacciano nella continuità di una speranza, di un impegno.
Ricorrevano, allora, – come ha ricordato il Presidente Scholz – i settant’anni della Repubblica; e mi appare significativo che questo nuovo dialogo diretto avvenga in occasione dei settantacinque anni della nostra Costituzione.
Il titolo – coraggioso – di quel Meeting, affermava: “tu sei un bene per me”; sottolineando il valore dell’incontro.
Senza che fosse progettato, nell’anno del Covid – era il 2021 – ho avuto modo di rivolgermi alla platea dei partecipanti, da remoto, quando a tema era posto “il coraggio di dire io”.
Mi sembra, quasi, un completamento di riflessione svolgere qualche considerazione, qui, quest’anno, sull’amicizia, carattere dell’esistenza umana.
Ringrazio, per questa opportunità, gli organizzatori del Meeting; e rivolgo un saluto e un augurio, calorosi, ai giovani che hanno animato gli incontri di questa settimana; e che torneranno da Rimini con più conoscenze e maggiori motivazioni; ai volontari che, con il loro servizio e la loro passione, hanno consentito che si realizzasse un programma di eventi così ricco; contributo, impegnativo, al pensiero contemporaneo.
Vorrei che ci interrogassimo.
Su cosa si fonda la società umana; la realtà nella quale ciascuno di noi è inserito; la realtà che si è organizzata, nei secoli, in società politica dando vita alle regole – e alle istituzioni – che caratterizzano l’esperienza dei nostri giorni?
È, forse, il carattere dello scontro? È inseguire soltanto il proprio accesso ai beni essenziali e di consumo? È l‘ostilità verso o il proprio vicino, o il proprio lontano? È la contrapposizione tra diversi? O è, addirittura, sul sentimento dell’odio che si basa la convivenza tra le persone?
Se avessimo risposto affermativamente, anche, soltanto, a una di queste domande, con ogni probabilità, il destino dell’umanità si sarebbe condannato da solo; e da tempo.
Invece, il crescere dell’amicizia fra le persone è quel che ha caratterizzato il progresso dell’umanità.
L’amicizia, come vocazione – incomprimibile – dell’uomo.
Vi è una circostanza, che richiama l’attenzione. Ogni volta che l’umanità si è trovata di fronte al baratro – è accaduto con le due guerre, mondiali, novecentesche – ha trovato, dentro di sé, le risorse quelle morali, per ripartire, per costruire un mondo diverso, in cui il conflitto lasciasse posto all’incontro. Per immaginare e progettare, il futuro insieme.
E se questa prospettiva è naufragata nel decennio, iniziato quasi alla metà degli anni venti, proprio per difetto di sentimenti di solidarietà e di reciproca comprensione e disponibilità tra i popoli, ha avuto successo, negli anni Quaranta e Cinquanta, per la comunità internazionale, con il dar vita alle Nazioni Unite e con l’avvio della integrazione d’Europa.
Uno spirito, analogo, ha ispirato la nostra Assemblea Costituente nella quale opinioni diverse si sono incontrate in spirito di collaborazione, per condividere e affermare i valori della dignità, ed eguaglianza, delle persone; della pace; della libertà.
Ecco, come nasce la nostra Costituzione: con l’amicizia come risorsa a cui attingere per superare – insieme – le barriere e gli ostacoli; per esprimere la nostra stessa umanità.
Per superare, per espellere l’odio, come misura dei rapporti umani. Quell’odio che la civiltà umana ci chiede di sconfiggere nelle relazioni tra le persone; sanzionandone, severamente, i comportamenti, creando, così, le basi delle regole della nostra convivenza.
“Homo homini lupus” di Plauto e il presunto “stato di natura” di Thomas Hobbes hanno, sempre, rappresentato ostacoli per la soluzione dei problemi dell’umanità.
L’aspirazione non può essere quella di immaginare che l’amicizia unisca soltanto coloro che si riconoscono come simili.
Al contrario. Se così fosse, saremmo sulla strada della spinta alla omologazione, all’appiattimento.
L’opposto del rispetto delle diversità; delle specificità proprie a ciascuna persona.
Non a caso, la pretesa della massificazione è quel che ha caratterizzato ideologie e culture del Novecento che hanno portato alla oppressione dell’uomo sull’uomo.
Le identità plurali delle nostre comunità sono il frutto del convergere delle identità di ciascuno di coloro che le abitano, le rinnovano, le vivificano. Nel succedersi delle generazioni e delle svolte della storia.
È la somma dei tanti “tu”, uniti a ciascun “io”, interpellati dal valore della fraternità, o, quanto meno, del rispetto e della reciproca considerazione.
È il valore della nostra Patria, del nostro straordinario popolo – tanto apprezzato e amato nel mondo – frutto, nel succedersi della storia, dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni; di apporto di diversi idiomi per la nostra splendida lingua; e nella direzione del bene comune.
Amicizia, per definizione, è contrapposizione alla violenza. Parte dalla conoscenza e dal dialogo. Anche in questo, l’amicizia assume valore di indicazione politica.
Non mancano, mai, i pretesti per alimentare i contrasti.
Siano la invocazione di contrapposizioni ideologiche; la invocazione di caratteri etnici; di ingannevoli, lotte di classe; o la pretesa di resuscitare anacronistici nazionalismi.
Quanto avviene ai confini della nostra Europa, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, ne dà drammatica testimonianza.
Viviamo un tempo di cambiamenti profondi, velocissimi, addirittura tumultuosi in alcuni campi. Tanto da non consentire, spesso, di avvalersi di uno sguardo lungo che ci aiuti a comprendere, in profondità, quale sia la direzione della nostra vita; immersi nell’affannoso consumo di un eterno presente; immemore del giorno prima e indifferente al giorno dopo.
Le trasformazioni incidono sui modelli sociali, sulla produzione e il lavoro, ma anche sugli abiti mentali, sulla stessa cultura, sulle aspettative delle donne e degli uomini.
Tanti descrivono il nostro come il tempo dell’individuo. L’individuo che sente di avere opportunità e respiro, mai raggiunti prima.
È giusto cogliere, in questo processo, il segno positivo in termini di comprensione del proprio ruolo, della propria responsabilità, dei propri diritti. Ma occorre, anche, saperne leggere i rischi di aspetti critici, di distorsioni.
L’auto-affermazione dell’io, nella sua più assoluta centralità in realtà nella sua piena solitudine, appare priva di qualunque senso.
Il concetto di individuo rischierebbe di separarsi da quello di persona.
L’affermazione di sé – uno dei motori della vita comunitaria – vale, in realtà, se è inserita nella comunità in cui si è nati, o in cui si è scelto di vivere; e se contribuisce alla sua crescita.
Vorrei attirare, ora, la vostra attenzione su un tema ricco di suggestioni ed evocativo; che si inserisce, a mio giudizio, nel filone di riflessione sul rapporto tra amicizia e istituzioni.
Nel dibattito pubblico si cita, sovente, il “diritto alla felicità” elencata – come da perseguire – assieme a quelli alla vita e alla libertà, nella Dichiarazione di indipendenza, del 4 luglio 1776, degli Stati Uniti.
È già interessante notare l’influenza del pensiero di esponenti della cultura del nostro Paese su quel testo. Nel confronto tra Beniamino Franklin e il filosofo napoletano Gaetano Filangieri fu, infatti, l’insegnamento di quest’ultimo a suggerire di sostituire alla espressione “diritto alla proprietà” quella relativa alla felicità.
Non vi è definizione equivalente nella nostra Carta costituzionale; eppure, vi sono pochi dubbi circa il fatto che gli articoli della Costituzione delineino una serie di diritti, e chiedano, alla Repubblica, una serie di azioni positive per conseguire condizioni che rendano gratificante l’esistenza; sia pure senza la pretesa che la felicità sia una condizione permanente; quasi che la vita, con le sue traversie, non introduca momenti di segno diverso.
È sufficiente riferirsi all’art. 2 della Carta dove si prevede che la Repubblica deve riconoscere, e garantire, i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità; e deve richiedere l’adempimento dei doveri, inderogabili, di solidarietà. E, all’art. 3, che chiede alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; dopo aver sancito che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono uguali davanti alla legge.
È, cioè, la dimensione comunitaria; sono le relazioni sociali a determinare la concretezza di esercizio dei diritti.
Ecco allora: le nostre istituzioni sono basate sulla concordia sociale, sul perseguimento – attraverso la coesione, dunque la solidarietà – di sentimenti di rispetto e di collaborazione: l’amicizia riempie questi rapporti, rendendoli condizione per la felicità.
Sono i sentimenti e i comportamenti umani che esaltano la vita della comunità.
Il benessere consentito dalla pace – di cui, sino a ieri, ha potuto godere l’Europa – è frutto di questa visione. È la discordia che lo pone a rischio.
È un tema universale.
L’Onu, dieci anni fa, ha definito il 20 marzo Giornata Internazionale della Felicità invitando tutti gli Stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative, e i singoli individui, a celebrare questa ricorrenza in maniera appropriata, anche attraverso attività educative, di crescita della consapevolezza pubblica (…).
Nell’occasione, il Segretario generale dell’epoca Ban Ki-moon ha ribadito: “Felicità, è aiutare gli altri. Quando, con le nostre azioni, contribuiamo al bene comune, noi stessi ci arricchiamo. È la solidarietà – diceva – che promuove la felicità”.
L’amicizia, come è evidente, non è una questione intimista. Nasce, anzitutto, dal riconoscere l’altro – nella sua diversità – uguale a noi stessi.
Ecco, ancora una volta, perché il sentimento dell’amicizia supera la qualità – che sovente gli viene attribuita – di mera terapia contro la solitudine, di edulcorante dell’esistenza, e riconferma il suo valore di scelta sociale e politica su cui fondare la società, su cui fondare il rapporto con gli altri popoli nella dimensione della comune appartenenza all’unica famiglia umana – qui ricordata, giorni fa dal Cardinale Zuppi – e nella dimensione dell’incontro.
Sono trascorsi ottant’anni dal convegno di Camaldoli, nel luglio del 1943, nel quale un nucleo di intellettuali cattolici provò a delineare le caratteristiche e i principi di un nuovo ordinamento democratico.
La dittatura fascista si stava consumando; ma ancora avrebbe causato – all’Italia e all’Europa – lutti, devastazioni, crudeltà, sofferenze.
A Camaldoli provarono – nella temperie più drammatica – a disegnare una democrazia, un ordinamento pluralista; fondato sull’inviolabile primato della persona e sulla preesistenza delle comunità rispetto allo Stato.
Perché il bene comune è responsabilità di tutti.
Come, poc’anzi ricor