

Bahá’í
È una religione monoteistica nata in Iran durante la metà del XIX secolo.
I membri seguono gli insegnamenti di Bahá’u’lláh (1817-1892), il fondatore.
Sono più di sette milioni i fedeli nel mondo, sparsi in oltre 200 Paesi, numerosi anche in Italia (5.000). Il loro Centro mondiale è ad Haifa, in Israele. La fede Bahá’í spiega il rapporto dell’uomo nel suo storico e dinamico legame con Dio, attraverso il concetto di relatività e progressività della religione.

Buddhismo
Sorto nel VI secolo a.C., a partire dall’India, il Buddhismo si diffuse nei secoli successivi soprattutto nel Sud-Est Asiatico e in Estremo Oriente, giungendo, a partire dal XX secolo, anche in Occidente. La religione nacque dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, comunemente detto il Buddha, e propone ai suoi aderenti una intensa disciplina spirituale e di meditazione.
Le più importanti scuole attualmente esistenti sono: Theravada, Mahayana e Vajrayana.

Confucianesimo
È una delle maggiori scuole filosofiche e morali della Cina.
Si è sviluppato nel corso di due millenni a partire dagli insegnamenti del filosofo Kong Fu-zi, il “Maestro Kong” (551-479 a.C.), conosciuto in Occidente col nome latinizzato Confucio. Egli creò un sistema rituale e una dottrina morale e sociale ma non trattò direttamente questioni soprannaturali e che trascendessero l’esperienza umana.

Cristianesimo
Religione a carattere universalistico fondata sull'insegnamento di Gesù Cristo trasmesso attraverso la letteratura neo-testamentaria.

Ebraismo
Con questo termine si intende sia una religione, sia una tradizione culturale, entrambe diffuse in tutto il mondo. Il testo sacro per antonomasia, ma non l’unico, nella religione ebraica, è la Torah (insegnamento, legge), scritta in ebraico, corrispondente ai cinque libri del Pentateuco della Bibbia. Presenti in Italia fin dal III secolo a.C., gli ebrei hanno contribuito in misura rilevante al progresso culturale e sociale del Paese.
La comunità è attualmente rappresentata dall’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), a cui aderiscono 21 comunità, e dalla FIEP (Federazione Italiana Ebraismo Progressivo).

Giainismo
È un’antica religione, ma soprattutto una filosofia in quanto non implica divinità definite. È basata sugli insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta di nobile estrazione che indicava la via alla perfezione umana sulla base della non-violenza. Con i suoi 8-10 milioni di fedeli, il Gianismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali. Vi sono 6000 monache e 2500 monaci, molti dei quali fanno riferimento alla corrente shvetambar.

Induismo
Una variegata ed antica tradizione spirituale i cui testi sacri risalgono al 1.500 a.C. che dall'India, dove nacque e dove resta largamente maggioritaria, si è diffusa in altre parti del mondo. Nella tradizione induista consolidatasi nel tempo, "Dio è uno ma si esprime in infiniti modi e forme".
Gli indù credono in un solo Dio, Brahman, senza forma e attributi, il quale nella manifestazione assume diverse forme per rappresentare le diverse potenze e forze che governano l'universo. La principale Organizzazione in Italia è l'Unione Induista Italiana, il cui maggiore Centro sorge ad Altare (SV) e che propone incontri di meditazione, introduzione allo Yoga e alla pratica induista.

Islam
Espressione e portavoce è stato il Profeta Mohammed, nella cittadina di La Mecca, nel VII secolo d.C. Il libro sacro e' il Corano. L'Islam non prevede la presenza di un clero ne' tanto meno di gerarchie. Gli Imam sono uomini di fede incaricati di condurre la preghiera nelle moschee per le loro conoscenze liturgiche e dottrinali.
Le principali tradizioni islamiche sono: I Sunniti che costituiscono il 90% del mondo islamico, gli Sciiti ed i Sufi conosciuti anche come i seguaci della "via del cuore" un cammino mistico nell'Islam.

Religioni tradizionali Africane
Ogni popolazione africana ha sviluppato una sua specifica religione, che è divenuta parte integrante del suo patrimonio culturale. Tutto ciò che riguarda la vita sociale in Africa è regolato dalla religione. Principio fondamentale che accomuna tutte le religioni africane è la fede in un Dio unico, come Essere Supremo.

Religioni Tradizionali Amerindiane
Tutti i popoli (alcune grandi civiltà) che vivevano in America del Nord, America Centrale e America del Sud avevano delle credenze religiose molto radicate. Esse, ancora oggi, gravitano intorno al culto del “Grande Dio (Grande Spirito, Dio Celeste) Creatore”. Lo sterminio di queste intere popolazioni da parte dei colonizzatori europei rappresenta uno dei più gravi genocidi che la storia dell’umanità ricordi. Oggi questi popoli originari delle Americhe non sono che una esigua minoranza.
Sta fortunatamente crescendo un recupero delle loro culture e spiritualità.

Shintoismo
Questa antica religione, originaria del Giappone, ricevette solo nel VI secolo della nostra era, all'epoca nella quale il Giappone si iniziò alla scrittura dopo il contatto con la Cina, la denominazione cino-giapponese di
Shin-to, che in giapponese puro si diceva Kami no michi (strada degli dei). Il carattere kami è composto da ka (nascosto, indistinto) e mi (visibile, tangibile); quindi kami è tutto l'universo nell'accezione di spazio e spirito.

Sikhismo.
È una religione nata nel XV secolo nell’India settentrionale basandosi sugli insegnamenti di Nanak e dei successivi nove guru.
Il credo della religione Sikh si basa sulla fede Vahiguru.
I Sikh sono portati a seguire gli insegnamenti dei dieci guru e del testo sacro chiamato Guru Granth Sahib. I sikh sono attualmente una comunità di 23 milioni di persone, di cui la maggior parte si concentra nel Punjab, regione tra l’India e il Pakistan. In Italia sono presenti su tutto il territorio.

Taoismo
Il Taoismo è una filosofia religiosa originaria della Cina. Affonda le sue radici nell'antica cultura cinese, proponendosi in differenti forme che caratterizzano l'arte, la vita e la spiritualità dell'Estremo Oriente. Se ne trovano influenze nel Buddismo cinese, in particolare nel Chan, nella medicina tradizionale cinese, nelle scienze politiche e nell'estetica.
È attribuita a Lao Tsè la scrittura del Tao Te Ching, testo sacro taoista, ed egli stesso è considerato il fondatore del Taoismo.

Zoroastrismo.
È il nome dato ad una delle più antiche religioni e la più importante e nota dell’Iran preislamico.
Tale fede religiosa deve il nome al ritenuto fondatore Zarathustra. Attualmente comunità zoroastriane si trovano soprattutto in India, Pakistan ed Iran. La diaspora zoroastriana comprende due gruppi principali: i Parsi di ambiente Sud-Asiatico e gli zoroastriani dell’Iran.
Gli organismi di cooperazione della diaspora parsi e zoroastriana seguono anche le non molte famiglie di correligionari che vivono in Italia.

Articoli e Pubblicazioni
Chiesa, società e religioni: il dialogo necessario

15 Gennaio 2025
Si avvia alla sua seconda edizione il Corso di Alta Formazione in «Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali», promosso dall’ISSR «A. Marvelli», delle diocesi di Rimini e di S. Marino-Montefeltro, congiuntamente all’Università degli Studi di San Marino (cf. qui su SettimanaNews). Abbiamo posto alcune domande al teologo Brunetto Salvarani, docente del Corso di Alta Formazione, dove tiene un corso su «Cristianesimo e dialogo interreligioso».
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In questo primo quarto di XXI secolo, dopo aver più volte convocato la clamorosa «morte di Dio», declinandola a seconda dei diversi ambiti che intrecciano il discorso pubblico, si assiste oggi alla sua problematizzazione, soprattutto perché, nei vari conflitti che continuano a funestare il pianeta, l’incidenza politica della questione «Dio» si ripropone con ineludibile drammaticità. È ancora possibile parlare di dialogo fra le religioni, o è questione che può ormai riguardare unicamente (eventualmente) la mistica?
Per quel che vedo, negli ultimi anni ci si riferisce comunemente, sempre più di frequente, alla conclamata crisi delle chiese, limitandosi a leggerla in chiave funzionale, sociologica o antropologica. In realtà tale crisi presenta una connotazione fortemente teologica. In altri termini: la crisi acuta delle chiese di questo nostro tempo incerto ed etimologicamente apocalittico, cioè rivelativo, mi pare sia riflesso e conseguenza diretta della crisi dell’immagine di Dio, e – alle nostre latitudini – tanto dell’immagine del Dio della tradizione giudaico-cristiana quanto del pur straordinario immaginario che vi è collegato (incomprensibile a chi di Bibbia e religioni non sa nulla, purtroppo). Per una cifra consistente, oltre che crescente, di nostri contemporanei abitanti di ciò che chiamiamo Occidente, in effetti, l’immagine di Dio è passata da essere naturale, familiare e prossima a una sorta di reliquia del passato, del tutto estranea alla cultura moderna: una reliquia nebulosa, e nella maggioranza dei casi impersonale e apatica.
Johann Baptist Metz, uno dei più grandi teologi del post Concilio, ideatore fra l’altro della teologia politica, pur ritenendo la decadenza strutturale e la debolezza diffusa nelle chiese e comunità cristiane una questione dirimente, ha ripetutamente sottolineato che ancora più rilevanza sta oggi acquisendo la crisi di Dio. Con un ulteriore paradosso a complicare il quadro: il fatto che tale crisi non si manifesta facilmente, perché a sua volta essa si collega spesso a un’evidenza religiosa. Fino a spingere lo stesso Metz a parlare di crisi di Dio in un’epoca religiosamente entusiasta… Tanto entusiasta che, innegabilmente, la declinazione etnico-religiosa delle guerre in corso, dall’Ucraina a Israele, emerge palesemente.
Anche se quelle ivi coinvolte sono le religioni che il sociologo Olivier Roy definisce «le religioni della santa ignoranza», strumentalizzate dal leader politico di turno e utilizzate per giustificare la violenza sistematica cui si ricorre costantemente. Ecco perché è fondamentale possedere gli strumenti critici per decostruire la narrativa della paura che oggi viene messa in campo, analizzando la Bibbia in chiave storico-critica e non mitico-identitaria; ed ecco perché non solo è possibile, ma è necessario, lavorare sul dialogo interreligioso. Anche se, certo, non è proprio un momento favorevole per quanti si impegnano in questo ambito…
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Il suo ultimo libro si propone nello spazio pubblico del confronto culturale con un titolo assai provocatorio: «Un percorso difficile anche per Dio». Scritto dopo l’aggravarsi della situazione in Medio oriente, a seguito dei fatti del 7 ottobre 2023, sembra ai più ancor più urgente cercare di comprendere il contributo delle religioni e la loro convergenza nell’orientarsi in direzione di una fraternità universale pacificata. In merito a ciò qual è il potenziale di grazia, racchiuso nei vasi di creta delle varie esperienze religiose e che attende di essere messo in circolo a favore di tutti/e? Quali possono essere, in questo senso, i principali ostacoli al dialogo tra ebrei, musulmani e cristiani e, in generale, al dialogo tra fedi diverse?
È evidente che dal 7 ottobre 2023 – giorno della mattanza di ebrei in Israele da parte di Hamas (la più grave dopo la Shoah, si è detto e scritto a ragione) – i processi dialogici fra ebrei e cristiani (e musulmani, di lato) si sono maledettamente complicati, messi duramente alla prova, come mai finora, mostrando tutte le loro gracilità e vulnerabilità. Nulla sarà come prima, ma andremo avanti.
Bisogna andare avanti, e non farsi prendere dallo sconforto… Lo dobbiamo a quanti ci hanno preceduto in questa strada, e alle generazioni che verranno dopo di noi. E soprattutto, non dimentichiamolo, si tratta di una buona causa, una causa giusta. In una manciata di ore è cambiato radicalmente lo scenario in cui si muove chi opera nel campo delle relazioni cristiano-ebraiche, tanto da richiedere un autentico salto di qualità rispetto al passato, a sei decenni dalla fine del Concilio: ma senza buttare via il grande lavoro fatto sinora, evidentemente. I segni di speranza non mancano.
Notevoli sono stati gli effetti della dichiarazione conciliare Nostra aetate (1965), documento a un tempo modesto e profondamente innovatore, come si disse allora, nonostante gli aspetti che, negli auspici dei padri conciliari più sensibili, apparvero già all’epoca ancora ambigui, sfuocati o disattesi. Bisogna peraltro ammettere che, volendo stilarne un reale bilancio, in questo caso un sessantennio è uno spazio di tempo ampio ma anche limitato, e ancora insufficiente a estirpare dalla teologia e dalla mentalità cattolica diffusa i normali e radicati atteggiamenti di antigiudaismo e chiusura identitaria, soprattutto se riandiamo a quale fosse prima del Vaticano II lo standard dei rapporti fra ebrei e cristiani.
Sì, il processo appare a tutt’oggi in progress, e tanta strada si dovrà fare ancora per giungere a un livello pienamente accettabile di essi, ma sarebbe ingeneroso negare che, per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica, un tratto di cammino è stato percorso. Penso sia stato il tratto più arduo, perché compiuto dopo quasi due millenni di assolute incomprensioni, di teologia sostituzionista (la Chiesa rilettasi vero Israele contro il falso Israele storico!), di clamorose discriminazioni e persino, com’è noto, di aperte persecuzioni.
Con uno slogan: dobbiamo ripartire da Nostra aetate, per andare oltre Nostra aetate! Non credo che ora siano stati spazzati via anni di dialogo, ma ritengo siano stati messi alla prova, come in un crogiolo. Le conquiste fatte, le visite dei papi in sinagoga, l’impegno di base per estirpare i pregiudizi antiebraici o per favorire la comprensione di cosa significhi davvero l’ebraicità di Gesù, gli studi e i colloqui non possono essere annullati, fortunatamente.
Anzi, da parte mia sostengo che dalla crepa venutasi a creare – di cui esistono parecchi indizi – potrà filtrare una luce inedita, se chi ne è coinvolto troverà la forza di mettersi in gioco realmente. E di inchinarsi di fronte al dolore dell’altro, onorando l’autorità delle vittime e dei sofferenti: di tutti, non solo di quelli dalla nostra parte. In altri termini: si capirà chi davvero crede in questo dialogo, chi davvero ha intenzione di mettersi in gioco. Sapendo che potranno esserci anche dei prezzi da pagare: una riflessione che propongo in primo luogo alla mia Chiesa.
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Veniamo più direttamente al suo insegnamento – «Cristianesimo e dialogo interreligioso» – svolto con grande apprezzamento anche presso l’ISSR “A. Marvelli”. Quali sono i punti di maggior interesse, a suo giudizio, essendo incardinato nel Corso di Alta Formazione in «Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali» promosso dal Marvelli congiuntamente con l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino? Soprattutto per rapporto alla specificità d’indirizzo nel panorama delle analoghe offerte formative circolanti sul territorio italiano…
Parto dai fondamentali: fare teologia significa coltivare sapientemente la notizia evangelica di Dio in chiave di mediazione culturale della fede (fides quaerens intellectum è la formula di Anselmo d’Aosta). La teologia sgorga da esperienze ecclesiali e da vissuti di fede che ne rivelano la presenza nella storia umana: essa, però, sin dagli albori ha scelto di non arrestarsi alle soglie della comunità cristiana, pensandosi come accompagnamento delle esistenze nei territori comuni delle vite e nelle loro forme istituzionali. Anzi, quelle soglie, nelle stagioni più aperte alla profezia, le ha decisamente varcate, per travasarsi in dimensioni più ampie del vivere e della cultura, senza paura di sporgersi all’esterno, in partibus infidelium: ed è lì che si è messa alla prova la sua utilità per la fede stessa.
Infatti, la pastoralità – intesa come la modalità con cui la comunità cristiana opera nel qui e ora per annunciare, celebrare e testimoniare il vangelo della pace (Ef 6,15) – non è un’aggiunta esterna all’impresa teologica, ma una sensibilità di fondo che andrebbe coltivata come responsabilità ecclesiale e culturale del teologo e della teologia. Un habitus derivante dalla consapevolezza che ogni suo discorso e pensiero sono rivolti all’umano di oggi e calati in specifici contesti: se manca ciò, si fa accademia, non teologia.
È decisivo che lo sguardo dei teologi e di chi studia teologia si spinga oltre i propri recinti protetti, volgendosi alle condizioni di quel tempo storico cui il Dio di Gesù intende essere contemporaneo: con tali condizioni la teologia è chiamata a rendersi familiare, proponendosi con un carattere pubblico e sociale; e giocandosi in una dimensione il più possibile ecumenica e interreligiosa.
Questa, direi, è la scommessa avviata già da qualche anno dall’Istituto «Marvelli» con il Corso di Alta Formazione: per quel che posso cogliere, con risultati decisamente incoraggianti. La strada è aperta, bisogna proseguire sul solco tracciato e lavorare per consolidare ulteriormente una proposta teologica coraggiosa quanto necessaria… Con l’augurio che tanti, dagli operatori della pastorale ai semplici curiosi, scelgano di accettare la sfida, quella di rimboccarsi non solo le maniche ma anche il pensiero. Quel che è certo è che non se ne pentiranno!
Jews, Muslims and Christians unite on Mitzvah Day

6 Dicembre 2024
More than 35,000 people of diverse faiths and backgrounds came together across the UK on November 24 for Mitzvah Day, Britain’s largest interfaith social action event.
LONDON: More than 35,000 people of diverse faiths and backgrounds came together across the UK on November 24 for Mitzvah Day, Britain’s largest interfaith social action event. This year’s theme, Stronger Together, inspired over 2,500 community-driven projects, reinforcing solidarity amidst societal divisions.
Participants included prominent leaders such as Prime Minister Sir Keir Starmer, Liberal Democrat leader Sir Ed Davey, London Mayor Sadiq Khan, Bishop of Edmonton Revd Canon Dr Anderson Jeremiah, Rabbi Charley Baginsky, and Imam Asim Hafiz. Alongside tens of thousands of volunteers from various faiths and none, they engaged in activities like care home visits, park clean-ups, food bank drives, and winter clothing collections.
Mitzvah Day Founder Laura Marks CBE praised the event's unifying spirit, “Our faith communities came together to give back, showcasing acts of citizenship, community-building, and care for those in need.”
Prime Minister Keir Starmer personally wrote a thank-you card for the staff of Spring Grove Care Home, delivered during a musical event hosted by MP Tulip Siddiq. He emphasised the importance of service and unity, “No matter our differences, we are always stronger together.”
Sir Ed Davey joined intergenerational ballet dancing at Nightingale House Care Home, bringing joy to residents and children. He reflected, “The theme Stronger Together reminds us we have more in common than divides us.”
London Mayor Sadiq Khan participated in packing vegetable boxes for the Mayor’s Fund for London with volunteers from Jewish and Muslim networks.
In a powerful interfaith display, Imam Asim Hafiz, Rabbi Charley Baginsky, and Bishop Anderson Jeremiah united at Hammerson House, collaborating with volunteers from Caritas Westminster and local Jewish communities. Rabbi Baginsky called the day “a heartwarming opportunity to make the world better,” while Imam Hafiz highlighted shared values of charity across faiths.
Across the UK, communities organised refugee support activities, cooking sessions, litter collections, and warm meal preparations. In Cumbria, refugees benefited from a day of dedicated events, while Leeds saw interfaith support for a warm food café. Internationally, Mitzvah Day was celebrated in 40 countries, including Germany, South Africa, Ukraine, and Australia.
Chief Rabbi Ephraim Mirvis hailed the initiative as “one of the greatest achievements of the British Jewish community.” Scotland’s First Minister John Swinney added.
“This day of social action recognises the centrality of community, compassion, and solidarity.”
Culminating a month-long series of events, Mitzvah Day CEO Stuart Diamond celebrated its enduring impact, “Mitzvah Day inspires people to give back, proving that small acts of kindness can make a big difference.”
Auxiliary Bishop of Westminster, Bishop John Sherrington and Catholic Women’s League President Siobhan Garibaldi echoed support, highlighting interfaith collaboration as a model for unity and service.
Mitzvah Day 2024 reinforced its vision: bringing people together to serve, support, and strengthen communities, proving that kindness and cooperation are powerful tools for building a better world.
In the picture: Imam Asim Hafiz, Rabbi Charley Baginksy and Bishop of Edmonton Revd Canon Dr Anderson Jeremiah came together in a show of solidarity at care home Hammerson House (Mitzvah Day facebook/Yakir Zur)
Jews, Muslims and Christians unite on Mitzvah Day

6 Dicembre 2024
More than 35,000 people of diverse faiths and backgrounds came together across the UK on November 24 for Mitzvah Day, Britain’s largest interfaith social action event.
LONDON: More than 35,000 people of diverse faiths and backgrounds came together across the UK on November 24 for Mitzvah Day, Britain’s largest interfaith social action event. This year’s theme, Stronger Together, inspired over 2,500 community-driven projects, reinforcing solidarity amidst societal divisions.
Participants included prominent leaders such as Prime Minister Sir Keir Starmer, Liberal Democrat leader Sir Ed Davey, London Mayor Sadiq Khan, Bishop of Edmonton Revd Canon Dr Anderson Jeremiah, Rabbi Charley Baginsky, and Imam Asim Hafiz. Alongside tens of thousands of volunteers from various faiths and none, they engaged in activities like care home visits, park clean-ups, food bank drives, and winter clothing collections.
Mitzvah Day Founder Laura Marks CBE praised the event's unifying spirit, “Our faith communities came together to give back, showcasing acts of citizenship, community-building, and care for those in need.”
Prime Minister Keir Starmer personally wrote a thank-you card for the staff of Spring Grove Care Home, delivered during a musical event hosted by MP Tulip Siddiq. He emphasised the importance of service and unity, “No matter our differences, we are always stronger together.”
Sir Ed Davey joined intergenerational ballet dancing at Nightingale House Care Home, bringing joy to residents and children. He reflected, “The theme Stronger Together reminds us we have more in common than divides us.”
London Mayor Sadiq Khan participated in packing vegetable boxes for the Mayor’s Fund for London with volunteers from Jewish and Muslim networks.
In a powerful interfaith display, Imam Asim Hafiz, Rabbi Charley Baginsky, and Bishop Anderson Jeremiah united at Hammerson House, collaborating with volunteers from Caritas Westminster and local Jewish communities. Rabbi Baginsky called the day “a heartwarming opportunity to make the world better,” while Imam Hafiz highlighted shared values of charity across faiths.
Across the UK, communities organised refugee support activities, cooking sessions, litter collections, and warm meal preparations. In Cumbria, refugees benefited from a day of dedicated events, while Leeds saw interfaith support for a warm food café. Internationally, Mitzvah Day was celebrated in 40 countries, including Germany, South Africa, Ukraine, and Australia.
Chief Rabbi Ephraim Mirvis hailed the initiative as “one of the greatest achievements of the British Jewish community.” Scotland’s First Minister John Swinney added.
“This day of social action recognises the centrality of community, compassion, and solidarity.”
Culminating a month-long series of events, Mitzvah Day CEO Stuart Diamond celebrated its enduring impact, “Mitzvah Day inspires people to give back, proving that small acts of kindness can make a big difference.”
Auxiliary Bishop of Westminster, Bishop John Sherrington and Catholic Women’s League President Siobhan Garibaldi echoed support, highlighting interfaith collaboration as a model for unity and service.
Mitzvah Day 2024 reinforced its vision: bringing people together to serve, support, and strengthen communities, proving that kindness and cooperation are powerful tools for building a better world.
In the picture: Imam Asim Hafiz, Rabbi Charley Baginksy and Bishop of Edmonton Revd Canon Dr Anderson Jeremiah came together in a show of solidarity at care home Hammerson House (Mitzvah Day facebook/Yakir Zur)
Rabbini e Imam d’Europa insieme a Bruxelles. L’incontro raccontato dall’imam Pallavicini

3 Dicembre 2024
Il Consiglio dei leader musulmani ed ebrei d’Europa, costituito a Vienna nel 2016, si è riunito nei scorsi giorni a Bruxelles. Un’occasione per confrontarsi e analizzare insieme i lati oscuri della crisi internazionale con i suoi segni di confusione, odio e violenza e studiare soluzioni tra rabbini e imam d’Europa. Un fatto storico che esprime coerenza e coraggio per reagire e continuare insieme a costruire una coesione sociale e aggiornare una collaborazione interreligiosa. L’intervento dell’imam Yahya Pallavicini.
Rabbini e Imam da Austria, Belgio, Bosnia, Francia, Finlandia, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia si sono riuniti domenica 1 e lunedì 2 dicembre a Bruxelles.
MJLC, il Consiglio dei Leader Musulmani ed Ebrei d’Europa, costituito a Vienna nel 2016 riunisce autorità religiose musulmane ed ebree, teologi, giuristi, educatori e amministratori di moschee e sinagoghe da venti Stati europei.
Dopo il 7 ottobre 2023 i membri del MJLC si erano già riuniti a Siviglia e poi a Sarajevo rilasciando dichiarazioni congiunte per proteggere le sensibilità dei rispettivi fedeli e prevenire disordini in Europa in seguito al conflitto in Medio Oriente.
L’occasione di confrontarsi per analizzare insieme i lati oscuri della crisi internazionale con i suoi segni di confusione, odio e violenza e studiare soluzioni tra rabbini e imam d’Europa è di per sé un fatto storico che esprime coerenza e coraggio per reagire e continuare insieme a costruire una coesione sociale e aggiornare una collaborazione interreligiosa.
È preoccupante, infatti, la dilagante confusione fra identità religiose dei credenti ebrei e musulmani in Europa con l’estremismo nazionalista o il fanatismo rivoluzionario, di matrice antisemita o islamofoba, populista o demagogica, di destra o di sinistra, un pericolo di confusione e polarizzazione complicato dagli abbinamenti a interpretazioni politiche di Stati stranieri. Questi estremismi e confusioni, infatti, minano i valori di fratellanza e ricerca della Pace che i fedeli di ogni religione devono continuare a testimoniare anche a beneficio dell’Occidente in cui vivono e di cui sono da generazioni leali cittadini.
Solidarietà, empatia e coraggio sono alcune tra le parole chiave condivise dai partecipanti.
Il coraggio di studiare la complessità della realtà senza dare sfogo impulsivamente a sentenze superficiali e unilaterali di bontà o cattiveria ma senza neppure speculare sui dettagli e sulle pretestuose e sofisticate giustificazioni della propaganda di parte. Il coraggio di denunciare la barbarie e l’ingiustizia, il terrorismo e i crimini di guerra, l’abuso di interpretazioni che alcuni falsi maestri attribuiscono alla Bibbia o al Corano.
La solidarietà nei confronti delle vittime innocenti, degli ostaggi rapiti da oltre un anno, di famiglie che hanno subito la deportazione coatta e sono costretti a soffrire la fame, deve essere un sentimento naturale per tutti i credenti, senza innescare una gara di vittimismo o una competizione di rivendicazioni e rancore.
L’empatia è la capacità di riconoscere, comprendere e immedesimarsi nella condizione dell’altro per aiutarsi insieme e affrontare, superare e risolvere il male della situazione.
Il confronto è proseguito con alcune relazioni dei referenti della Commissione Europea per la lotta all’antisemitismo e contro l’odio verso i musulmani e si è concluso al Parlamento Europeo con un incontro con la vice presidente Antonella Sberna che ha già messo in atto la sua delega per la promozione del dialogo interreligioso.
Dall’Europa il dialogo per il rispetto e la pace tra cittadini e credenti, ebrei e musulmani, prosegue sia a livello interno, spirituale e teologico, che come testimonianza di responsabilità istituzionale e pubblica. Un augurio che sarà celebrato questa settimana anche in Italia con il 120 anniversario del Tempio Maggiore della sinagoga di Roma.
(Nella foto copertina – Il rabbino Lewin dalla Francia, il rabbino Hofemeister dall’Austria, il mufti Grabus dalla Bosnia, l’imam Yahya Pallavicini dall’Italia e l’imam Baghajati dall’Austria incontrano la vice Presidente del Parlamento Europeo Antonella Sberna).
Recensione del film "Abe" di Fernando Grostein Andrade
3 Dicembre 2024

Costruire la propria identità religiosa quando si nasce in una famiglia interreligiosa non è semplice. Lo sa bene Abe, diminutivo di Abraham o Ibrahim, protagonista del film brasiliano-americano “Abe” del 2018. Ambientato in una New York contemporanea, multiculturale e plurireligiosa, Abe è la risposta al quesito: come cresceranno i figli di coppie di credi diversi? Certo il suo è un caso esemplare, madre ebrea-israeliana e padre musulmano-palestinese. Entrambi vivono un rapporto apparentemente sereno, quando nell’età dell’adolescenza del giovane figlio, quest’ultimo inizia la sua personale ricerca, facendo sintesi tra le religioni dei propri genitori. Apparentemente non credenti, entrambi di genitori risentono però dell’influsso delle famiglie di origine che non perdono occasione di litigare quando si incontrano, per motivi più che altro politico/culturali.
Sullo sfondo un giovane, come tanti, che sperimenta questa sua ricerca attraverso il veicolo del cibo, di cui è un grande appassionato. Proprio la sua passione per la cucina lo porterà a fare un incontro che gli permetterà di comprendere come armonizzando le differenze si possono costruire nuove vie. Pellicola consigliata per tutta la famiglia e in particolare per giovani e giovanissimi.
Si trova su diverse piattaforme, tra cui Prime video.
Recensione del film "L'Ultimo Lupo" di Jean Jacques Annaud
3 Dicembre 2024

La rivoluzione culturale nella Cina di fine anni 60’ è lo sfondo di uno dei più bei film del regista francese Jean Jacques Annaud, che con delicatezza racconta una storia di amicizia, ma soprattutto di rispetto tra uomo e animale. Dopo anni rivedo un film straordinario che commuove nel raccontare l’amicizia che un giovane cinese, proveniente da Pechino, decide di vivere due anni nella steppa mongola, scoprendo un mondo rurale ma altrettanto ancestrale e spirituale.
Grazie ad una fotografia intensa e ad una storia coinvolgente, il regista ci spinge ad uno sguardo diverso verso una terra così affascinante e poco conosciuta come la Mongolia. Questo film ci aiuta a capire un mondo altro, fatto di credenze soprannaturali e di un rispetto con il cosmo a partire dalla natura e dall’equilibrio con il mondo animale che il progresso tenterà di distruggere.
Il film, tratto dal romanzo “Il Totem del Lupo” di Jiang Rong, nato dalla sua trentennale ricerca nonché esperienza diretta, è un inno a quel profondo legame che unisce l’uomo alla natura.
Consigliato per qualsiasi pubblico si trova su piattaforme come Prime video o YouTube.
3rd Interfaith Symposium on Protecting Places of Worship: A Unified Approach to Sacred Space Security
2 Dicembre 2024

Rome, Italy – November 20-21-22 2024 – The third interfaith symposium on protecting places of worship, held in the heart of Rome, brought together religious leaders, scholars, and security experts from across the globe to discuss and collaborate on safeguarding sacred spaces. This event was part of the PROTONE / Harmonising Diversity project, a cross-cultural initiative designed to enhance the security of Jewish, Christian, Muslim, and other places of worship while promoting interfaith dialogue and cooperation. The symposium was organized by Istituto Tevere, an NGO based in Rome focusing on fostering intercultural dialogue, peacebuilding, and security through research and collaborative action, in partnership with Religions for Peace Italia, a branch of the global organization that unites the world’s religious communities to address critical challenges through interfaith cooperation and action and international partners of the Protone Project, Intercultural Dialogue Platform, Arco Forum, House of One, Stiftung Dialog und Bildung, Fedactio, University of Leiden.
The symposium, hosted at Il Pitigliani – Centro Ebraico Italiano, provided a dynamic platform for participants from Italy, Spain, Belgium, the Netherlands, Germany, and beyond. It featured a rich program of discussions, research presentations, and site visits, emphasizing the importance of shared responsibility in protecting sacred spaces across diverse faiths.
Day One: Research Insights and Interfaith Collaboration
The event began on November 20th with a study tour exploring both historical and contemporary places of worship in Rome. This was followed by the presentation of the findings of a comprehensive research report on the security of places of worship, led by Professor Tahir Abbas from the University of Leiden. His findings sparked insightful discussions among experts, with contributions from various religious and cultural leaders including Professor Fiorella Kostoris of Sapienza University and representatives from the Bahá'í, Jewish, Christian, Muslim and Hindu communities.
During the panel “Glocal Reflections on the Places of Worship” speakers such as Michael Driessen from John Cabot University and Johann Hafner from the University of Potsdam addressed topics ranging from transnational interfaith cooperation to the intersection between memory and present while constructing a new places of worship according to emerging urban needs, as in the case of House of One in Berlin.. These discussions highlighted the importance of a "glocal" approach to religious site security—one that balances local traditions with broader, international efforts.
Other major discussions included the role of media and journalism in shaping perceptions of religious security and the integration of security measures in architectural design. Speakers such as Francesca Baldini, a journalist who mainly covers interfaith events, and Tehseen Nisar Hussain from COPAIR, explored how media narratives impact public understanding and the potential for fostering interfaith peace through careful representation as well as the role of religion in the public sphere. In addition, a panel of academics from various institutions discussed the balance between preserving cultural heritage and implementing modern security measures.
Day Two: Securing Sacred Spaces Together
The second day of the symposium continued with the formation of the Interfaith Council for Peace and Security. This new body, composed of Jewish, Christian, Muslim, Buddhist, Hindu, Sikh, and Bahá'í representatives, aims to provide an ongoing platform for collaboration on safeguarding religious sites globally. Although significant, this was just one part of a packed agenda focused on tangible solutions to security challenges faced by religious communities.
Site Visits: Engaging with Rome’s Sacred Spaces
A central feature of the symposium was its itinerant symposium, which allowed participants to engage directly with Rome's sacred spaces and understand the security challenges faced by different religious communities. On November 21st, participants visited the Buddhist Zen Center, Bahá'í Center, Hindu Temple, and the Torpignattara Muslim Centre, witnessing firsthand how these faith communities incorporate security measures into their sacred sites.
The final day of the symposium, November 22nd, continued with more visits, focusing on Rome’s rich and diverse religious heritage. Participants explored the Jewish Neighborhood, the Great Synagogue and Jewish Museum of Rome, and the Basilica of San Bartolomeo all’Isola, reflecting on the complex layers of history and security that these spaces represent. For Muslim participants, there was also an opportunity to attend Friday prayers at the Islamic Cultural Centre of Italy, reinforcing the symposium’s commitment to inclusivity and understanding across religious lines.
Looking Ahead
As the symposium came to a close, it was clear that the protection of places of worship requires not only physical measures but also a deep commitment to cross-cultural understanding and cooperation. Through discussions with scholars, faith leaders, and security experts, attendees gained valuable perspectives on how to balance security with respect for religious and cultural practices.
The symposium’s diverse approach—incorporating academic research, interfaith dialogues, and immersive site visits—underscored the need for a holistic strategy in safeguarding sacred spaces. The discussions and actions of the past few days will continue to shape efforts in protecting places of worship, ensuring they remain safe havens for worshippers of all faiths.
Il Papa: il mancato rispetto dei valori religiosi porta intolleranza nel mondo

30 Novembre 2024
Nel discorso ai partecipanti al convegno interreligioso "All Religions' Conference", Francesco evidenzia il valore del dialogo nel contesto globale segnato da "intolleranza e odio". Le discriminazioni "basate sulle differenze", divenute per molti "esperienza quotidiana", sottolinea, si affrontano attraverso "verità spirituali" e "valori" in comune tra le diverse confessioni
“Il mancato rispetto dei nobili insegnamenti delle religioni è una delle cause della travagliata situazione in cui il mondo oggi si trova.”
Esorta al dialogo interreligioso, attraverso "verità spirituali" e "valori" in comune, Papa Francesco. Nel suo discorso di oggi, 30 novembre ai partecipanti al convegno nel centenario della prima "All Religions' Conference", promossa dalla "Sree Narayana Dharma Sanghom Trust", il Papa celebra la figura del suo primo organizzatore, Sree Narayana Guru.
La riforma sociale di Sree Narayana Guru
"Guida spirituale" induista e "riformatore sociale", dedicò la sua vita alla promozione del "riscatto sociale e religioso". Combattendo il sistema delle caste, si fece portatore del messaggio per cui "tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro etnia o dalle loro tradizioni religiose e culturali, tutti sono membri dell’unica famiglia umana".
Ha insistito sul fatto che non ci dev’essere discriminazione contro nessuno, in nessun modo e a nessun livello.
"Religioni insieme per un'umanità migliore"
Un messaggio che, cento anni dopo, risuona nel "convegno di tutte le religioni" organizzato con il sostegno del Dicastero per il Dialogo interreligioso. Il tema dell'assise "Religioni insieme per un’umanità migliore", è definito dal Papa "davvero molto attuale e molto importante per i nostri tempi".
Discriminazioni e violenze, "esperienza quotidiana" per molti
Il "mondo di oggi", sottolinea Francesco, è infatto teatro di "crescenti casi di intolleranza e odio tra popoli e nazioni". Fenomeni di "discriminazione ed esclusione, tensioni e violenze" sulla base di "differenze di origine etnica o sociale, razza, colore, lingua e religione" sono divenute "un’esperienza quotidiana per molte persone e comunità".
Soprattutto tra i poveri, tra gli indifesi e coloro che non hanno voce.
Esseri umani "uguali" e "fratelli"
Il Pontefice ricorda il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato in occasione del Viaggio Apostolico del febbraio 2019 negli Emirati Arabi Uniti con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb. In esso, si afferma come Dio abbia "creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro".
"Amarci e onorarci", la verità comune alle religioni
Una "verità fondamentale" comune a "tutte le religioni", sottolinea Francesco. Esse insegnano che, "in quanto figli dell'unico Dio, dobbiamo amarci e onorarci l’un l’altro, rispettare le diversità e le differenze in uno spirito di fraternità e di inclusione, prendendoci cura gli uni degli altri, nonché della terra, nostra casa comune".
Coltivare l'armonia "tra le differenze
Se l'ignorare tali insegnamenti è causa delle turbolenze nel mondo, la loro riscoperta sarà possibile "solo se tutti ci sforzeremo di viverli e di coltivare relazioni fraterne e amichevoli con tutti, all’unico scopo di rafforzare l’unità nella diversità, assicurare una convivenza armoniosa tra le differenze ed essere operatori di pace, nonostante le difficoltà e le sfide che dobbiamo affrontare", spiega il Papa.
La cooperazione contro l'individualismo
Francesco aggiunge l'auspicio per la cooperazione tra tutte le "persone di buona volontà" per promuovere una cultura di "rispetto, dignità, compassione, riconciliazione e solidarietà fraterna". Un messaggio già contenuto nella Dichiarazione congiunta di Istiqlal dello scorso settembre, che diventa antidoto ai valori "dell’individualismo, dell’esclusione, dell’indifferenza e della violenza".
Insieme, "radicati" nelle proprie credenze
"Attingendo" ai loro tratti in comune, conclude il Papa, i rappresentanti delle diverse religioni possono "camminare e lavorare insieme per costruire un'umanità migliore", rimanendo ciascuno "fermamente" radicato nelle proprie "credenze" e "convinzioni religiose".
Maenza / Al Via “Ecu Film Fest 2024 Cinema Per Il Dialogo Ecumenico Ed Interreligioso”

21 Novembre 2024
MAENZA – Presentato la scorsa settimana al Senato, il prestigioso ‘Ecu Film Fest 2024 Cinema per il Dialogo Ecumenico ed Interreligioso” giunto alla sua terza edizione, da venerdì sino a domenica 24 novembre a Maenza con la partecipazione di rappresentanti di dieci tradizioni religiose provenienti da diversi paesi del Mondo ( Cristiani di varie confessioni, Ebrei, Musulmani, Induisti, Buddisti, Bahà’ì). Co l’occasione riceverrano la Benedizione di Papa Francesco, con un messaggio che sarà letto durante la cerimonia di inaugurazione. “Oggi più che mai, per gli organizzatori, si sente il bisogno di dialogo e di cooperazione tra tutte le confessioni religiose come requisito essenziale per un cammino di Pace e di Fraternità tra i Popoli.
Ricco il programma, impreziosito dalle presenze di personaggi di rilievo nel panorama del dialogo, tra questi Padre Gian Maria Polidoro, il frate noto per aver promosso la Conferenza di Pace ad Assisi con l’incontro di Giovanni Paolo II con i capi religiosi di tutto il Mondo nel 1992 e nel 1987 tra il Presidente Ronald Reagan e Michael Gorbaciov favorendo la fine della guerra fredda. Saranno inoltre presenti per l’Ebraismo Eva Ruth Palmieri, per l’Islam l’Imam della Moschea di Roma Nader Akkad, per gli ortodossi l’Archimadrita Padre Symeon Katsinas, per gli anglicani l’Arcivescovo Ian Ernest, per i Buddisti il Reverendo Dario Doshin Girolami, per gli Induisti Shivaraja Deva, per i Bahà’ì Guido Morisco. Per Religions for Peace Italia partner dell’Ecu Fest il Presidente Luigi De Salvia.
Dal Castello Baronale di Maenza, città dove San Tommaso d’Aquino ha trascorso gli ultimi giorni e sede della quattro giorni sarà lanciato inoltre il manifesto “Pace e Uguaglianza tra i Popoli”. L’Ecu Film festivcal “Cinema per il Dialogo Ecumenico e Interreligioso” ideato dal regista Gjon Kolndrekaj coadiuvato dal Presidente del Comitato Promotore Paolo Masini, intende dare voce ai messaggi di pace provenienti dal mondo del cinema e non solo, un incontro di arti e di voci unite dalla forte ricerca di dialogo. Alla settima arte infatti, si aggiungeranno nel corso della rassegna letteratura, teatro, musica, animazione, diplomazia che unite al mondo delle associazioni internazionali, creano un mosaico che rappresenta il sogno di una convivenza pacifica e solidale.
Un approccio che guarda alle nuove generazioni, portatrici di futuro, attraverso il coinvolgimento diretto di ragazzi e ragazze delle scuole primarie e secondarie “Insieme a mia moglie Tania Cammarota abbiamo creato tre anni fa questa iniziativa con il privilegio di condividere insieme a Religions for Peace, il Comune di Maenza e l’Associazione Passione di Cristo il principio dell’Uguaglianza tra i Popoli e anche quest’anno le adesioni all’iniziativa sono numerose grazie alla presenza di diversi rappresentanti religiosi di credi diversi e con immenso piacere e spirito di divulgazione andiamo avanti perché il dialogo tra i Popoli è l’unico messaggio da condividere per una Società Multiculturale e Pacifica”. Lo dichiara Gjon Kolndrekaj ideatore della rassegna. Per Paolo Masini, Presidente del Comitato Promotore “con l’Ecu Film Fest vogliamo dare il nostro piccolo contributo nella costruzione di un mondo di pace. Un terreno di incontro e di confronto che superando gli steccati, ci ricordi che nessuna religione porta con sé un messaggio di guerra e che quello che abitiamo è un mondo che ha una sola razza. Quella umana”.
Il programma. Il grande dittatore di Charlie Chaplin apre venerdì 21 novembre questo viaggio, con il suo potente monito contro l’odio e la guerra. Nel celebre discorso finale, il protagonista si rivolge ai soldati con un invito alla compassione e al rispetto della dignità umana: “Soldati! Non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate. Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: ‘Il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo’. P.O.P. Peace of Peace, il cartone animato scritto da otto studenti israeliani e otto palestinesi. Si tratta di un lavoro coadiuvato da animatori italiani con musiche di Noah e Rim Banna. Nel cartone realizzato dall’Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma nel 2004, due bambini, in groppa a un cammello magico, attraversano i luoghi della guerra, trasformandoli in spazi di gioia e di pace. Una pellicola che indica come il vero conflitto è tra chi vuole la guerra e chi vuole la pace. Un messaggio che conserva viva negli anni la sua attualità.
I figli di Gjergj Kastrioti Skanderbeg di Vranin Gecaj hanno il merito di portare tra le comunità arbëreshë in Italia, che da cinquecento anni mantengono vive le loro radici e tradizioni. Questo lavoro celebra il valore della memoria, della cultura e della fede che resistono al tempo, come un ponte tra popoli e generazioni. Sarah e Saleem – laddove nulla è possibile, del regista palestinese Muayad Alayan. Un racconto intimo di un amore proibito tra una donna israeliana e un uomo palestinese a Gerusalemme si fa metafora della difficile convivenza tra due popoli. La loro storia, apparentemente semplice, diventa un atto di resistenza all’incomprensione, un richiamo alla necessità di vedere l’altro oltre le divisioni. Chiuderà la rassegna una selezione di cortometraggi, realizzati da giovani di oltre 60 paesi nel mondo per il Youth Film Festival- Salesiani di Don Bosco, il cui Direttore artistico è Don Harris Pakkam.
Terni Film Festival
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19 Novembre 2024
Lo scorso 19 novembre, una delegazione del gruppo di Donne di Fede in Dialogo di Religions for Peace Italia, è stata invitata al Terni Film Festival per discutere insieme a due classi delle scuole secondarie di secondo grado, il film Abe, del regista brasiliano Fernando Grostein Andrade.
L’invito, promosso dal docente Duccio Penna, è stato accolto con grande entusiasmo. La coordinatrice Francesca Baldini, insieme a Paola Franci, Anna Di Segni e Domenica Giaco, si sono recate nella cittadina umbra per incontrare i giovani in una proiezione mattutina del film, previsto nel programma del festival e proiettato nei locali della Biblioteca comunale.
Le due classi di giovani, provenienti dal liceo Classico e dal Liceo di Scienze Umane della città, hanno prestato molta attenzione alla visione della pellicola, che inevitabilmente ha suscito curiosità, considerata la giovane età del protagonista. Dopo alcuni momenti di imbarazzo iniziale, i giovani si sono sciolti in commenti e considerazioni in cui è emerso come il ruolo delle religioni oggi, che costellano naturalmente il panorama delle nostre società, non debba essere di costrizione ma al contrario ognuno possa essere libero di professare il credo che preferisce. L’incontro è finito per l’ora di pranzo.
Torna l'ECU Film Festival dedicato al dialogo interreligioso
15 Novembre 2024

Cinema, dialogo interreligioso e pace: torna l’Ecu Film fest
Presentata oggi al Senato italiano la terza edizione della rassegna di film, incontri ed esperienze per le scuole che si terrà a Maenza (Latina) dal 21 al 24 novembre, sul tema “Custodire la speranza in tempi di guerra”. Premio per la comunicazione di pace a Vatican News e a Roberto Cetera
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Dobbiamo bussare a tutte le porte: io sto cercando di andare in Iran, ma non ci riesco. Sono un frate che non ha interessi da vendere, ma solo l’esempio di Francesco, che ha abbracciato e amato il sultano più di 800 anni fa”. Queste le parole di padre Gian Maria Polidoro, 91 anni, il frate minore fondatore dell’Associazione Assisi Pax International e consigliere ecclesiale dell’Ecu Film Fest “Cinema per il Dialogo Ecumenico ed Interreligioso”, che ha presentato questo pomeriggio al Senato della Repubblica, nella Sala Caduti di Nassirya, la terza edizione della rassegna di film, incontri ed esperienze per le scuole, sul tema “Custodire la speranza in tempi di guerra”, in programma dal 21 al 24 Novembre a Maenza (in provincia di Latina). Un evento che vedrà la partecipazione di rappresentanti di dieci tradizioni religiose provenienti da diversi Paesi, cristiani di varie confessioni, ebrei, musulmani, induisti, buddisti, bahà’ì. Durante la cerimonia di inaugurazione, nel pomeriggio del 21 novembre, verrà letto un messaggio di Papa Francesco, a firma del segretario di Stato il cardinale Pietro Parolin, che trasmetterà la benedizione del Pontefice per il Festival e tutti i suoi partecipanti.
Padre Polidoro: tutti possiamo fare qualcosa per la pace
Oggi più che mai, per gli organizzatori, guidati dal regista kosovaro Gjon Kolndrekaj, autore del Video catechismo della Chiesa cattolica e presidente di Ecu Film Fest, “si sente il bisogno di dialogo e di cooperazione tra tutte le confessioni religiose come requisito essenziale per un cammino di pace e di fraternità tra i Popoli”. Seguendo il cammino tracciato da padre Polidoro, che nel febbraio del 1984, con altri tre francescani, anche conventuali e cappuccini, del Centro Internazionale per la Pace fra i Popoli di Assisi, si fece pellegrino a Washington e a Mosca per chiedere in nome di Dio la fine della guerra fredda, incontrando il presidente Reagan e l’allora facente funzione di capo di Stato Kuznestov (Andropov era morto da poco). “Dobbiamo avere la capacità di guardare al domani con grande fede, ognuno di noi può fare qualcosa – ha detto l’anziano francescano alla presentazione - La strada è quella di una civiltà di pace, dobbiamo iniziare un nuovo cammino, fatto di incontro e di ascolto”.
Palmieri (Comunità ebraica): la speranza va sempre coltivata
Eva Ruth Palmieri, per la Comunità ebraica di Roma, commentando il tema del festival “Custodire la speranza in tempi di guerra”, ha sottolineato che “questa speranza di dovrebbe declinare al plurale, per definire le speranze delle diverse comunità di credenti”. E accanto a lumi di speranza e incontro, “nonostante i venti di guerra” ha denunciato il proseguire di episodi tristissimi, come “l’annullamento della proiezione docu-film sulla vita della senatrice Liliana Segre, in un cinema di Milano, per paura di violenze antisemite”. Ma per Palmieri “la speranza va sempre coltivata”.
Le testimonianze dell’imam e dell’arcivescovo anglicano
Dopo di lei l’imam della Moschea di Roma Nader Akkad ha ricordato che il rapporto tra fede ed arte è essenziale, anche in questo clima di violenza. Ha parlato dello zio regista che ha prodotto un film sul profeta Maometto, e descritto la scena del film nella quale “un gruppo di rifugiati musulmani trovano salvezza in Abissinia, accolti benevolmente da un re cristiano. Sono tante le cose che ci legano”. Per l’arcivescovo Ian Ernest, guida del Centro anglicano di Roma, il festival vuole indicare un percorso di speranza, “e come farla emergere in un clima di disperazione come quello attuale”. Ha ribadito l’importanza di “Essere umili e pazienti e non usare la forza fisica contro nessuno, mostrare con le nostre azioni e la vita che pace e dialogo non sono solo concetti ideali”. E’ urgente, ha spiegato, “la ricerca della pace interiore, calma e armonia. La spinta a questi valori viene testimoniata oggi “dalla crescente attenzione dei giovani verso la spiritualità. Grazia al loro desiderio di verità, libertà e speranza, c’è terreno fertile per il futuro”.
Il 23 novembre il convegno interreligioso a Maenza
Infine l’abate Dario Doshin Girolami, del Centro Zen l’Arco di Roma, ha ricordato che nella tradizione buddista è fondamentale “essere pace” per le persone che ci sono attorno. Ha ricordato la sua provenienza da una famiglia di registi: “sono cresciuto nel cinema. Il cinema ha un incredibile potere di muovere emozioni collettive, ed è una splendida idea legarlo al dialogo interreligioso”. Gli stessi relatori saranno protagonisti del convegno “Custodire la speranza in tempi di guerra. Dialogo interreligioso e sicurezza delle comunità”, nel pomeriggio del 23 novembre a Maenza. Insieme a loro ci saranno anche l’archimadrita Symeon Katsinasm, della Chiesa ortodossa greca di San Teodoro al Palatino, per gli induisti Shivaraja Deva, per i bahà’ì Guido Morisco, e per Religions for Peace Italia, partner dell’Ecu Fest, il presidente Luigi De Salvia. Dal Castello Baronale di Maenza, città dove San Tommaso d’Aquino ha trascorso gli ultimi giorni e sede della quattro giorni sarà lanciato inoltre il manifesto “Pace e Uguaglianza tra i Popoli”.
Lo spirito dell’Ecu film fest
L’ Ecu film fest 2024 “Cinema per il Dialogo Ecumenico e Interreligioso” ideato dal regista kosovaro Gjon Kolndrekaj, fondatore di Crossinmedia, coadiuvato dal presidente del Comitato Promotore Paolo Masini, da’ voce ai messaggi di pace provenienti dal mondo del cinema e non solo, un incontro di arti e di voci unite dalla forte ricerca di dialogo. Alla settima arte infatti, si aggiungeranno nel corso della rassegna letteratura, teatro, musica, animazione, diplomazia che unite al mondo delle associazioni internazionali, creano un mosaico che rappresenta il sogno di una convivenza pacifica e solidale. Un approccio che guarda alle nuove generazioni, portatrici di futuro, attraverso il coinvolgimento diretto di ragazzi e ragazze delle scuole primarie e secondarie.
Kolndrekaj: il dialogo tra i popoli, messaggio fondamentale
Gjon Kolndrekaj ideatore della rassegna, ha sottolineato che “insieme a mia moglie Tania Cammarota abbiamo creato tre anni fa questa iniziativa con il privilegio di condividere insieme a Religions for Peace, il Comune di Maenza e l’Associazione Passione di Cristo, il principio dell’uguaglianza tra i popoli. Andiamo avanti perché il dialogo tra i popoli è l’unico messaggio da condividere per una società multiculturale e pacifica”. Per Paolo Masini, presidente del comitato promotore “ Con l’Ecu Film Fest vogliamo dare il nostro piccolo contributo nella costruzione di un mondo di pace. Un terreno di incontro e di confronto che superando gli steccati, ci ricordi che nessuna religione porta con sé un messaggio di guerra e che quello che abitiamo è un mondo che ha una sola razza. Quella umana.”
Il programma dei film in rassegna
Il programma delle proiezioni prevede “Il grande dittatore di Charlie Chaplin”, che apre questo viaggio, con il suo potente monito contro l’odio e la guerra. Quindi “P.O.P. Peace of Peace”, il cartone animato scritto da otto studenti israeliani e otto palestinesi, aiutati da animatori italiani, con musiche di Noah e Rim Banna, e realizzato dall’Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma nel 2004. Due bambini, in groppa a un cammello magico, attraversano i luoghi della guerra, trasformandoli in spazi di gioia e di pace. Una pellicola che indica come il vero conflitto è tra chi vuole la guerra e chi vuole la pace. Poi “I figli di Gjergj Kastrioti Skanderbeg” di Vranin Gecaj ci porta tra le comunità arbëreshë in Italia, che da cinquecento anni mantengono vive le loro radici e tradizioni. Un docu-film che celebra il valore della memoria, della cultura e della fede che resistono al tempo, come un ponte tra popoli e generazioni. E infine “Sarah e Saleem - laddove nulla è possibile”, del regista palestinese Muayad Alayan. Un racconto intimo di un amore proibito tra una donna israeliana e un uomo palestinese a Gerusalemme, che si fa metafora della difficile convivenza tra due popoli. Un richiamo alla necessità di vedere l’altro oltre le divisioni.
I corti dei giovani dello Youth Film Festival
Chiude la rassegna una selezione di cortometraggi, realizzati da giovani di oltre 60 paesi nel mondo per il Youth Film Festival-Salesiani di Don Bosco, il cui direttore artistico è don Harris Pakkam, in collaborazione con Ecu Film Fest. Lo spazio dedicato ai giovani è inotre fitto di incontri, oltre alla Mostra dedicata ai 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi, allestita in collaborazione con l’associazione Aire, sono in programma proiezione di cartoon, film e cortometraggi sul tema della pace.
Per la comunicazione premi a Vatican News e Cetera
Nel corso dell’Ecu Film Fest 2024, gli organizzatori premieranno alcune istituzioni e personalità. Il riconoscimento speciale della Palma Bianca 2024 dell’Associazione Assisi Pax International, di padre Polidoro, viene assegnato alla Croce Rossa Italiana in occasione dei 160 anni dall’istituzione. Per la comunicazione, viene premiato Vatican News, il portale multimediale della Santa Sede, per il suo impegno nel dare voce alle iniziative di dialogo, pace e solidarietà per i conflitti in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente fino alle “guerre dimenticate”. Un riconoscimento per il costante, concreto, incessante impegno in una terra tormentata andrà a padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia francescana di Terra Santa. Verrà premiato anche Roberto Cetera, vaticanista dell’Osservatore Romano, inviato a Gerusalemme. Inoltre, riconoscimenti andranno a Francis Kuria Kagerna, segretario generale di Religions for Peace; “Ditelo sui Tetti” il network per il dialogo con le Istituzioni a tutela della vita e della famiglia.
Riconoscimenti anche per due registi, un’ebrea e un buddista
Per la diplomazia sarà premiato Paul Emile Tsinga Ahuka, ambasciatore straordinario e rappresentante permanente della Repubblica Democratica del Congo presso la FAO, FIDA e PAM. Altri riconoscimenti andranno a Enzo Romeo, caporedattore-vaticanista del Tg2, il presidente dell’Unione coltivatori italiani Mario Serpillo e il presidente della Camera di Commercio Italo - Africa Alfredo Carmine Cestari. L’ambasciatore, con Serpillo e Cestari, sarà protagonista della tavola rotonda “Punti di pace: ruolo dell’Africa nello sviluppo del Mezzogiorno”. E infine riconoscimenti a due registi: Andree Ruth Shammah, attrice e regista teatrale, direttrice del Teatro Franco Parenti di Milano, un luogo in cui, grazie alla sua capacità, convivono mondo laico, cultura ebraica, religione cattolica e musulmana; ed Eros Puglielli, regista e sceneggiatore sia cinematografico sia televisivo, buddista, che ha al suo attivo numerosi cortometraggi di successo e film. Le prestigiose “Chiavi della Città di Maenza”, infine, saranno consegnate dal sindaco Loreto Polidoro a Beppe Ghisolfi, banchiere e uomo della finanza internazionale e al direttore creativo della Maison Gattinoni Guillermo Mariotto.
Al via il Dottorato per la Pace, un progetto unico al mondo
1 Novembre 2024

Ospite nel programma Radio Vaticana con Voi il professor Alessandro Saggioro, Ordinario di Storia delle Religioni alla Sapienza di Roma, l'Ateneo che coordina le 36 Università coinvolte in un progetto unico al mondo, il Dottorato in Studi sulla Pace. Primo nel suo genere in Italia e a livello internazionale, promuove un percorso innovativo di alta formazione e di ricerca interdisciplinare sulle tematiche del conflitto e della pace. Le lezioni inizieranno il prossimo 12 novembre.
Aperto il primo museo al mondo dedicato all’arte e alla cultura Sufi. Reportage da Parigi

27 Settembre 2024
Noto come la corrente mistica dell’Islam, il Sufismo e la sua arte sono i protagonisti del nuovo museo MACS MTO nel sobborgo parigino di Chatou. Si parte con una mostra che mette in dialogo i manufatti e le tradizioni Sufi con l’arte contemporanea internazionale.
“Non potevamo desiderare luogo migliore per dare vita a un luogo che racconti i valori introspettivi e meditativi del Sufismo”. Così risponde Alexandra Baudelot – direttrice e curatrice del Musée d’Art et de Culture Soufis MTO – quando le chiediamo perché scegliere proprio il tranquillo sobborgo di Chatou (giusto 25 minuti con i mezzi pubblici dal ben più trafficato centro di Parigi) per fondare il primo museo al mondo sull’arte e la cultura Sufi. A ospitare il MACS MTO è un edificio dall’architettura ottocentesca francesissima (primo sintomo della volontà di dialogo interculturale del nuovo museo), affacciato sulla Senna e sulla celebre Île des Impressionnistes.
Cos’è il Sufismo
Il Sufismo è noto come la corrente mistica dell’Islam ma, come il museo stesso dimostra, è anche molto di più. Chi segue i precetti Sufi, infatti, è in realtà partecipe di un percorso o di un metodo volto a raggiungere la consapevolezza di sé, che equivale a un’intima relazione con Dio. Questa corrente, del tutto assimilabile a una filosofia religiosa, ha contribuito alla storia dell’arte e dell’artigianato islamico in modo consistente. Proprio per questo motivo, si sentiva la necessità di creare un museo che lo testimoniasse, su iniziativa del MTO (Maktab Tarighat Oveyssi Shahmaghsoudi School of Islamic Soufism), un’organizzazione non profit internazionale che insegna i principi Sufi di amore, unità e armonia a oltre un milione di studenti.
MACS MTO: dove la cultura Sufi incontra l’arte contemporanea
A inaugurare il museo, una mostra distribuita sui tre piani espositivi e intitolata Un Ciel intérieur: i manufatti Sufi della collezione permanente dialogano con le opere di sette artisti contemporanei, differenti per età, provenienza geografica e tecnica. Il percorso comincia al piano rialzato, dove una stanza accoglie quello che possiamo definire un albero genealogico della cultura Sufi: a partire da Allah e passando poi attraverso il poeta Maometto (e quindi dal Corano, di cui è presente in mostra una preziosa e affascinante copia), viene messa in evidenza la successione dei diversi maestri del Sufismo nel corso dei secoli. Una rappresentazione importante, che rende esplicite le profonde radici di questa cultura. Appena oltre si incontra uno dei manufatti più caratteristici del Sufismo: un’installazione, infatti, espone diversi esemplari dei cosiddetti kashkūl, contenitori realizzati con noci di cocco di mare decorate, tradizionalmente utilizzati dai Sufi (e in particolare, dagli asceti di questa corrente, ben noti col nome di “dervisci”). Proprio a questi manufatti (che nella loro forma originaria alludono all’organo genitale femminile) si ispirano i dipinti della tailandese Pinaree Sanpitak (Bangkok, 1961), il cui colore dominante (il rosso) riecheggia gli abiti dei dervisci. Alle geometrie decorative e architettoniche islamiche – e soprattutto a quelle della moschea Shah-Cheragh a Shiraz – sono ispirati i disegni e i mosaici specchianti dell’iraniana Monir Shahroudy Farmanfarmaian (Qazvin, 1922 – Teheran, 2019), mentre Seffa Klein (Phoenix, 1996), nipote del celebre Yves Klein, utilizza il metallo ossidato come pigmento per dipinti infusi delle atmosfere meditative e introspettive della cultura Sufi.
La storia del Sufismo al MACS MTO
Il secondo piano dell’esposizione approfondisce maggiormente la storia del Sufismo, tanto attraverso un video educativo quanto ricostruendo lo studio di Hazrat Shah Maghsoud, 41esimo maestro della scuola MTO, vissuto nel Novecento tra l’Iran e gli Stati Uniti. Al museo di Chatou è possibile prendere visione di una sua lezione (recitata direttamente dall’ologramma del maestro) sui temi dell’esistenza e della devozione. La medesima devozione necessaria per realizzare le tre monumentali opere esposte poco più avanti, raffiguranti un tavolo, un kashkūl e un recipiente noto come sangāb, ciascuno ricavato da un unico pezzo di marmo e finemente lavorato, evocando il processo di “levigatura interiore” dei Sufi.
L’arte contemporanea ispirata al Sufismo
Salendo l’ultima rampa di scale a chiocciola, invece, si incontrano altre opere d’arte contemporanea, come quelle della sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986), che con le sue installazioni esplora le intersezioni tra mondo naturale e antropico, oppure l’arazzo siliconico dello zimbabwese Troy Makaza, ispirato al percorso di conoscenza interiore Sufi. A spiccare sono però le sculture in vetro soffiato di Chloé Quenum (Parigi, 1983): la traslitterazione araba delle parole safā (limpidezza), samāʿ(ascolto spirituale) e sūf (lana) – tre termini chiave per la cultura Sufi – si trasformano in opere dall’aspetto organico ed evocativo. Chiude la mostra una serie di opere che l’artista marocchino Younes Rahmoun (Tétouan, 1975) ha installato in modo da essere visibili solamente prendendo l’ascensore, ricreando il percorso di ascesa spirituale promossa dal Sufismo.
Alberto Villa
"Immaginare la Pace": costruire un futuro più giusto e pacifico

25 Settembre 2024
Si è concluso nella storica piazza di Notre-Dame a Parigi l’evento “Immaginare la Pace”, un incontro che ha visto riuniti uomini e donne di diverse religioni e culture, con un unico obiettivo: costruire un futuro più giusto e pacifico. La scelta di Notre-Dame come luogo di chiusura ha toccato il cuore di molti, riportando alla memoria le emozioni vissute dopo l'incendio del 2019.
L’Arcivescovo di Parigi, Laurent Ulrich, ha aperto la cerimonia, sottolineando come Parigi, città che ha già visto tanti momenti di riconciliazione, possa tornare ad essere un simbolo di speranza. Le sue parole hanno invitato tutti a guardare oltre le divisioni, perché il dialogo tra le religioni è la chiave per costruire ponti duraturi.
Uno dei momenti più commoventi è stata la testimonianza di Gilberte Fournier, una donna di 93 anni che ha raccontato la sua infanzia durante la Seconda Guerra Mondiale a Parigi. Le sue parole, piene di dolore ma anche di speranza, ci hanno ricordato quanto sia importante non dimenticare gli orrori del passato. Gilberte ha lanciato un forte appello ai giovani: "Non lasciatevi convincere che la guerra sia inevitabile. Custodite e fate crescere la pace che la mia generazione ha immaginato dopo la guerra". Un’eredità preziosa, consegnata nelle mani delle nuove generazioni.
Non è mancato il messaggio di Papa Francesco, che ha ricordato come il cammino della pace sia lungo e impegnativo, ma indispensabile per costruire una società che rispetti la dignità umana e promuova la giustizia. "Non arrendiamoci alla logica della guerra e della divisione", ha esortato il Papa, incoraggiando tutti a continuare a lavorare per la riconciliazione e la fraternità.
La cerimonia si è conclusa con l'intervento del Presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, che ha ringraziato i tanti partecipanti per aver condiviso, in questi tre giorni, il coraggio di immaginare la pace. Impagliazzo ha ricordato che la pace è un’idea che si costruisce giorno dopo giorno, attraverso l’incontro e il dialogo. "In questi giorni abbiamo parlato di bambini che sognano la pace e di popoli che resistono alla guerra", ha detto, invitando tutti a portare avanti questo sogno.
E così, tra le parole di speranza e i volti commossi dei partecipanti, si è chiuso un evento che lascia un messaggio chiaro: la pace è possibile, ma richiede il nostro impegno. Ci vediamo il prossimo anno, a Roma, per continuare insieme questo cammino!
Le religioni alla prova della globalizzazione
Una tavola rotonda organizzata da ResetDOC con esperti ed esponenti di diverse tradizioni religiose è stata la tappa milanese del progetto scientifico internazionale V-Theo.net, che vuole analizzare il pluralismo sotto il profilo teologico

Da: https://www.chiesadimilano.it/news/attualita/incontro-pluralismo-religioso-resetdoc-2815611.html
24 Settembre 2024
Un grande progetto di ricerca sulle teologie del pluralismo nelle diverse religioni. È quello che, promosso da ResetDOC, con il titolo V-Theo.net, è stato presentato a Milano, presso l’Auditorium di San Giorgio al Palazzo, in una Tavola Rotonda alla quale hanno preso parte esperti del panorama internazionale ed esponenti religiosi di diverse tradizioni. L’incontro è parte di un progetto scientifico di vasto raggio, appunto, V-Theo.net (www.resetdoc.org), che analizza il pluralismo sotto il profilo teologico ed esplora i cambiamenti indotti nella religione dalla globalizzazione. Avviata due anni fa, l’iniziativa ha già dato luogo a seminari dedicati all’Islam – tenutisi a Birmingham e a Sarajevo, di cui Milano ha rappresentato il terzo e ultimo appuntamento -, al Cristianesimo Ortodosso, tenutosi a Volos in Grecia, e sarà seguito da altri eventi dedicati al Protestantesimo e all’Ebraismo a Washington nel febbraio del 2025.
Comprendere il pluralismo religioso
A presentare l’iniziativa è stato il giornalista Giancarlo Bosetti co-fondatore, nel 2004, di ResetDOC-Reset Dialogues on Civilizations, associazione internazionale indipendente, senza scopo di lucro e apartitica.
«In tutte le religioni ci sono nemici del dialogo, perché questo può essere in contrasto con l’annuncio di cui si fa portatrice ogni singola fede. A noi interessano il dialogo e i suoi fautori, ma anche i suoi negatori, perché questo ha una grande influenza sulla vita pubblica. Ci sono progressi e regressi, ma vogliamo esplorare questi temi con lo strumento della conoscenza», ha spiegato Bosetti, seguito da José Casanova dell’Università statunitense di Georgetown e da Jocelyne Césari – impegnati entrambi nel progetto e membri del Comitato scientifico – anch’ella docente nello stesso Ateneo e presso l’Università di Birmingham. «Il nostro scopo», ha sottolineato, «è vedere come le religioni si interfacciano tra loro su diverse questioni. Per questo guardiamo tutte le fedi dal punto di vista comparativo».
Dal riferimento al Vaticano II e alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ha preso le mosse il breve intervento di Casanova. «Il pluralismo religioso è inevitabile nelle diverse società e il modo di rispondervi riguarda le nostre fedi. Riconoscere gli altri ha che fare con la differenza tra religioni vere e false».
«Il tema del destino dell’altro e di chi possa accedere alla salvezza, ha un impatto profondo sul modo di costruire le società», ha spiegato Martino Diez, professore associato di Lingua e Letteratura araba in Cattolica, direttore scientifico della Fondazione Oasis voluta dal cardinale Angelo Scola 20 anni fa per comprendere gli Islam e avviare dialoghi proficui tra le due sponde del Mediterraneo e che collabora con ResetDOC.
La visione ebraica
«Il dialogo interreligioso è una novità degli ultimi decenni: una volta non solo non si dialogava, ma si andava molto più in là. Dopo il Concilio, il dialogo tra ebrei e cristiani ha prodotto frutti importanti, primo tra tutti svelare i pregiudizi che hanno dato luogo a esperienze terribili, ma nel dialogo non c’è niente di definitivamente dato e superato. I pregiudizi riemergono», ha evidenziato Alfonso Pedatzur Arbib, rabbino capo della comunità ebraica di Milano.
«Un detto rabbinico dice che un po’ di luce scaccia il buio, e quindi basta un po’ di luce, ma il Mussar (il movimento educativo, etico e culturale fondato nel XIX secolo dal rabbino e talmudista Israel Salanter nell’Europa orientale n.d.r.), predica che il buio non se ne va, semplicemente si nasconde. Stiamo vivendo un momento terribile di guerra e questo incide sul dialogo interreligioso: molti non sono convinti che vi possa essere un dialogo dal punto di vista teologico, ma semmai che esso è possibile sul “Tikkun Olam”, traducibile con il miglioramento del mondo».
E così, ha proseguito Arbib, «se la preghiera, in tutte le religioni, è profondamente identitaria per cui quella comune è molto complicata», si può, tuttavia, «collaborare sulle “opere d’amore” occupandosi del prossimo e tentando di capire di cosa hanno bisogno gli altri».
Come a dire, mettersi in contatto è fondamentale, secondo quello stile che il rabbino capo definisce dell’«empatia».
«Per noi ebrei questo è stato un anno temendo nel quale abbiamo sentito una scarsità di empatia, con una rinascita dell’antisemitismo che non credo abbia avuto un’attenzione sufficiente e che è grave perché ripropone i pregiudizi in Europa e in Italia. Questo ci pone delle domande sul dialogo che non è solo teologico o per fare del bene, ma che dovrebbe portare a sentire la gioia e la sofferenza dell’altro».
Bressan: il dialogo e le sfide del cambiamento
Due le sfide che propone il vicario episcopale e presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Diocesi, monsignor Luca Bressan.
«Dal punto di vista della Chiesa cattolica ambrosiana, si tratta di aiutare i cristiani, a partire dalle pratiche, a comprendere come la città sia cambiata e stia cambiando, e che linguaggio costruire di fronte a pregiudizi riferiti alle religioni che emergono, però, in un contesto senza fede».
Quattro le pratiche suggerite. «La conoscenza reciproca e il riconoscimento – come vicario episcopale ho imparato che si tratta di frequentarci -; costruire eventi insieme, come quello promosso dal Forum delle Religioni presso la Statale, dopo il Covid per comprenderne la tragedia; sviluppare il dialogo culturale e teologico e organismi quali il Forum delle Religioni stesso». Il ricordo va a don Giampiero Alberti, cofondatore del Forum e grande tessitore del confronto con l’Islam, scomparso il 5 settembre scorso. «Al momento del saluto ci siamo accorti come la sua vita abbia creato una rete di dialogo straordinaria», spiega monsignor Bressan alludendo alla partecipazione di tanti amici musulmani alle esequie.
Il riferimento è anche alla Consulta interreligiosa promossa a livello regionale «che ci permette di far vedere la forza delle religioni» e alla scelta di uno spazio nell’area Mind dedicato alle fedi e al dialogo.
E tutto questo con tre compiti: «imparare a ricomprendersi, come la Diocesi sta facendo riconoscendosi Chiesa dalle genti; lavorare insieme per capire come incontrarsi, interrogandosi sulla nostra identità nel quotidiano e annunciare Dio e la sua importanza dentro le differenze».
Basti pensare – aggiunge, infine, Bressan – che «nel IV secolo anche Ambrogio, trovandosi vescovo di una città che conosceva un cristianesimo frammentato, ha costruito legami che ancora oggi fanno la nostra identità: quella di una Chiesa che porta il suo nome».
Il confronto sul pluralismo oggi
Dalla «perversa corrente in atto di delegittimazione del pluralismo e della pari dignità delle persone» si avvia l’intervento di Yahya Pallavicini, imam della moschea milanese Al-Wahid e vicepresidente della Coreis-Comunità Religiosa Islamica Italiana. «Oggi si misconosce la dignità del credente in un’altra religione, lo si tollera come figlio di un Dio minore o, addirittura, lo si considera un selvaggio da educare e un essere inferiore».
Altrettanto pericolosi, secondo Pallavicini, «il relativismo e il sincretismo» vissuti con indifferenza per le specificità «per cui occorre negarle per volersi bene».
«Tutto questo ha a che fare con l’incapacità di comprendere il pluralismo che, nell’Islam, è un riflesso misterioso ed evidente della dimensione dell’unità. Ci sono linguaggi differenti all’interno di una lingua e ci sono diverse lingue e diversità nell’interpretare fatti e figure, ma bisogna riuscire a cogliere ciò che ci avvicina, rispettando ciò che è differente senza usare il metodo perverso del giudizio e della sentenza. Il confronto sul pluralismo è utile a tutti», scandisce l’imam che porta l’esempio di alcuni allarmanti segnali «che giungono dal nostro interno sunnita e che dicono che non si deve più dialogare con ebrei e rabbini, con gli sciiti o i non credenti, altrimenti non siamo più buoni musulmani. La diversità diventa sentenza di delegittimazione anche all’interno di una singola fede. Il compito dei religiosi e dei teologi è distinguere i piani portando avanti un obiettivo di pacificazione e cogliendo la profondità dello Sirito con rispetto per l’altro».
L’articolo 8 della Costituzione
Chiarissima anche la posizione espressa da Sophie Langeneck, pastora della Chiesa metodista di Milano. «Siamo, come protestanti, una comunità con una forte vocazione interculturale e su questo ci interroghiamo anche al nostro interno. Il dialogo interreligioso è la rete dei pescatori che deve essere ripulita e rammendata se ha degli strappi. Il primo passo pratico del dialogo è stare insieme e adoperarsi per trovare spazi in cui si possa comunque parlarci e questo è ciò che avviene nel Forum delle Religioni di Milano», osserva la Pastora che indica «un altro passo da fare: svolgere il ruolo di advocacy per un Paese plurale» che applichi l’articolo 8 della Costituzione italiana. «Noi vorremmo persino un superamento di questo articolo – “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” – che apra più ampiamente alla libertà religiosa. Una quarta pratica è la lotta al fondamentalismo, non quello degli altri, ma il nostro».
«Qualcosa» non funziona
Al termine sono Paolo Branca, docente di Storia dell’Islam in Cattolica e Mohamed Baghdad, fisico atomico impegnato in varie realtà di confronto interreligioso, a portare le loro testimonianze di dialogo concreto con Branca che subito osserva. «Si impara più da chi ci si oppone che dagli amici, da uno schiaffo che da una carezza e non passa giorno in cui non parlo arabo con qualcuno per strada senza problemi». Questo è il mio punto di vista personale, ma da quello istituzionale c’è qualcosa che non funziona. Un “qualcosa” dietro al quale, se analizziamo oltre la superficie, ci sono singoli, e sempre più anche gruppi, concentrati sui temi identitari e che vogliono che non esistessero nemmeno alcune categorie di persone».
AFRICA/CONGO RD - L’impegno delle confessioni religiose per la pace nel Sud Kivu

23 Settembre 2024
Kinshasa (Agenzia Fides) – Si è chiuso con una nota di speranza l’importante incontro interreligioso per la pace che si è tenuto il 21 settembre a Bukavu, capoluogo del Sud Kivu, una delle tre provincie dell’est della Repubblica Democratica del Congo, da decenni tormentate dalle violenze commesse da decine di gruppi armati.
Il meeting si tenuto presso l’arcivescovato della città ed ha visto la partecipazione di rappresentati di diverse confessioni religiose dell’intera provincia ecclesiastica di Bukavu (cattolici, kimbanguisti, musulmani, cristiani ortodossi, chiese del risveglio, anglicani, protestanti, Esercito della Salvezza, Unione delle Chiese Indipendenti), così come quelli della diocesi di Cyangugu, in Ruanda.
La partecipazione di rappresentati ruandesi è particolarmente significativa e importante. Il governo del Ruanda è accusato da quello congolese di fornire appoggio ai gruppi di guerriglia operanti nella RDC, in particolare all’M23, attivo soprattutto nel Nord Kivu. A sua volta Kigali accusa Kinshasa di tollerare da decenni la presenza sul suo territorio della Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR), considerate emanazione del vecchio regime ruandese responsabile del genocidio del 1994.
Lo sforzo di dialogo di tutte le confessioni religiose è stato lodato dal governatore del Sud Kivu, che ha sottolineando l'importanza della collaborazione tra le autorità civili e le fedi religiose per stabilire una sistema di governo esemplare. Unendo la sua voce a quella dei leader religiosi, il governatore ha ricordato che la costruzione della pace e del buon governo richiede il coinvolgimento di tutti, al di là delle differenze politiche o spirituali.
Nel corso dell’incontro si è affrontata anche l’altra emergenza che sta vivendo quest’area della RDC, l’epidemia di Mpox (il cosiddetto “vaiolo delle scimmie”). Il dottor Deogratias Cigwerhe, specialista in materia, ha fornito un'anamnesi dettagliata della malattia, determinandone l'origine, le modalità di trasmissione e le misure preventive da adottare per limitarne la diffusione. Il suo intervento ha permesso di sensibilizzare i partecipanti sui pericoli posti dalla malattia e sull’importanza degli sforzi collettivi per prevenirla. (L.M.) (Agenzia Fides 23/9/2024)
Conferimento del riconoscimento a Claudio Caramia

16 Settembre 2024
Le religioni per la pace e e le guerre di religione
Se avessimo litigato saremmo andati su tutti i telegiornali e su tutti i giornali. Ma poiché dialoghiamo e lavoriamo insieme per la pace ecco che nessun giornalista, nonostante gli inviti, è venuto a vedere cosa succedeva. E' stato premiato Claudio Caramia, un triestino che da 25 anni ha tessuto il dialogo e l'incontro tra le diverse religioni. Ha fondato a Trieste la sezione di "Religions for Peace" e da Roma il presidente Luigi De Salvis è venuto; e pure il Prefetto del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, il Card. Miguel Angel Ayuso Guixot, ha inviato una bellissima lettera.
Ci siamo stretti attorno a Claudio e ai suoi familiari nella sala della Comunità religiosa serbo ortodossa, e siamo stati elevati al Signore con i canti del Coro della Chiesa di San Spiridione. Come una grande famiglia che apre il suo cuore a Dio e chiede pace per il mondo intero. Moderati da Lidija Radovanovic, c'è stato un susseguirsi di interventi di vari rappresentanti religiosi che hanno raccontato aneddoti o si sono espressi sul difficile compito di promuovere la pace. E sul fatto che Dio ci chiederà: "cos'hai fatto tu, mentre si combattevano quelle terribili guerre, per coltivare la pace?". Ne faccio l'elenco perché sappiate di quanto è stato emozionante trovarci insieme, e non a litigare, ma a rendere omaggio a chi è operatore di pace da tanti anni tra le comunità religiose di Trieste. A me, come Vescovo di Trieste, è toccato iniziare. Ma poi don Valerio Muschi, Responsabile dell'Ufficio Ecumenismo e dialogo interreligioso della diocesi di Trieste. Poi il presidente della comunità Islamica di Trieste, Omar Akram; il pastore delle Chiese valdese e metodista Peter Ciaccio; il Segretario del Centro spirituale Baha'I, Maura del Puppo; Componente relaz. esterne dell'Istituto Buddista Soka Gakkai, Vanessa Florit; il CApo Rabbino della Comunità ebraica di Trieste, Eliahu Alexander Meloni; il Rev.mo Archimandrita della comunità greco-orientale di Trieste, p. Gregorius Miliaris; il Rev.do protopresbitero della Comunità Serbo-ortodossa di Trieste, p. Rasko Radovic; Presidente del Centro Buddista tibetano Sakya, Malvina Savio; il rappresentante della Chiesa cristiana avventista del 7° giorno di Trieste, Eliseo Testa (che ha raccolto il testimone da Claudio Caramia per il ruolo di presidente Reiligion for Peace di Trieste). E poi il saluto di mons. Ettore Malnati, del Presidente Luigi de Salvia. E la presenza spirituale di p. Valentin Tarta, presbitero della Chiesa Romeno-ortodossa.
Impariamo tutti da Claudio a saper gettare ponti, a saper tessere dialoghi, a coltivare stima pur nelle differenze che restano ma che non ci impediscono di costruire la pace e di lavorare insieme per la giustizia.
Digiuno federale, Festa del ringraziamento in Svizzera

13 Settembre 2024
Il testo del Consiglio elvetico delle religioni in vista dell’appuntamento di domenica 15 settembre
La festa federale di ringraziamento, chiamata anche digiuno federale o, in modo più esteso, festa federale di ringraziamento, pentimento e preghiera è una festività religiosa e civile interconfessionale svizzera. La si festeggia annualmente la terza domenica di settembre, in tutta la Confederazione, ad eccezione del cantone di Ginevra, dove viene celebrata il giovedì seguente la prima domenica del mese. Affonda le radici a partire almeno dal XVI secolo e ad essa è collegata una intensa attività di dono e solidarietà.
In una intervista sul portale ufficiale Rita Famos, presidente della Chiesa evangelica riformata svizzera, sottolinea l’importanza del ruolo delle comunità religiose di fronte alle minacce che attualmente gravano sulla democrazia, sui diritti umani e sulla libertà nel mondo. In occasione del digiuno federale del 15 settembre 2024, ha pubblicato, con il Consiglio svizzero delle religioni (SCR), una dichiarazione congiunta accompagnata da una preghiera.
«Il Digiuno Federale offre a noi, rappresentanti delle comunità musulmane, ebraiche e cristiane della Svizzera, una preziosa occasione per riflettere e riflettere sulle responsabilità che condividiamo e sulle opportunità di cui beneficiamo.
La Svizzera ci dà così tanto di cui essere grati e grati. La Svizzera è un paese di pace, un paese di neutralità politica, un paese risparmiato dalla guerra per molti anni. Il nostro tenore di vita è uno dei più alti al mondo; il nostro sistema sanitario è eccellente, il nostro sistema formativo integrativo è rivolto al futuro e una forte rete raccoglie e sostiene bambini e pensionati, malati e bisognosi. Il nostro processo democratico di partecipazione diretta, la nostra diversità culturale e la grande tolleranza che regna tra culture, religioni e stili di vita diversi tra loro sostengono la pace sociale e religiosa del nostro Paese. Il nostro ambiente di vita piacevole, la nostra politica stabile, la nostra prosperità economica e la nostra diversità culturale costituiscono un quadro che consente agli esseri umani di prosperare. Vivere in Svizzera è un dono!
Tuttavia, vivere in Svizzera è più di un dono, perché la nostra democrazia, la nostra pace religiosa e la nostra cultura liberale e tollerante non sono cadute dal cielo: sono il frutto di processi di apprendimento lunghi, dolorosi e talvolta sanguinosi. Tuttavia, ovunque nel mondo, la democrazia, i diritti umani e la libertà sono minacciati dall’ostilità, sfruttata politicamente, diretta contro i gruppi. Se vogliamo mantenere questi progressi, non possiamo darli per scontati, ma dobbiamo lottare contro la misoginia, contro l’antisemitismo, contro l’islamofobia, contro l’ostilità verso le Chiese, contro il razzismo e contro il nazionalismo. Quando le nostre comunità religiose promuovono tali atteggiamenti e ideologie, o si lasciano sfruttare da essi, come comunità di credenti, siamo colpevoli. La nostra fede ci dà orientamento spirituale, ma ci affida anche la responsabilità verso il nostro prossimo, soprattutto quando questo prossimo ci è ancora estraneo.
Spinti dal riconoscimento e dall’impegno che questo riconoscimento comporta, noi, rappresentanti delle comunità e delle Chiese musulmane, ebraiche e cristiane della Svizzera, vogliamo contribuire alla pace e all’equità nella nostra società. Possa questo giorno di digiuno federale ispirare tutti noi a impegnarci per la pace e il benessere dell’intera comunità. Invitiamo le nostre Chiese, le nostre comunità religiose e gli uomini e le donne di buona volontà a dire le seguenti parole per farne la base della loro preghiera.
Dio che ci ama,
Siamo uniti dai nostri desideri e dalle nostre speranze e veniamo da religioni diverse. Vi esprimiamo la nostra gratitudine per i numerosi privilegi di cui godiamo in Svizzera: godiamo di pace, prosperità e libertà di vivere le nostre convinzioni.
Sappiamo che non dimostriamo ancora sufficiente responsabilità verso la vostra Creazione e i vostri valori. A volte dimentichiamo quanto stiamo bene e non riusciamo a vedere coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. Riconosciamo i nostri errori e ti chiediamo di perdonarci e di darci la forza per fare meglio.
Fateci opporci a tutto ciò che crea disprezzo per l’uomo. Donaci il coraggio di alzare la voce contro l’odio, il razzismo e l’ingiustizia. Rendici strumenti della tua pace, facci riflettere il tuo amore e la tua bontà.
Grazie per averci ascoltato e accompagnato in questo percorso».
I firmatari
Mons. Felix Gmür, presidente della Conferenza episcopale svizzera CES
Önder Günes, presidente della Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera FOIS
Rita Famos, pastore presidente del Consiglio della Chiesa evangelica riformata della Svizzera EERS
Ralph Friedländer, presidente della Federazione svizzera delle comunità ebraiche FSCI
Frank Bangerter, vescovo eletto della Chiesa cristiana cattolica svizzera ECCS
Farhad Afshar, presidente del Coordinamento delle organizzazioni islamiche svizzere CIOS
Metropolita Maxime della Svizzera, Metropolita della Svizzera (Patriarcato ecumenico)
Jean-Luc Ziehli, pastore Presidente di SEA-RES e Freikirchen.ch
Cosa ha spinto lei e il Consiglio svizzero delle religioni a rilasciare una dichiarazione congiunta in occasione del digiuno federale?
Nel corso della sua storia, il Digiuno Federale ha sempre avuto due funzioni: la preghiera in tempi di crisi e, dal 1848, la mediazione tra le fedi. Oggi questi due aspetti sono più attuali che mai: le persone devono superare numerose crisi e la convivenza tra le comunità religiose in Svizzera è soggetta a forti pressioni e odi. In un momento in cui la polarizzazione e le divisioni aumentano in molti Paesi, è fondamentale dare un segnale forte di comunità. La dichiarazione interreligiosa deve mostrare chiaramente che noi, rappresentanti di fedi diverse, abbiamo una responsabilità comune per la pace sociale. Ciò che ci unisce non è solo la fede in Dio, ma anche la convinzione che dobbiamo impegnarci insieme per il benessere di tutti gli esseri umani nella nostra società.
La dichiarazione parla di minaccia alla democrazia, ai diritti umani e alla libertà in tutto il mondo. Le comunità religiose hanno una responsabilità particolare a questo riguardo?
Assolutamente sì. Le religioni non hanno solo la missione di fornire guida spirituale, ma hanno anche una responsabilità sociale ed etica. I valori della giustizia, della dignità umana e della libertà sono profondamente radicati nella fede. Quando questi valori sono minacciati in tutto il mondo, sia dal nazionalismo, dall’intolleranza o dall’ostilità verso determinati gruppi di persone, persone di fede o membri di religioni diverse, come comunità religiose, non possiamo tacere. È nostro dovere prendere posizione, sia a parole che con i fatti, e chiarire che tali sviluppi sono in contraddizione con i nostri valori fondamentali. Non si tratta di esercitare un’influenza politica, ma di difendere ciò che consideriamo sacro e indispensabile: la vita e la dignità di ogni essere umano.
La dichiarazione afferma inoltre che la nostra società è il prodotto di dolorosi processi di apprendimento. Cosa ti dà speranza di fronte alle attuali sfide globali?
Ciò che mi dà speranza è il profondo desiderio di molte persone e comunità di cercare insieme soluzioni nonostante le difficoltà. Come dimostra la storia, le crisi più grandi sono anche momenti di trasformazione e di crescita. La generazione di oggi è più connessa e informata che mai. C’è una crescente sensibilità verso temi come la giustizia sociale, la sostenibilità e i diritti umani. La cooperazione interreligiosa è un segno che possiamo trovare un percorso comune al di là delle nostre differenze. Credo fermamente che lo spirito umano, ispirato dalla fede e dall’amore per il prossimo, troverà i mezzi per affrontare le sfide.
La dichiarazione sottolinea che la fede ci impegna non solo spiritualmente, ma anche socialmente. Quale consideri la sfida più grande per la Chiesa nell’attuazione di questa missione?
La sfida più grande è portare la fede nella vita quotidiana della nostra società. Viviamo in un mondo spesso segnato dall’individualismo e dalla ricerca della realizzazione personale. In una società del genere non è facile trasmettere il messaggio di solidarietà, perdono e amore per il prossimo. Molte persone stanno prendendo le distanze dalle istituzioni, compresa la Chiesa. Il nostro compito come Chiesa è rimanere rilevanti e raggiungere le persone dove si trovano. Ciò significa che dobbiamo anche trovare nuovi modi per tradurre la nostra responsabilità sociale in azioni concrete, sia attraverso il lavoro educativo, i progetti sociali o l’impegno per la giustizia e la pace. Per fare questo, non dobbiamo fare affidamento esclusivamente sull’istituzione della Chiesa, ma incoraggiare tutte le persone di fede a diventare attive.
Qual è il significato speciale del digiuno federale per te e per la Chiesa riformata svizzera?
Per me questa giornata è un momento di pausa. In un mondo in cui tutto si muove molto velocemente e dove spesso ci manca una prospettiva sull’essenziale, il Digiuno Federale ci offre l’opportunità di fermarci, riflettere ed esprimere la nostra gratitudine per tutto ciò che abbiamo. Per la Chiesa riformata svizzera questa giornata è anche un segno della nostra responsabilità all’interno della società. È un giorno in cui realizziamo il nostro ruolo, come voce a favore della giustizia e come comunità attivamente impegnata per la pace. In una società pluralistica, questa giornata è il simbolo che la religione non divide, ma unisce invitando alla riflessione comune su valori e responsabilità.
Guardando al futuro, come vede il ruolo della Chiesa in una società sempre più pluralistica e come possiamo noi, come credenti, svolgere la nostra parte nel promuovere la pace e la giustizia?
In una società pluralistica, la Chiesa rimarrà rilevante solo se sarà aperta e pronta al dialogo. Non si tratta di scendere a compromessi a scapito della fede, ma di entrare in dialogo con altre religioni e visioni del mondo, mostrando chiaramente i nostri valori e le nostre convinzioni. Per il futuro della Chiesa, vedo due missioni centrali: da un lato, dobbiamo continuare a offrire luoghi di rifugio spirituale e di dialogo dove le persone possano trovare risposte alle domande urgenti del nostro tempo. D’altro canto, dobbiamo agire concretamente nel mondo, impegnarci per la giustizia, opporci all’ingiustizia e aiutare chi ha più bisogno di sostegno. Solo così potremo rimanere credibili come credenti e dare un contributo reale alla pace.
CEDRO FESTIVAL -
CALABRIA E' CONVVENZA
8 Settembre 2024

CALABRIA -
Una marcia per la convivenza
«Calabria è convivenza». È lo slogan dietro il quale centinaia di persone hanno sfilato a Santa Maria del Cedro (CS), nella serata conclusiva del Cedro festival. Frutto caratteristico della regione, ma anche simbolo della festa ebraica di Sukkot.
Il messaggio inclusivo dell’evento è stato fatto proprio dalla presidente Ucei Noemi Di Segni e del vicepresidente dell’Unione Giulio Disegni, entrambi presenti all’iniziativa insieme ai rappresentanti delle principali confessioni religiose del territorio, tra cui cattolici, valdesi, greco-ortodossi, buddisti e islamici. Con loro anche il referente della Sezione ebraica di Palmi Roque Pugliese e Menachem Lazar, rabbino del movimento Chabad.
La Calabria è da tempo al centro dell’attenzione delle istituzioni dell’ebraismo italiano, ha spiegato Disegni nel ricordare le iniziative intraprese negli anni sotto l’egida del “Progetto meridione”, per valorizzare i luoghi ebraici calabresi e il suo antico retaggio dopo secoli di rimozione. «La risposta anche questa volta è stata importante, con una partecipazione significativa di leader religiosi, sindaci e tanti comuni cittadini»
«Ciascun oratore ha portato una sua riflessione sul valore del dialogo, del confronto e della necessità di conoscere l’altro. A poco meno di un anno da un evento che ha stravolto il mondo e le coscienze di ognuno di noi come il 7 ottobre, in un periodo di crescita esponenziale dell’odio e dell’antisemitismo, c’era il bisogno di un momento di riflessione comune come questo». Il Cedro festival e la marcia per la convivenza sono stati anche l’occasione per rafforzare il dialogo con gli amministratori locali.
Donne di Fede per la Pace, unite per guarire le ferite delle guerre

31 Agosto 2024
Si conclude a Montagnaga, in Trentino, l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, fondato da Lia Beltrami per riunire donne di diverse fedi con l'obiettivo di rompere i muri del pregiudizio e dell'odio trovando nuovi modi di costruire il dialogo nella vita quotidiana in zone di conflitto
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Ha proposto diversi laboratori sul tema della pace, una preghiera interreligiosa e una “Cucina di pace” l’incontro organizzato dal movimento Women of Faith for Peace, assieme ad altre realtà, a Montagnaga, in provincia di Trento, e che si conclude oggi. Una quarantina di persone di diverse generazioni si sono ritrovate da venerdì 30 agosto, per tre giorni di convivenza, “per riflettere in profondità sul senso e il significato della pace”, interrogandosi su “Quale pace in un mondo in guerra?”. Women of Faith for Peace, movimento nato 15 anni fa a Gerusalemme per diffondere un’esperienza straordinaria di pace vissuta concretamente, per rompere i muri del pregiudizio e per trovare nuovi modi di costruire un vero dialogo nella vita quotidiana, in zone di conflitto così come in Paesi che vivono situazioni di tensione e in ogni tessuto comunitario, ha coinvolto in questa iniziativa, con il supporto di Fondazione Caritro, l’associazione Shemà, Emotions to Generate Change, Lead Integrity. La fondatrice di Women of Faith for Peace è Lia Beltrami.
Lia Beltrami, che contributo specifico possono dare le donne di fede per promuovere la pace?
Le donne che vivono una dimensione di fede possono dare molto nel percorso di riconciliazione. Un popolo spaccato, due popoli l’uno contro l’altro, generano delle ferite incommensurabili che solo tanta tenacia e solo un approccio femminile creativo possono aiutare in un percorso di guarigione. Quindi, le donne devono essere consapevoli e andare a fondo nella loro direzione di fede e anche in questo percorso di accoglienza e abbraccio che guarisce. In particolare, nel mondo di oggi dove i conflitti sembrano così forti e un po’ si perde la speranza e le persone che sono impegnate nel cammino di pace perdono un po’ anche l’entusiasmo, allora è questo il momento che con Donne di Fede per la Pace, come persone che ci credono, dobbiamo impegnarci più fortemente per riaccendere la fiamma che c’è negli operatori e nelle operatrici di pace, perché poi ognuno sa che cosa deve fare nel proprio ambiente. Però dobbiamo sentirci uniti e dobbiamo capire che proprio la luce che è dentro di noi è una luce che può splendere e non deve fermarsi in questa doppia guerra, perché è una guerra fisica ed è una guerra di parole, è una guerra di comunicazione, è una guerra che rende sordi e incapaci spesso di sentire e trovare delle vie per andare avanti.
Tra i promotori dell’evento c’è anche il Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest’anno ha deciso di conferire il Premio Pellegrino di Pace - assegnato da trent’anni - a Women of Faith for Peace. Il presidente Caterina Costa, ha illustrato ai media vaticani i contenuti sviluppatisi in questi giorni.
Caterina Costa, confrontarsi sulla pace in un momento in cui preoccupano diversi focolai di guerra, quali i vostri obiettivi?
Ci stiamo interrogando su questo aspetto e ognuna di noi ha esposto le proprie considerazioni sugli elementi che caratterizzano la pace. Riconosciamo che non ci sono soluzioni chiare e definite per ogni situazione. Ciò che unisce in questi incontri è la volontà innanzitutto della condivisione e dell'ascolto, mettersi proprio in un ascolto empatico con chi queste situazioni di guerra le sta vivendo.
Quali gli elementi comuni emersi?
Innanzitutto una visione di pace che è armonia. Quando si crea armonia in un contesto, in un Paese, in una comunità, questo sicuramente è ciò che definisce, per la maggior parte di noi, il senso della pace. Poi come si raggiunge questa armonia è sicuramente qualcosa di più complicato, ma quello che è emerso, da parte di tutti, è la ricerca della giustizia. Il fatto di essere in grado di condividere e di ascoltare, mettersi in ascolto dell'altro, sospendendo il giudizio, cercando di superare anche il pregiudizio.
Quale contributo possono offrire oggi le donne per la pace nel mondo?
Le donne possono fare tanto. Purtroppo, a volte, la donna rimane un po’ ai margini dei luoghi in cui poi si decidono effettivamente le cose. Ma io, anche per la mia esperienza, soprattutto in Africa, posso dire che la donna, anche quando non ha un ruolo di potere è il motore del cambiamento. Sin dalle piccole cose, dalle piccole azioni, è, veramente, strumento che può apportare un vero cambiamento, a partire dalle piccole comunità sino ai grandi luoghi di potere. Ci si augura che il ruolo femminile, all'interno di questi contesti, possa sempre crescere, sostenendo appunto le donne. Il contributo che si può dare è proprio sostenerle soprattutto in quei luoghi in cui quel diritto di autoaffermazione viene negato, rendendolo, poi, anche sempre visibile, parlandone, non lasciando che alcuni contesti, alcune situazioni, cadano nell'oblio. Sicuramente la sensibilizzazione è uno strumento importante per fare in modo che certe situazioni non vengano dimenticate.
Da questo incontro come ripartire?
Sicuramente con una più forte determinazione. Questi momenti di condivisione, di ascolto, lo stare insieme, il condividere i pensieri, le paure, i sogni, anche progetti per il futuro, sono una spinta. Questa è la grande importanza, la grande forza di questi eventi. Ritengo, poi, che ognuna di noi, che ogni donna impegnata all'interno del proprio contesto, anche lavorativo, da qui può ripartire lavorando con una determinazione sicuramente più forte per cercare di portare quei cambiamenti che sono fondamentali.
Lei è presidente del Centro Internazionale per la Pace tra i Popoli di Assisi, che quest'anno conferisce il Premio Pellegrino di Pace a Women of Faith for Peace, perché?
Perché, innanzitutto, realizzare questi incontri, mettere insieme donne che appartengono a contesti diversi, è importante. Questo è un continuo lavoro di ricerca del dialogo, che poi non rimane un dialogo fine in sé stesso, ma si concretizza, poi, in azioni di cambiamento, di giustizia, nella comunità di riferimento. Quindi abbiamo ritenuto che questa attività fosse assolutamente meritevole del riconoscimento Pellegrino di Pace.
Chiuso il Sinodo valdese. Trotta, i diritti siano iniziativa bipartisan

La Moderatora della Tavola valdese, la diacona metodista Alessandra Trotta. Foto Daniele Vola
30 Agosto 2024
Torre Pellice (NEV/CS25sinodo09), 30 agosto 2024 – Il Sinodo valdese si è chiuso oggi pomeriggio a Torre Pellice, nel cuore delle Valli valdesi in provincia di Torino. Per una settimana deputati e deputate di tutta Italia si sono riuniti per discutere e votare democraticamente le linee guida della chiesa per il prossimo anno. Un anno speciale, questo, caratterizzato dalle celebrazioni per gli 850 anni del movimento nato dalla conversione alla povertà e all’Evangelo di un ricco mercante, Valdo di Lione.
Il Sinodo ha riconfermato la fiducia ad Alessandra Trotta, diacona metodista, quale Moderatora della Tavola valdese.
Nel suo discorso in Aula Sinodale, la Moderatora ha usato l’immagine del puzzle per rappresentare la chiesa. “Ogni tessera, ogni individuo, è essenziale per creare una visione completa”, ha detto Trotta.
Diversi i momenti significativi di questo Sinodo 2024 ricordati da Trotta: dall’importanza di riconoscere le connessioni tra le diverse parti della chiesa per evitare che queste rimangano scollegate, “impoverendone l’insieme”, alla necessità di collaborare per il bene comune.
“Una foto del corteo inaugurale, che ritrae una giovane pastora e due giovani consacrandi di origine non italiana, simboleggia l’inclusività e l’accoglienza della nostra chiesa, che vuole essere una chiesa di tutti e per tutti – ha proseguito la Moderatora, e ha aggiunto –: è importante anche trasmettere la storia e i valori della chiesa alle nuove generazioni, per mantenere la sua integrità come corpo intergenerazionale. Senza dimenticare il dialogo e la giustizia”.
“Nella polis, nella città dell’uomo, sono oggi in tanti, sempre più spesso, di fronte alla crisi dei sistemi democratici, a chiedersi se può resistere una democrazia senza uno spirito democratico che la legittimi e la rialimenti quando il contratto sociale si indebolisce e la coesione di una comunità civile fondata sui diritti e la solidarietà rischia di sfaldarsi e frammentarsi in gruppi antagonisti con valori non negoziabili che non possono essere discussi, tribù rancorose, alla ricerca di risarcimenti e rivincite – ha proseguito – nel condividere questo cruciale quesito, allo stesso tempo, a chi invoca e rivendica l’identità, le radici, i valori cristiani come fondamento di unità e coesione, dobbiamo sapere porre un altro quesito e saperlo porre anche a noi stessi/e: possono esistere e resistere i valori cristiani senza fede?”
Nel discorso Alessandra Trotta ha fatto anche riferimento alla necessità di accettare di essere minoranza e al messaggio biblico legato alla figura di Natanaele, dal vangelo di Giovanni: “Tu vedrai cose maggiori”, ha detto Gesù.
“Vedrai, vedremo cose maggiori, fratelli e sorelle; le cose al contrario, che sparano fiori e non bombe, ci hanno spiegato ieri, nella saggezza delle cose semplici, i piccoli deputati del sinodo dei bambini e delle bambine”.
Un lungo applauso ha accompagnato la Moderatora, che subito dopo ha partecipato alla conferenza stampa in cui ha illustrato gli Atti principali di questo Sinodo. Cittadinanza, giovani, pace, flat tax, autonomia differenziata, carceri. “Auspichiamo l’approvazione di una legge che farà bene al paese e sarà portatrice di civiltà. Dovrebbe essere una iniziativa bipartisan” ha detto Trotta. Quanto alle giovani generazioni, secondo la Moderatora, il punto è costruire il loro protagonismo dentro e fuori dalle chiese, dando loro parola e fiducia come ad esempio è stato fatto proprio in queste settimane con il progetto APE Summer Tour. Un accenno è stato fatto anche all’impegno ecumenico: in vista dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, si è interrogata Alessandra Trotta: “Vogliamo fare un salto di qualità oppure essere testimoni di incoerenza? Sarebbe bello, ad esempio, poter festeggiare la Pasqua nella stessa data per tutte le chiese cristiane, così come riuscire un giorno a celebrare insieme la Cena del Signore”.
Per rivedere il discorso finale in Aula della Moderatora clicca qui:
Sinodo valdese 2024 | Discorso finale della moderatora (youtube.com)
Per rivedere la conferenza stampa conclusiva clicca qui:
Conferenza Stampa di chiusura del Sinodo Valdese (youtube.com)
Elezioni Tavola valdese: Alessandra Trotta (moderatora), Dorothea Müller (vice moderatore), Ignazio Di Lecce, William Jourdan, Ulf Hermann Koller, Andrea Sbaffi, Davide Rostan. Alla guida dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), riconfermato alla presidenza il pastore Luca Anziani. Per il Consiglio della Facoltà valdese di Teologia, riconfermati Lothar Vogel come decano ed Eric Noffke come vice-decano. Cambio al vertice della Diaconia valdese, con Daniele Massa nuovo presidente.
L’appuntamento per il Sinodo è per il prossimo anno. Anche il 2025 sarà un anno speciale, in quanto si festeggeranno i 50 anni dal Patto di integrazione che ha portato all’Unione delle chiese, metodiste e valdesi.
"Nell'amicizia c'è la vittoria": La scelta per la pace di 1000 giovani europei riuniti a Berlino nel convegno "A Global Friendship for a Future of Peace"

28 Agosto 2024
Marco Impagliazzo: “Aver fatto della pace la bandiera e la lotta di ogni giorno è un segno di novità nel mondo di oggi, segnato dalla logica pervasiva della guerra"
Oltre mille giovani europei che chiedono pace e che la realizzano ogni giorno nei loro Paesi. Non solo in Italia, in Francia o in Germania, ma anche dove c’è la guerra, come in Ucraina, con la solidarietà e l’aiuto concreto a chi soffre. “A Global Friendship for a Future of Peace”, il convegno internazionale dei “Giovani per la pace”, movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, ha vissuto oggi la sua giornata più intensa. Una grande assemblea dal titolo “Nell’amicizia c’è la vittoria”, con testimonianze di tantissimi giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, accorsi da 13 Paesi europei e con la partecipazione del presidente di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo.
“In questi anni il movimento dei Giovani per la Pace è cresciuto e ha lasciato un segno in tante città d’Europa, dell’Africa, dell’America latina, dell’Asia, dando voce a tanti sogni e speranze di una generazione che viene poco ascoltata”, ha affermato Impagliazzo. “Aver fatto della pace la bandiera e la lotta di ogni giorno è un segno di novità nel mondo di oggi, segnato dalla logica pervasiva della guerra che porta solo alla morte: dalle guerre combattute con le armi a quelle più piccole di ogni giorno che appaiono normali e che fanno credere che l’unico modo per vincere sia quello di offendere, gridare, rimproverare gli altri. Ma noi sappiamo che non si può dare agli altri il peggio. Agli altri, a cominciare da poveri, va dato il meglio di noi”, ha concluso.
I giovani hanno parlato del loro impegno, durante tutto l’anno, nelle periferie, con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli, ma anche delle loro vacanze solidali, passate da molti con i rifugiati nei campi profughi della Grecia e di Cipro. Un grande evento europeo per la pace molto sentito, in un tempo segnato da guerre terribili, come quelle a Gaza e in Ucraina. E proprio dall’Ucraina (da Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv) sono giunti un centinaio di ragazze e ragazzi che hanno testimoniato come la solidarietà nei confronti degli sfollati e di tante altre persone che soffrono per la guerra è la prima azione che crea la pace. Ma si è parlato anche di ecologia, migrazioni, povertà nella città dove 35 anni fa un muro è caduto, esempio della forza della democrazia, del dialogo e della ricerca di vie pacifiche di cambiamento, segno di speranza per il futuro.
Nel pomeriggio del 28 agosto i giovani si raduneranno nei pressi della Porta di Brandeburgo per un momento di commemorazione al Memoriale delle vittime Sinti e Rom del nazionalsocialismo, per rinnovare il loro impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.
A Global Friendship for a future of peace: a Berlino, dal 27 al 29 agosto, 1000 giovani europei si incontrano nel nome della solidarietà e della pace

21 Agosto 2024
Dal 27 al 29 agosto convegno internazionale dei Giovani per la Pace – Attesi partecipanti da 13 Paesi europei, tra cui un centinaio dall’Ucraina – Mercoledì 28 assemblea con Marco Impagliazzo
“A Global Friendship for a Future of Peace”. Con questo sogno 1000 giovani, studenti delle scuole superiori e universitari, di 13 Paesi europei si daranno appuntamento dal 27 al 29 agosto a Berlino per l’incontro internazionale dei Giovani per la Pace, il movimento legato alla Comunità di Sant’Egidio, che è impegnato, ogni giorno, nelle periferie con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli, e ha promosso, nei mesi estivi, vacanze solidali con i rifugiati nei campi della Grecia e di Cipro. Un grande evento europeo per la pace molto sentito, in un tempo segnato da guerre terribili, come quelle a Gaza e in Ucraina. E proprio dall’Ucraina - dove Sant’Egidio continua a sostenere la popolazione con distribuzioni di generi alimentari, spedizioni di materiale sanitario e ha aperto centri educativi per bambini e adolescenti, anche grazie al supporto di tanti rifugiati che si sono uniti alla Comunità nelle sue iniziative umanitarie - arriveranno nella capitale tedesca un centinaio di ragazze e ragazzi provenienti da Kiev, Leopoli, Ivano-Frankivsk e Kharkiv. Insieme ai loro coetanei di altri Paesi europei, daranno voce alle speranze della loro generazione e si confronteranno su diversi temi - ecologia, migrazioni, povertà - per diffondere una cultura della pace e della solidarietà in una città, dove 35 anni fa un muro è caduto: un esempio della forza della democrazia, del dialogo e della ricerca di vie pacifiche di cambiamento, ma anche un grande segno di speranza per il futuro.
Mercoledì 28 agosto, al mattino, i giovani parteciperanno a un’assemblea con Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, intitolata "Nell'amicizia c'è la vittoria ", e nel pomeriggio si raduneranno nei pressi della Porta di Brandeburgo per un momento di commemorazione al Memoriale delle vittime Sinti e Rom del nazionalsocialismo, per rinnovare il loro impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.
Summer Rome course explores Catholic Church's impact on war and peace
1 Agosto 2024

Rome is well known as the headquarters of the Catholic Church and the environs of Vatican City. But it also is home to a cadre of lesser-known but influential Catholic organizations engaged in global peacebuilding work.
Notre Dame undergraduates who took the course “Catholic Approaches to War and Peace: the View from Rome” spent three weeks in the Eternal City learning about and meeting with these groups while based at Notre Dame Rome.
Notre Dame students in the Rome-based course “Catholic Approaches to War and Peace” before a visit to the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences in Vatican City.
Created and taught by Keough School of Global Affairs professor Jerry Powers, the class introduces students to the Catholic Church’s on-the-ground work, its rich intellectual tradition of peace scholarship, and its role in international diplomacy.
“What really struck me was the opportunity to meet the actual people who are making peacebuilding happen,” said Lucy Carrier-Pilkington, a student in the course. “The theory aspect — the Catholic social teaching and the just war theory, for example — was fascinating, but the opportunity to see how that theory is practiced in real life was something special. I recommend this course to anyone interested in global affairs, politics, and theology — it was phenomenal.”
Students engage in a discussion with Caritas Internationalis staff at the humanitarian organization’s Vatican headquarters .
During one class session which took place in Rome’s vibrant Trastevere neighborhood, students toured the central offices and church of the Community of Sant’Egidio, a lay Catholic organization dedicated to prayer, peace, and the alleviation of poverty. Sant’Egidio operates soup kitchens and homeless shelters around the world, and its diplomatic arm has played a pivotal role facilitating peace processes in Mozambique, Algeria, Uganda and most recently, South Sudan.
Notre Dame alum Elizabeth Boyle (BA ‘20, MGA ‘23), an international relations officer at Sant’Egidio and a vice president for peace initiatives and research at the Sant’Egidio Foundation for Peace and Dialogue, offered students an overview of the community’s work.
Elizabeth Boyle ’20, MGA ’23 gives a class tour of the headquarters of the Community of Sant’ Egideo, where she works as an international relations officer.
Students also learned about the peacebuilding role of the Holy See — the central government of the Catholic Church — meeting with Cardinal Peter Turkson, chancellor of the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences, in his Vatican office. In a meeting with Ambassador Andrii Yurash, the Ukrainian ambassador to the Holy See, students engaged in discussion about the Catholic Church’s role in the war in Ukraine.
Notre Dame students meet with Cardinal Peter Turkson (far left), chancellor of the Pontifical Academies for Sciences and Social Sciences.
At the Dicastery for Promoting Integral Human Development, a Vatican department that addresses a variety of social issues ranging from migration to human rights, students discussed the role of the Holy See in supporting the peacebuilding efforts of national and regional episcopal conferences around the world. For an interfaith perspective, Powers brought his students to meet with Cenap Aydin, a Muslim scholar from the group Religions for Peace, who spoke about the role of the Catholic Church in interreligious peacebuilding. Finally, at the headquarters of Caritas Internationalis, a network of 162 national Catholic relief and development agencies working across the world, Caritas staff shared insights on the role of women in peacebuilding, development and humanitarian aid.
Ukrainian Ambassador to the Holy See Andrii Yurash meets with Notre Dame students.
“While lived Catholic peacebuilding is most obvious amid conflicts in places like Colombia, Congo, South Sudan and Ukraine, Rome offers a global perspective on the Church’s teaching and action related to peace,” said Powers, a core faculty member of the Keough School’s Kroc Institute for International Peace Studies and director of the Catholic Peacebuilding Network.
“This course gives students a rare opportunity to engage with leaders of the world’s largest religious institution who are working to ensure the Catholic community lives out Jesus’ Sermon on the Mount. It opens their eyes to a part of the Church that few people see.”
Bologna, apre la casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture

30 Luglio 2024
Una Casa dell’incontro e del dialogo tra religioni e culture aprirà a Bologna grazie a una collaborazione tra il comune e la città metropolitana, la diocesi, la comunità ebraica e quella islamica e l’università. Il progetto è nato con la firma del protocollo dell’8 aprile 2021 ed è aperto anche a tutte le altre comunità religiose presenti nella città emiliana che ne condividono la finalità. Il suo obiettivo è quello di rafforzare le relazioni tra soggetti appartenenti a fedi e culture diverse, l’educazione alla pace, alla cittadinanza e all’accoglienza, la conoscenza e il rispetto dei calendari e delle feste religiose, la condivisione e il rispetto delle rispettive ricchezze etiche, spirituali e religiose.
La struttura che ospiterà la Casa è villa delle Rose, stabile comunale che è stato spazio per mostre ed eventi del Museo d’Arte Moderna MAMbo. È stata scelta perché non ha alcuna connotazione confessionale e i suoi spazi sono ideali per ospitare le varie iniziative previste, coerenti con il vincolo testamentario con il quale fu donata al comune, che ne prevede un uso culturale ed espositivo. Infatti, tra le attività promosse ci saranno: incontri, seminari e convegni; installazioni per condivisioni artistico-spirituali e riflessioni su temi quali la pace, l’intercultura, lo scambio, il dialogo e il superamento degli stereotipi, il contrasto all’intolleranza; mostre sull’interreligiosità; gruppi di lettura e discussione; stanze per lettura e musica; iniziative rivolte alle scuole su interreligiosità, spiritualità e pace.
L’ampio parco garantisce quiete e raccoglimento, a cui farà da corrispettivo all’interno della villa una stanza del silenzio. Questo spazio di meditazione e riflessione non verrà caratterizzato in senso confessionale e sarà quindi privo di simbologie. Lo scopo è quello di fornire a persone di diverse fedi un luogo comune di incontro e condivisione spirituale, contribuendo così alla costruzione di un mondo più rispettoso delle diverse tradizioni religiose e culturali. La Casa sarà coordinata da un consiglio di indirizzo formato sia dai rappresentanti delle realtà promotrici del progetto, sia da quelli aderenti.
Fostering Unity on Campus Isn’t Easy Right Now, But We Are Trying
9 Luglio 2024

Since mid-November, I have been meeting weekly for lunch with Imam Khalil Abdur-Rashid, the Muslim chaplain on our Harvard campus.
We started meeting because he wanted to gather Muslim and Jewish student leaders after a public statement from the undergraduate student association following the October 7 Hamas attacks caused great consternation and tension at Harvard and far beyond. Khalil hoped to create a space where students could acknowledge their pain and loss, prevent further division and animosity, and initiate broader campus efforts at dignified discussion and action.
It was a beautiful idea, but not one that has yet been able to come to fruition. Our students have felt too hurt, too angry, and too scared to be able to do anything together this academic year.
We have tried several experiments to bring them together: a communal mourning circle, an outdoor meditation experience, a joint trip, and an interfaith iftar. Each one fell apart because of the deep divisions on campus and external pressures. Everyone feels isolated and unable to sit with the isolation of the other.
Khalil and I have continued to sit, eat, mourn, and get to know each other. Over the year, our families have met, and we have trusted each other deeply as we negotiate a sharply divided campus.
While our students have been unable to cosponsor any events, we have taken it upon ourselves to help heal the divides on campus when possible. In December 2023, we and other chaplains hosted a joint prayer vigil. While it might seem like an uncontroversial ritual experience, praying publicly for the welfare of innocent people on both sides of this horrific conflict made national news.
To love one’s neighbor, we cannot ignore our differences. We must lean in and explore these matters honestly and dignifiedly.
In January and March 2024, Khalil and I facilitated programming on being a good neighbor with someone you profoundly disagree with. We tried to offer a different engagement model to the Harvard community, one I consider to reflect the best Jewish values essential to life at Hebrew College. We suggested that to love one’s neighbor, we cannot ignore our differences; instead, we must lean in and explore these matters honestly and dignifiedly. Nearly 1,000 Harvard affiliates attended these events.
Because of our friendship and camaraderie, Harvard asked Khalil and me to give the opening benediction at the undergraduate commencement ceremony. We have the honor of blessing almost 35,000 graduates and their families. In the history of Harvard, there has never been a graduation benediction given by two chaplains of different religions. We intend to speak about the power of feeling alone together.
Even though we continue to struggle to bring our communities together as individuals–as friends, teachers, and symbolic exemplars–we have attempted to model authentic bridgebuilding throughout this challenging year.
My Hebrew College Rabbinical School training equipped me to build bridges with someone like Khalil. My classmates and I often disagreed about theology, ideology, and sacred practice–and we continued to be in a relationship. When I reflect on these disagreements, I often think of the following teaching from the great Hasidic master, Rebbe Nachman of Bratslav (d. 1810):
“Know that disagreement (machloket) is analogous to the creation of the world, which consisted of creating an empty space …
For if it were not so, everything would be infinitely divine (ein sof),
and there would be no space for the world.
Therefore, G!d contracted the divine light …
leaving space in which the world could be created …
So too with disagreement:
For if all the wise ones were united, there could be no [further] creation …
It is only when there is disagreement among them–when they move apart–that space is created … analogous to the empty space … in which the world itself was created.”
Rebbe Nachman makes brilliant use of Isaac Luria’s (16th century) image of cosmic tzimtzum (“contraction”) as a model for the creative potential of those who engage respectfully across differences. For such a creative encounter to occur, however, we must be willing to let the other be themselves and be brave enough to express our differences of belief or opinion. For Rebbe Nachman, this is essential to fruitful Torah study and religious creativity.
As with my Hebrew College peers, Khalil and I have promised to create the necessary space to explore our spiritual and ethical positions honestly and respectfully. While we certainly agree about some things, we also have genuine disagreements; ignoring them will not help us or the people we serve.
Francesco: c’è bisogno di credenti coerenti e impegnati nella costruzione della pace

Da: Vatican News
26 giugno 2024
Prima dell’udienza generale, il Papa ha salutato una delegazione della Moschea di Bologna e consegnato un discorso nel quale invita cristiani, ebrei e musulmani ad offrire al mondo contemporaneo una testimonianza di fraternità. Il Pontefice ha esortato anche al rispetto della libertà religiosa: “Ogni credente deve sentirsi libero di proporre e mai imporre la propria religione ad altre persone, credenti o no”. Anche i matrimoni misti "non devono essere occasione per convertire il coniuge”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Il breve incontro con un gruppo di musulmani da Bologna nello studio dell’Aula Paolo VI, prima dell’udienza generale, è lo spunto, per Papa Francesco, per esortare ancora alla fratellanza universale. Il Pontefice lo fa nel saluto consegnato alla delegazione della Moschea del capoluogo emiliano nel quale chiede soprattutto ai credenti di qualunque fede di promuovere l’armonia tra i popoli.
Il mondo, specialmente in questo momento storico, ha bisogno di credenti coerenti e fortemente impegnati nella costruzione e nel mantenimento della pace sociale e mondiale.
L’esempio di cristiani, ebrei e musulmani
Ad accogliersi “gli uni gli altri come fratelli” sono chiamati, “prima di tutto”, cristiani, ebrei e musulmani, che adorano “il Dio Unico”, e che fanno “riferimento, anche se in modi diversi, ad Abramo come padre nella fede”, è l’invito del Papa, che ritiene la “testimonianza di fraternità” dei fedeli delle religioni monoteistiche “indispensabile e molto preziosa” nel mondo di oggi.
Noi che abbiamo avuto il dono di questa appartenenza religiosa, siamo chiamati ad essere aperti e accoglienti verso quanti non la condividono, perché sono, come tutti noi, membri dell’unica famiglia umana.
Si rispetti la libertà di coscienza e di religione
Nel testo del discorso, Francesco sottolinea che “il dialogo sincero e rispettoso tra cristiani e musulmani è un dovere” per quanti vogliono “obbedire alla volontà di Dio”, il quale desidera “che i suoi figli si vogliano bene, si aiutino a vicenda, e che, se sorge tra loro qualche difficoltà o incomprensione, si mettano d’accordo con umiltà e pazienza”. Ma il dialogo richiede che si riconoscano “dignità” e “diritti di ogni persona”, aggiunge il Papa, e tra questi, anzitutto la “libertà di coscienza e di religione”.
Inoltre, ogni credente deve sentirsi libero di proporre – mai imporre! – la propria religione ad altre persone, credenti o no. Ciò esclude ogni forma di proselitismo, inteso come esercitare pressioni o minacce; deve respingere ogni tipo di favori finanziari o lavorativi; non deve approfittare dell’ignoranza delle persone.
Anche “i matrimoni tra persone di religioni diverse non devono essere occasione per convertire il coniuge” al proprio credo, aggiunge infine Francesco, che auspica alla delegazione della moschea di Bologna “buoni rapporti con la Chiesa cattolica: con il vescovo, con il clero e con i fedeli, nel rispetto reciproco e nell’amicizia” e ringraziando le comunità musulmane di essere “artigiani della pace”.
CEI: conversazione spirituale tra credenti in Italia. Le religioni a servizio della coesione sociale

Da: TV 2000
25 giugno 2024
CLICCA QUI PER VEDERE I VIDEO DEI SEGUENTI INTERVENTI: https://www.tv2000.it/blog/2024/06/25/cei-conversazione-spirituale-tra-credenti-in-italia-le-religioni-a-servizio-della-coesione-sociale-foto-e-video/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3VwM-CxojTnyrnLBHfCMMkGjlIuRvnYoIX3CnUABKJvbGhzfDNVXYmhjg_aem_9t7AShBgR8ksuqSpxUjOnA
Mons. Giuseppe Baturi – Segretario generale Conferenza episcopale italiana: “La religione divide quando afferma un Dio che si contrappone ad altri”.
La Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI ha promosso e organizzato a Roma, oggi 25 giugno, una Conversazione spirituale tra credenti in Italia sul tema “Le religioni a servizio della coesione sociale?”. Un momento di dialogo per vedere insieme i passi possibili per le persone credenti in vista del bene comune.
Mons. Derio Olivero – Presidente Commissione ep. CEI Ecumenismo e dialogo: “Le religioni possono diventare fermento e sorgente di coesione sociale”
Tra i temi dalla giornata d’incontri organizzato dalla CEI la presenza e convivenza delle religioni per un impegno generativo a servizio della coesione sociale: come in questi anni, in Italia, gli uomini e le donne delle diverse religioni hanno operato un lavoro in questa direzione, tenendo presente il clima di diffidenza a causa dei numerosi conflitti ora in atto. E quali le difficoltà incontrate e le sinergie vissute
Imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini – Vice Presidente Comunità religiosa islamica italiana: “La diffidenza e l’indifferenza sono innaturali”
Saul Meghnagi Unione comunità ebraiche italiane: “Le religioni hanno al loro interno il germe della solidarietà e dell’accoglienza”
Ravijit Kaur Borghi – Comunità Sikh italiana: “In tutto il mondo nascono sempre più conflitti. E’ compito delle religioni riportare un messaggio di unità e anche di risveglio della comunità umana”
Concierto de las Tres Culturas 2024

Da: UNESCO - Federaciòn Espanola de Asociaciones y Clubes para la UNESCO
21 giugno 2024
Ayer por la tarde, la majestuosa Basílica de San Francisco el Grande se llenó de música y cultura con la celebración del Concierto de las Tres Culturas, bajo el lema «Abrazando la Diversidad, Protegiendo Espacios de Culto y Abogando por la Libertad Religiosa» un evento que busca promover la convivencia y el diálogo entre las religiones católica, musulmana y judía.
El evento fue organizado por la Asociación Arco Fórum, contó con la inestimable acogida de los Padres Franciscanos y con el patrocinio de diversas organizaciones comprometidas con la Paz y el entendimiento intercultural, entre ellas Federación Española de Asociaciones y Clubs para la UNESCO (FECU).
La ceremonia de apertura estuvo a cargo del Director Ejecutivo de la Asociación Arco Forum, Temirkhon Temirzoda Naziri, quien destacó la importancia de la música como puente entre diferentes culturas y religiones.
Seguidamente, el Presidente de la Federación Española de Asociaciones y Clubs para UNESCO (FECU), Don Alberto Guerrero Fernández, ofreció unas palabras de bienvenida, resaltando el valor de este tipo de iniciativas para la construcción de una sociedad más inclusiva y respetuosa.
El Padre Jesús, párroco de San Francisco el Grande, también se dirigió a los asistentes, subrayando la relevancia de la iglesia como espacio de encuentro y reconciliación.
El concierto incluyó una rica variedad de piezas musicales representativas de las tres tradiciones religiosas.
El simposio del Proyecto Proctone concluyó con un concierto de la mano del JOIRE (Joven Ensemble Interreligioso Español); grupo formado por intérpretes de las tres religiones: cristiana, judía y musulmana. La velada se enriqueció aún más con la inclusión de danzas Derviches, que añadieron un elemento visual y espiritual al evento.
Al finalizar la ceremonia, se entregaron varios reconocimientos a personalidades destacadas que han contribuido al diálogo interreligioso y a la promoción de la paz. Entre los galardonados se encontraba D. Aitor de la Morena, delegado Episcopal de Ecumenismo y Diálogo Interreligioso de la Archidiócesis de Madrid, quien recibió un caluroso aplauso por su dedicación y compromiso.
El evento fue posible gracias al apoyo y patrocinio de Concierto Tres Culturas, Proyecto Protone, Asociación Arco Forum, Archidiócesis de Madrid, Community Construye Comunidades Crea Paz, Federación Española de Asociaciones y Clubs para UNESCO, Foro Abraham y Fundación Cultura de Paz.
Las religiones monoteístas quieren lugares de culto seguros

Da: Alfa Y Omega.es
19 giugno 2024
Con el conflicto armado en Oriente Medio en su apogeo, había quien le decía a Temirkhon Naziri, director ejecutivo de Arco Forum, que no era el mejor momento para organizar un simposio interconfesional sobre la protección de los lugares de culto. Él, sin embargo, opina todo lo contrario. «Ahora, en el momento en el que la gente duda, es cuando es imprescindible. De hecho, creo que hay que hacer muchas más actividades de este tipo», reflexiona en conversación con Alfa y Omega.
A pesar de las advertencias, el simposio se terminó celebrando este miércoles, 19 de junio, en el seminario de Madrid. Los ponentes reflexionaron sobre la gestión de la seguridad o el papel de la sociedad civil en la protección de los espacios de culto a través de la colaboración interreligiosa. En realidad, se trata del segundo de un conjunto de tres eventos —el primero fue en Berlín en febrero pasado—, cofinanciados por la UE y de temática similar, aunque con la particularidad de que cada confesión —católicos, musulmanes y judíos— realiza la acogida en cada uno de ellos.
Este baile de religiones y de encuentros no es baladí. En conversación con este semanario, los representantes de las tres religiones aúnan sus voces para declarar que este tipo de experiencias son «una riqueza» y «muy necesarias», a pesar de que en España no tenemos una especial inseguridad en este campo. El último suceso grave fue el asesinato de un sacristán en Algeciras, Diego Valencia. Lo habitual, explican, es que los incidentes tengan que ver más con pintadas o descalificaciones.
Más allá de los casos concretos, para Naziri, que es natural de Tayikistán y de religión musulmana, el diálogo interreligioso emprendido en este simposio tiene un impacto directo en la persistencia de la paz lograda en nuestro país. Asimismo, es un «aprendizaje para los seguidores de cada religión, quienes crecen en la asimilación de la cultura de convivencia, de tolerancia y de entendimiento común».
Aitor de la Morena, delegado episcopal de Ecumenismo y Diálogo Interreligioso de la Archidiócesis de Madrid, coincide con el director ejecutivo de Arco Forum —con quien le unen lazos de amistad— en el tema de la paz y los prejuicios, e incluso va un paso más allá. «El diálogo interreligioso nos permite también aprender y enriquecernos de los otros», sostiene. Como ejemplo, habla de las horas previas al simposio. «Estaba con Temir visitando la parroquia para ver dónde podía ensayar el grupo Joire —coral que interpreta piezas musicales vinculadas a las diferentes religiones—», que fue el encargado de cerrar la jornada con un concierto celebrado en la basílica de San Francisco el Grande. «Le estaba enseñando los locales y le surgían preguntas sobre cómo hacíamos nosotros para transmitir la fe a los niños». El delegado le contó «todo el proceso de catequesis de Primera Comunión o los problemas que tenemos para que luego los chicos no desaparezcan del mapa», rememora De la Morena. «Al acabar, yo le hice la misma pregunta y él me contestó: “Todo lo hacemos en la familia”», cuenta. Al final de la visita, el musulmán se había enriquecido con los itinerarios de fe de los católicos y el sacerdote había hecho lo propio con el papel de la familia entre los musulmanes a la hora de la transmisión de su religión.
Junto con católicos y musulmanes, el simposio también contó con un nutrido grupo de personas que practican la religión judía. Antonio Merino fue uno de ellos. En su caso, participó en la segunda mesa redonda, que versó sobre las perspectivas académicas y comunitarias sobre la protección de lugares de culto. Desde su punto de vista, «es muy fácil amar al que te ama, pero lo interesante es amar al que no te ama». Aunque, junto a esta reflexión, expresa el verdadero fruto que él espera del diálogo interreligioso: «Nuestro sueño es ahorrarnos —porque ya no haga falta— la parte del presupuesto que tenemos que dedicar a seguridad».
Shavuot: Israele tra scelta particolare e
vocazione
universale

11 giugno 2024
La Tora è stata data al popolo di Israele, sul monte Sinai.
Consegnata a un solo popolo, ma volutamente in un luogo che non appartiene a nessuno, ossia potenzialmente accessibile a tutti. Un noto midrash risolve questa tensione fra particolarismo e universalismo esprimendo una condanna per gli altri popoli: partendo dal versetto della Torà "Il Signore è venuto dal Sinai, da Seir splendette per loro, apparve dal monte di Paràn..." (Deut. 33:2), il midrash deduce infatti che il Signore abbia chiesto agli altri popoli la disponibilità a ricevere la Tora, prima di consegnarla al popolo di Israele. Tuttavia, ogni popolo la rifiutò, ritenendo impossibile rispettarla.
Con una tecnica tipica che richiama altri versetti della Torà a riprova, il midrash riporta alcuni esempi che sono suggeriti dal passo citato. Dapprima (i discendenti di) Esaù, la cui essenza è basata sulla spada e quindi non è compatibile con il "Non uccidere"; poi Ammonei e Moabiti che secondo la narrazione biblica originano da un incesto e quindi non possono far loro il "Non commettere adulterio"; infine (i discendenti di) Yishmaèl, che per indole non può accettare il "Non rubare". La conclusione è tuttavia generalizzata: "E così fece con ogni nazione, e siccome tutte rifiutarono, suscitarono l'ira del Signore".
Non solo, il midrash prosegue affermando che le nazioni del mondo rinnegarono perfino i precetti noachidi, dunque quelle che possono considerarsi leggi universali. Secondo la versione ancora più drammatica dello stesso midrash come elaborato nel Talmud Babilonese (Avodà Zarà 2b-3b), tale condanna è destinata a rimanere fino alla fine dei giorni. Il Talmud ritrae una scena che si svolge alla fine dei tempi, nella quale i popoli protestano per il fatto di non aver ricevuto la Torà, o forse per non essere stati obbligati ad accettarla come avvenuto per il popolo di Israele, ma le loro argomentazioni non risultano sincere e vengono quindi respinte. È evidente la finalità del midrash di rivendicare l'esclusività del patto con il Signore. Nella versione del Talmud viene infatti sottolineato come il Rav Joseph Soloveitchik (1903-1993) popolo di Israele sia sempre stato disposto pertino a sacrificare la propria vita in nome della Torà, un attaccamento che gli altri popoli non dimostrano affatto. L'immagine che scaturisce da questo midrash è tremenda: il popolo di Israele è isolato, il resto del mondo è dall'altra parte e gli rivolge accuse (o le rivolge al Signore).
Drammaticamente attuale.
Altre linee interpretative risolvono in modo differente la dualità particolare/universale. Rav J. D. Soloveitchik individua un duplice livello di impegno per il popolo di Israele: quello universale di promuovere la dignità umana e quello particolare di salvaguardare la sacralità del patto con il Signore.
Alcuni Maestri cercano perfino di armonizzare i due aspetti. Così, ad esempio, rav S. R. Hirsch vede nel
popolo di Israele gli affidatari di una missione. Egli commenta che «Una "nazione santa"
significa che proprio come individualmente ogni ebreo deve apparire come un Rav Rafael Hirsch (1808-1888)
sacerdote, così Israele come nazione ha il compito di far sì che il mondo sia un mondo di santità davanti a Dio. Deve essere una nazione unica tra le nazioni, una nazione che non esiste per la propria fama, la propria grandezza, la propria gloria, ma per il fondamento e la glorificazione del Regno di Dio sulla Terra, una nazione che non deve cercare la sua grandezza nel potere e nella forza, ma nell'assoluto della Legge Divina, la Tora, perché questa è la santità». Quella di rav Hirsch è una elaborazione di un concetto che si ritrova già nelle fonti classiche, con sfumature differenti: un proporsi attivamente come diffusori, istruttori dell'umanità (cosi ad es. Sforno, commentatore italiano vissuto a cavallo del 1500); oppure il costituire un esempio al quale altri possano ispirarsi (cosi ad es. rav Avrahàm figlio del
Rambàm, vissuto in Egitto nel XIII sec.).
Rav J. Sacks sviluppa un concetto di "dignità della differenza":
«Solo una fede che riconosce entrambi i tipi di alleanza - quella universale e
quella particolare - è capace di comprendere che l'immagine di Dio può essere presente in colui la cui fede non è la mia e il cui rapporto con Dio è diverso dal mio».
Tornando al midrash iniziale, occorre analizzare quali siano le accuse rivolte agli altri popoli. Il midrash richiama il fatto che il popolo di Israele abbia accettato a priori, in un atto di fiducia completa, qualsiasi condizione. In particolare, quindi, dà come presupposto che abbia accettato quelle regole che gli altri popoli avevano ritenuto impossibile mettere in pratica: il divieto di uccidere, di avere rapporti sessuali illeciti, di rubare.
Sono dunque queste caratteristiche i tratti distintivi del popolo ebraico, evidentemente soprattutto nel modo in cui questo è percepito all'esterno. Non dimentichiamo infatti che il contesto è quello della diatriba immaginaria fra il Signore e i popoli del mondo sul perché proprio il popolo di Israele sia stato scelto! In questo senso, il midrash non è poi così distante dalle altre linee interpretative riportate. Un monito, un invito, a ricordare sempre che in ogni atto del nostro vivere quotidiano, individuale e collettivo, siamo in realtà esponenti della "congrega di Israele", e siamo chiamati a quella che si definisce "santificazione del Nome divino".
Perché il Vaticano si interessa così tanto di intelligenza artificiale?

VATICAN MEDIA VIA VATICAN POOL/GETTY IMAGES
9 giugno 2024
Fra i player coinvolti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale c’è, a sorpresa, anche il Vaticano. Già nel 2020, in netto anticipo rispetto al boom degli strumenti di AI generativa come ChatGPT, il Vaticano, tramite l’ente Pontificia accademia per la vita, ha siglato la lettera d’intenti Rome Call for AI Ethics, insieme a Microsoft, Ibm, Fao e il Dipartimento italiano dell’innovazione tecnologica, per indicare le regole etiche da seguire nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Prima di algoritmi, modelli di apprendimento automatico e supercomputer, la Santa Sede mira a porre le basi per un futuro tecnologico che rispetti la dignità umana. Nel mezzo della rivoluzione tecnologica, il Vaticano si impegna a promuovere – in collaborazione con le altre religioni abramitiche – un utilizzo dell'intelligenza artificiale che rifletta valori umani fondamentali.
Cos’è la Pontifica accademia per la vita
Papa Francesco parteciperà alla sessione del G7 sull'intelligenza artificiale che si svolgerà dal 13 al 15 giugno prossimo a Borgo Egnazia, in Puglia, ma il rapporto fra Vaticano e AI è iniziato da tempo. Fu Papa Giovanni Paolo II con la lettera apostolica Motu Proprio, Vitae Mysterium dell'11 febbraio 1994, a istituire la Pontificia accademia per la vita, la cui sede principale si trova nello Stato della Città del Vaticano. L'Accademia ha un ruolo principalmente scientifico, per la promozione e la difesa della vita umana. Questi obiettivi di ricerca non possono non tenere conto dell’intelligenza artificiale. “L'obiettivo è non solo di garantire che nessuno sia escluso, ma anche di proteggere le libertà che potrebbero essere minacciate dal condizionamento algoritmico”, si legge nella Rome Call for AI Ethics. Papa Francesco chiarisce che questo progresso, come quello della robotica, “può rendere possibile un mondo migliore se è unito al bene comune”.
La centralità dell'essere umano nella tecnologia
La Rome Call for AI Ethics si concentra su tre aree di impatto fondamentali: etica, educazione e diritti. In termini di etica, la Chiesa sottolinea che tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti, un principio che deve essere riflesso nello sviluppo e nell'uso dell'AI. L'educazione è vista come un mezzo per costruire un futuro sostenibile attraverso l'innovazione, coinvolgendo le giovani generazioni. I diritti devono essere protetti da regolamentazioni che salvaguardino le persone, specialmente i più vulnerabili, e l'ambiente.
I sei principi fondamentali della lettera sono trasparenza, inclusione, responsabilità, imparzialità, affidabilità e sicurezza e privacy. La Chiesa ritiene che sia essenziale che la nuova tecnologia sia comprensibile per tutti, non discriminatoria, responsabile, libera da pregiudizi, affidabile e sicura, rispettando sempre la privacy degli utenti. Padre Paolo Benanti, professore straordinario di Etica della tecnologia presso la Pontificia Università Gregoriana e direttore scientifico della Fondazione RenAIssance, nonché membro del New Artificial Intelligence Advisory Board delle Nazioni Unite, a capo del comitato del governo su algoritmi e informazione e consigliere molto ascoltato della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha affermato: "Da sempre, il fine non giustifica i mezzi! Allora, la macchina che in qualche misura può determinare quale mezzo è più adeguato nel perseguire il suo fine, è una macchina che per sua natura ha bisogno di guardrail etici molto ampi, ne. Si tratta piuttosto di trasformare quest'ultima in sviluppo umano”.
Dialogo interreligioso e prospettive future
Di recente si sono svolti in Vaticano degli incontri interreligiosi sui temi dell'AI, nei quali si discutono questioni cruciali come la necessità che la novità rispetti la dignità e i diritti umani, garantendo trasparenza e comprensibilità delle tecnologie. Un'attenzione particolare è rivolta alla protezione della privacy e alla prevenzione delle disuguaglianze. “La fraternità tra tutti è il presupposto per garantire che lo sviluppo tecnologico sia anche al servizio della giustizia e della pace nel mondo”, ha scritto il papa prima di un incontro congiunto con i massimi rappresentanti della religione ebraica e islamica. "Quando la riflessione e il dialogo sui temi dello sviluppo tecnologico si incontrano in uno spirito di fraternità, è possibile trovare percorsi condivisi e soluzioni efficaci per costruire la pace e il bene comune", dichiara l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e della Fondazione RenAIssance.
Le applicazioni dell'AI possono affrontare problemi globali come la povertà, l'accesso all'istruzione e alla sanità, e la sostenibilità ambientale. La Chiesa incoraggia un approccio collaborativo e inclusivo, in cui nazioni e comunità lavorano insieme per garantire che l'AI benefici tutti, senza lasciare indietro nessuno. La promozione della solidarietà implica anche l'impegno a evitare che l'AI accentui le disuguaglianze esistenti o crei nuove forme di discriminazione, per questo la Santa Sede spinge affinché le multinazionali coinvolte aprano a un approccio etico e ragionato verso le future possibilità tecnologiche. La Rome Call for AI Ethics e i suoi sviluppi sono un passo significativo in questa direzione, stabilendo un quadro etico che può influenzare positivamente l'evoluzione dell'AI su scala globale.
Israeli, Palestinian envoys praise Pope’s prayer for peace
8 giugno 2024

From left to right, Abdallah Redouane, secretary general of the Islamic Center for Cultural Studies in Italy; Pope Francis; Rabbi Alberto Funaro; Palestinian Ambassador to the Holy See Issa Kassissieh and Israeli Ambassador to the Holy See Raphael Schutz participate in a June 7, 2014, prayer for peace in the Vatican Gardens, held in front of an olive tree planted by Israeli President Shimon Peres and Palestinian President Mahmoud Abbas in June 2014. (Credit: Vatican Media.)
ROME – Israeli and Palestinian envoys to the Holy See have applauded Pope Francis’s prayer for peace in the Vatican gardens Friday, commemorating a similar event held 10 years ago, with both calling the initiative symbolic and illustrative of the pope’s commitment to ending the Gaza war.
Speaking to Crux, Israeli Ambassador to the Holy See Raphael Schutz said the June 7 prayer was “a nice gesture showing the pope’s and the Holy See’s commitment to peace in our region, especially during these difficult times.”
Similarly, Ambassador of Palestine to the Holy See Issa Kassissieh quoted Pope Francis’s 2014 prayer for peace in the Middle East, telling Crux that on more than one occasion, “We have been on the verge of peace, but the evil one, employing a variety of means, has succeeded in blocking it.”
“I would add then that all evils came out of the box to spread hatred and destruction. Gaza is a witness to this evil,” he said, saying, “Pope Francis wants to remind us that the Holy Land, worn out by conflicts, is yearning justice and genuine peace, where the two States, Palestine and Israel, live side by side peacefully.”
Schutz and Kassissieh both participated in a special June 7 prayer for peace in the Vatican Gardens, attended by top Vatican officials, some 23 cardinals, and other members of the diplomatic corps accredited to the Holy See.
Rabbi Alberto Funaro and Abdallah Redouane, secretary general of the Islamic Center for Cultural Studies in Italy, were also present, representing the Jewish and Muslim communities in Rome.
The event was held to commemorate the 10th anniversary of an historic prayer for peace held in the same location of the Vatican Gardens in 2014, which was led by Pope Francis and attended by the late President of the State of Israel, Shimon Peres, and the President of the State of Palestine, Mahmoud Abbas, and Orthodox Patriarch Bartholomew I of Constantinople.
On that occasion, Peres and Abbas jointly planted an olive tree in a symbolic gesture of peace. Friday’s prayer event took place beside that same olive tree.
The event held special significance given the ongoing war in Gaza, which erupted last year following an Oct. 7 surprise attack by Hamas militants on Israel in which they killed some 1,200 people and abducted 251 others.
In November, 105 of the hostages were released during a week-long truce, however, around 120 remain unaccounted for, with Israeli officials stating that many are presumed dead. Israeli military in recent days confirmed the deaths of four of the remaining hostages, saying the men, most of whom were elderly, were killed together during an Israeli operation in Khan Younis in southern Gaza.
In response to the attack, Israel launched a massive ground and air offensive in Gaza that has left an estimated 36,470 people dead, according to the Hamas-run health ministry, in an effort to oust Hamas from power.
Pope Francis Friday voiced gratitude for the 2014 prayer for peace, saying that 10 years later, “it is important to remember that event, especially in light of what has unfortunately unfolded in Israel and Palestine.”
“Instead of deceiving ourselves that war can resolve problems and bring about peace, we need to be vigilant and critical towards an ideology that is unfortunately dominant today, which claims that conflict, violence and breakdown are part of the normal functioning of a society,” he said.
What is truly at stake, the pope said, are “power struggles” between various social groups, as well as partisan economic interests and “international political maneuverings aimed at an apparent peace yet fleeing from real problems.”
Francis said he prays daily that the war in Gaza will end, and that he prays for all communities in the region, including Jews, Christians, and Muslims.
He called for a ceasefire, for the release of Israeli hostages “as soon as possible,” and asked that access to humanitarian aid be guaranteed in Gaza. He also prayed that the homes of those who have been displaced will soon be rebuilt so they can return “in peace.”
Repeating his call for two-state solution to the longstanding conflict, Pope Francis said, “All of us must work and commit ourselves to achieving a lasting peace, where the State of Palestine and the State of Israel can live side by side, breaking down the walls of enmity and hatred.”
“We must all cherish Jerusalem so that it will become the city of fraternal encounter among Christians, Jews and Muslims, protected by a special internationally guaranteed status,” he said.
Peace, the pope said, is primarily about conversion, and as such, “is not made only by written agreements or by human and political compromises.”
Rather, peace, he said, “is born from transformed hearts, and arises when each of us has encountered and been touched by God’s love, which dissolves our selfishness, shatters our prejudices and grants us the taste and joy of friendship, fraternity and mutual solidarity.”
“Let us ask the Lord that the leaders of nations and the parties in conflict may find the way to peace and unity. May we all recognize each other as brothers and sisters,” he said.
Francis repeated the prayer for peace offered with Peres, Abbas and Bartholomew in 2014, saying, “We have tried so many times and over so many years to resolve our conflicts by our own powers and by the force of our arms.”
“How many moments of hostility and darkness have we experienced; how much blood has been shed; how many lives have been shattered; how many hopes have been buried…Now, Lord, come to our aid! Grant us peace, teach us peace; guide our steps in the way of peace.”
He asked that God would grant those in authority the courage to stop war and “to take concrete steps to achieve peace.”
“Keep alive within us the flame of hope, so that with patience and perseverance we may opt for dialogue and reconciliation. In this way may peace triumph at last, and may the words ‘division,’ ‘hatred’ and ‘war’ be banished from the heart of every man and woman,” he said.
In his comments to Crux, Kassissieh said Friday’s prayer for peace, held in the same location as the 2014 event, illustrates the pope’s determination “to defeat evil and war, and remind those who continue to advocate the war, that the path of peacemaking calls for courage, strength and will, much more so than warfare.”
Kassissieh voiced hope that the “echo” of the prayer for peace would be heard “clearly and loudly in the halls of the White House as well in the European capitals, and the whole world.”
“The peace prayer is a glimpse of hope to our people, at a time when our children wake up and go to sleep under the tents with the noise of bombs and bullets,” he said, urging the pope “to continue to pray and work for peace in the Holy Land.”
One Human Family: il cammino rivoluzionario verso la pace

© CSC Audiovisivi – Caris Mendes e Carlos Mana, Vatican Media, RKK.
5 giugno 2024
Sostenuti dall’invito di Papa Francesco, questo è l’impegno condiviso da 480 persone di diverse fedi religiose per la fraternità, la giustizia e la riconciliazione al centro del convegno interreligioso promosso dai Focolari iniziato il 31 maggio al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo (Roma) e concluso il 4 giugno ad Assisi (Italia).
Con un pellegrinaggio di fraternità ad Assisi, si è concluso il convegno internazionale interreligioso “One Human Family”, promosso dal Movimento dei Focolari. Presenti 480 persone di 40 Paesi; 12 le lingue parlate.
Nella città della pace, la preghiera per la fraternità, la giustizia e la riconciliazione per tutti i popoli in conflitto, è risuonata come un patto solenne, accolto e pronunciato dai partecipanti, ciascuno secondo la propria fede.
Tra loro rabbini e rabbine, imam, sacerdoti cattolici, monaci buddisti Theravada e Mahayana, oltre a laici ebrei, musulmani, cristiani, indù, buddisti, sikh, e baha’i e fedeli delle religioni tradizionali africane, di tutte le generazioni.
Il convegno è stato realizzato da un team interreligioso che ha concentrato il programma sul bene supremo della pace, oggi estremamente minacciata.
“L’esperienza che stiamo facendo è incredibile, di famiglia e di presenza del divino” – raccontano Rita Moussallem e Antonio Salimbeni, coordinatori del Centro per il Dialogo Interreligioso dei Focolari – quando è nata l’idea del convegno non potevamo immaginare quel che sarebbe successo: il conflitto in Terra Santa e il riaccendersi di crisi in altre parti del mondo. Eppure, è proprio oggi che il dialogo è più che mai necessario. Abbiamo parlato dei passi necessari per costruire la pace, ma l’accento è stato posto soprattutto sull’esperienza concreta che stiamo facendo e che vogliamo portare nel mondo. D’altra parte, è l’incontro concreto con l’altro a trasformare i tanti polarismi in relazione”.
Gli interventi
Incontro, ascolto, passi di riconciliazione, condivisione del dolore dei popoli sono stati la cifra di questo convegno che ha alternato panel condotti da esperti a gruppi di dialogo tra i partecipanti. Politica e azione diplomatica internazionale, economia, Intelligenza artificiale e ambiente sono state le tematiche trattate tutte nell’ottica della pace. Numerosi gli accademici e gli esperti di molte culture, religioni e provenienze, che sono intervenuti; ne citiamo solo alcuni: l’ambasciatore Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Gran Rabbino Marc Raphaël Guedj, la teologa musulmana Shahrzad Houshmand Zadeh, la dott.ssa Kezevino Aram, Presidente dell’organizzazione indiana “Shanti Ashram”, la Rev. Kosho Niwano, Presidente designata del movimento buddista giapponese Risho Kossei Kai, l’ing. Fadi Shehadé, fondatore del Progetto RosettaNet, già CEO di ICANN. L’ economista Luigino Bruni, la filosofa indiana, prof.ssa Priya Vaidya, il teologo islamico Adnane Mokrani, il Prof. Dicky Sofjan, indonesiano, dell’International Center for Law and Religious Studies, il prof. Fabio Petito, docente di Religione e Affari Internazionali presso la Sussex University e tanti altri.
“Le religioni hanno una funzione fondamentale oggi”, ha ribadito l’Ambasciatore Ferrara. “Contrariamente a quello che dicono i realisti delle relazioni internazionali, la guerra non è la condizione normale dell’umanità. Le religioni possono svolgere il ruolo di ‘coscienza critica’ dell’umanità e rivolgersi alla politica, segnalando quali sono le priorità. C’è bisogno di immaginazione politica; di immaginare in un modo costruttivo, nuovo, creativo, il futuro di questo pianeta. Dobbiamo coltivare qualcosa che in questo momento manca nelle relazioni internazionali, che è la fiducia”.
Molto nutrite anche le sessioni dedicate a testimonianze personali, progetti, azioni incentrate sulla collaborazione tra persone e comunità appartenenti a fedi religiose diverse per la pace e a sostegno dei bisogni dei rispettivi popoli.
In udienza da Papa Francesco
Il 3 giugno una delegazione di 200 partecipanti è stata ricevuta in udienza da Papa Francesco che nel suo discorso ha definito il cammino iniziato da Chiara Lubich con persone di religioni diverse come: “Un cammino rivoluzionario che fa tanto bene alla Chiesa”. “Il fondamento su cui poggia questa esperienza – ha affermato ancora il Santo Padre – è l’Amore di Dio che si attua nell’amore reciproco, nell’ascolto, nella fiducia, nell’accoglienza e nella conoscenza gli uni degli altri, nel pieno rispetto delle rispettive identità”.
“Se da un lato queste parole ci danno profonda gioia – ha commentato Margaret Karram, Presidente dei Focolari – dall’altro sentiamo la responsabilità di fare molto di più per la pace. Per questo vogliamo lavorare per rafforzare e diffondere la cultura del dialogo e della “cura” delle persone e del creato. Il Papa ce l’ha confermato quando ha detto che il dialogo tra le religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo. In tempi terribilmente bui come questi l’umanità ha bisogno di uno spazio comune per dare concretezza alla speranza”.
Meet Dario Girolami, A Zen Teacher Engaged in Interfaith Work

4 giugno 2024
Dario Girolami, Abbot of Centro Zen L’Arco Roma, has been immersing himself in interfaith study, teaching, and social engagement since his college years in Rome. A former SFZC resident who was ordained by Zenkei Blanche Hartman and received Dharma Transmission from Eijun Linda Cutts, he currently is a leader in the international interfaith group Religions for Peace. He is co-president of Religions for Peace Italy and is on the Board of Directors of Religions for Peace Europe.
Religions for Peace, based at the United Nations building in New York City, has chapters in every nation represented in the U.N. as well as regional chapters. Religions for Peace, as stated on their website, “is committed to leading effective multi-religious responses to the world’s pressing issues. We believe that ambitious goals and complex problems can best be tackled when different faith communities work together.”
Dario describes his path to Buddhism in this way: “Although I was born in Rome, and was baptized and received communion, I have always been attracted to Buddhism. My first encounter with the Dharma was in 1973, when I was six years old. My homeopathic doctor and acupuncturist was also a yoga teacher. I don’t know exactly why, maybe he had seen something in me, but the fact is that he started teaching me yoga and gave me the first rudiments of meditation. The doctor also gave me books on meditation by Chogyam Trungpa and Thich Nhat Hanh. I then began to meditate quite regularly. Since I was a child I had great joint fluidity, and sitting in full lotus was easy for me. Meditation was a game to me, but at the same time something worked and I began to encounter states of deep absorption, perhaps because my mind as a child was not yet too contaminated.”
“This meditation game has always been with me, as are the books by Trungpa and Thich Nhat Hanh, which I still keep, all yellowed,” recalls Dario. “As I entered adolescence, I began to develop questions about life, death, and reincarnation, and I realized that I really liked the answers Buddhism offered. I therefore began to study Buddhism with more awareness and no longer as a game. Seeing my thirst for knowledge on topics of Eastern religion, I started to study Philosophy at the University of Rome, and began taking courses in Religions and Philosophies of India and the Far East and Sanskrit. As I studied at the University, I quickly realized that it was not so much theoretical study but practice that was essential.”
“I’ve always been interested in inter-religious dialogue,” Dario said. Although his PhD is in Buddhism, he studied world religions in college, and taught classes in World Religions and Comparative Religion at the American University in Rome. Now Dario is putting what he learned into action.
Dario studied with Riccardo Venturini, a professor of Psychology who became his friend and mentor. Venturini, a teacher in the Tendai Buddhist tradition, was a founder of Religions for Peace Italy. Dario began attending meetings with Venturini. When Venturini died over ten years ago, Religions for Peace Italy asked Dario to take his place.
What he enjoys most about Religions for Peace is “the friendships that have grown among us. Every meeting is like a party, joyous, like a brotherhood and sisterhood.” He feels that he is with his interfaith family. Over time they have come to trust each other. They bring this trust to their communities, and their communities become good friends. They meet in one another’s places of worship—a synagogue, a mosque, a church. Some of Darios Zen students join him at these meetings.
In the past, in inter-religious dialogue, mainly the Abrahamic religions (Judaism, Christianity, and Islam) were represented. “At first they just tolerated us Buddhists.” Slowly, Dario has been working on allowing more Buddhist voices to be heard. Already people are starting to ask about a Buddhist view on AI or abortion.
Dario was instrumental in paving the way for Religions for Peace Europe to attend meetings of the Council of Europe, based in Strasbourg, as listeners. Soon Religions for Peace will become a full member, widening the group’s influence. They will be able to propose items and issues for the Council to take up. Dario believes that Religions for Peace can be part of the solution for the world’s problems, since the group focuses on developing friendship and trust across religions. The group works with sensitive issues that affect all, such as climate change, migration, and mental health.
On Earth Day this April, Dario took part in a panel that met at Villa Borghese in Rome to discuss the climate crisis. All of the largest religions were represented: Catholicism, Protestantism, Judaism, Islam, Hinduism, Buddhism, and Baháʼí. Each person answered two questions: how their faith deals with climate change, and what actions people of their faith are taking. Dario’s Buddhist perspective—about interdependence and co-creating solutions—was different from most of the other panelists, who spoke about the world as God’s creation, which we humans need to take care of. He thought the other panelists appreciated his point of view.
As a member of the European Buddhist Union (EBU), Dario is responsible for the network of Buddhist Chaplains around Europe. He is developing the first course for Buddhist Chaplaincy in Europe through the EBU and Dharma Gate University in Budapest, which will grant participants an adult learning degree.
The two-year program will start in September 2024; faculty are all Dharma teachers from Theravada, Mahayana, or Vajrayana traditions. Most of the students are new to chaplaincy. Dario has obtained a grant from the Italian Buddhist Union that will cover 80% of tuition costs.
In the course, Dario will teach prison chaplaincy. Fifteen years ago, when he was a student at Green Gulch Farm, he visited San Quentin’s BuddhaDharmaSangha. On that visit he remembered a book his father had given him when he was a child, The Star Rover by Jack London, about an incarcerated person in a straitjacket who began to meditate. After he returned to Rome, Dario and members of his sangha began teaching meditation in Roman prisons.
Dario founded Centro Zen L’Arco in 1986 as a sitting group affiliated with Fudenji, the Italian Zen Monastery where he began his Zen training. He later studied at San Francisco Zen Center where he was ordained and received Dharma Transmission. He became Abbot of Centro Zen L’Arco in May 2019. Dario’s Dharma name is Keimyo Doshin (Joyful Life – Heart/Mind of the Way).
L'inquietudine dell'esistenza tra religione e innovazione

18 maggio 2024
La fede, unica variabile che tiene ancora uniti due aspetti fondamentali della nostra vita. Un cambiamento di prospettiva per intrecciare due concetti estremamente lontani ma allo stesso tempo molto vicini.
Religione e innovazione sembrano appartenere a orizzonti concettuali incommensurabili. C’è tutta una storia che lo dimostrerebbe, precisamente la vicenda storica della modernità e della secolarizzazione. Ma forse è arrivato il momento di rivedere l’interpretazione di questa storia. La teoria tradizionale della secolarizzazione, si pensi a Max Weber, ha visto chiaramente la radice religiosa (cristiana) della grande innovazione culturale prodottasi in occidente con il progressivo autonomizzarsi rispetto alla religione dei diversi sistemi sociali, quali la politica, la scienza, il diritto, la morale, solo per citarne alcuni. Ma se questo è vero, allora proprio qui incontriamo un primo, indubitabile segno di concordanza tra religione e innovazione, nonostante che le interpretazioni dominanti abbiano fatto di tutto per occultarlo. Con qualche buona ragione, sia ben chiaro. La religione cristiana infatti, specialmente nella sua variante cattolica, ha faticato non poco a conciliarsi con l’autonomia dei suddetti sistemi sociali, diventando paradossalmente una forza a essi ostile. Questi ultimi, a loro volta, l’hanno ripagata con altrettanta ostilità, orientando contro di essa la loro autonomizzazione. Una vera e propria catastrofe per la cultura moderna, i cui effetti si riverberano ancora oggi sulla nostra vita politica e culturale, fino al punto che è diventato ormai quasi un luogo comune ritenere che più innovazione scientifico-tecnologica equivalga, tra le altre cose, anche a un maggiore restringimento della sfera d’influenza della religione, sia sul piano della vita individuale che su quello della vita sociale. In questo modo i due termini si sono estraniati sempre di più l’uno dall’altro: l’innovazione è diventata una prerogativa scientifico-tecnologico-politica, mentre la religione, ossia la principale condizione che ha reso possibile il differenziarsi di questi sistemi sociali e quindi il dispiegarsi del loro potenziale innovativo, si chiude sempre di più nei suoi dogmi e nella sua organizzazione, diventando l’ostacolo per eccellenza a qualsiasi tipo d’innovazione, in attesa della sua inevitabile estinzione.
Questo, diciamo così, il modo “classico” di raccontare la storia. Ma forse oggi si vanno dischiudendo altre possibilità, proprio grazie al progressivo allargarsi di una sfera, certamente amica dell’innovazione, ma che